Antonio de Lonardo è sposato con Antonia Gratia Sanitate e ha due figlie: Beatrice, virgo in capillis, di quindici anni e Isabella coniugata con Nicola di Bartolomeo La Morgesa. Per mantenere la propria famiglia Antonio svolge un’attività mercantile in società con Nicola La Morgesa e Nicola Coccumarulo, società che, anche se costituita nel 1707, ha origine ben dodici anni prima. Frequenta per lavoro non solo mercati e fiere di Terra di Bari e del Regno ma anche quelli sul Gargano comprando e vendendo tele, sete, materiale vario. Questa società ha già avuto problemi in passato a causa della scarsa onestà di un dipendente; ma durante quest’anno, ossia 1711, si abbatte sul de Lonardo quella che viene chiamata “la mala fortuna et disgratia”. Durante uno dei suoi viaggi di lavoro viene catturato “dai corsari ladri di mare”, nel paese di S. Nicandro della montagna di S. Angelo (San Nicandro Garganico) con altre persone; fatto schiavo, è condotto successivamente nella città di Dulcigno (Ulcinj) attualmente in Montenegro, roccaforte dei corsari e punto di partenza delle loro incursioni nonché sede del mercato degli schiavi. Non si ha modo di conoscere la data in cui Antonio sia stato catturato come anche i nomi degli sfortunati che, come lui, vengono portati a Dulcigno sulla costa dalmata. A questo punto i corsari hanno due possibilità: richiedere un riscatto o venderlo al mercato degli schiavi. Propendono per la prima ipotesi e così giunge a Rutigliano “un avviso” nel quale si chiedono per la sua liberazione 260 ducati. La cifra richiesta per quei tempi corrisponde al costo di due case di grandezza media all’interno delle mura di Rutigliano, ossia nell’attuale centro storico. La moglie non ha la possibilità di pagare subito la cifra; anzi forse non ne dispone per niente e sa bene quale destino spetti al marito se tale cifra non verrà pagata a questi infedeli che già da tempo imperversano sulle coste dell’Adriatico facendo razzie, depredando, cogliendo di sorpresa la gente e cercando di catturare persone a scopo di lucro.
Antonia Gratia Sanitate, pur di far liberare suo marito, non perde tempo; pensa subito che, chi forse può aiutarla, sono proprio i soci Nicola La Morgesa e Nicola Coccumarulo: siamo già nel 1712 e lei con figlie e genero prega i due soci di fare un atto di carità come cristiani e cattolici, pagando con i “loro propri denari” la menzionata somma.Il 14 marzo 1712 a Rutigliano i protagonisti di questa vicenda fanno stipulare al notaio Carnale una “causa obligationis”: i due soci promettono e “si obligano e sborsare la mentionatasuma di 260 ducati in potere di Patron Damiano di Bitonto quale avrà cura di mandarli a quei maledetti cani e ladri di mareper il riscatto di Antonio”. Al tempo stesso sono dati in pegno dalla famiglia di Antonio non solo i suoi beni ma anche quelli della figlia Isabella e del genero Nicola, nonché quelli dotali della moglie Antonia Gratia: una casa, una vigna, una chiusura, un’altra vigna e mezza, trenta ordini di terra, due vignali, un altro vignale per quanto riguarda le proprietà di Antonio e Antonia Gratia, tutte a Rutigliano; una casa e varie terre, sempre nello stesso territorio, di proprietà del genero. Nell’atto si precisa che qualora Antonio de Lonardo, una volta tornato a Rutigliano, non dovesse pagare i 260 ducati, i soci potranno rivalersi sui familiari. A questo punto la cifra utile per il riscatto di Antonio è disponibile e viene inviata affinchèil de Lonardo non finisca come rematore in qualche galea o servo di qualche musulmano. Non si conosce il nome del destinatario del denaro come anche la data dell’invio e anche il destino delle persone che, insieme a lui, sono state catturate a San Nicandro Garganico: tutti i protocolli notarili del suddetto paese per gli anni 1711 e 1712 sono andati persi; perciò si può solo ipotizzare che anche per essi sia stato mandato “un avviso” con richiesta di riscatto.
7 agosto 1712: il riscatto è stato pagato e Antonio de Lonardo, dopo chissà quante angherie subite, torna a Rutigliano. Sempre dal notaio Carnale sottoscrive un “instrumentum quietationis”: nell’atto è specificato che la società è già sciolta e Antonio ha restituito ai due soci le loro quote con tante “robbe mercantili”, quindi non con contante, dopo aver fatto “li chiari e lucidi conti”. Non si sa quando la società sia stata sciolta,tantomeno quando siano stati effettuati i conteggi; fatto sta che Antonio restituisce le quote di spettanza ai soci Coccumarulo e La Morgesa poco tempo dopo il suo ritorno.
Sempre lo stesso 7 agosto 1712, lo stesso notaio (Carnale) roga un nuovo atto, questa volta un “impositiocensus” che vede protagonisti Antonio con la moglie Antonia Gratia e la Reverenda Cappella del Purgatorio di Rutigliano, rappresentata dai suoi priori, il rev. canonico D. Vito Antonio Vavalle e il rev. canonico D. Ottavio de Magistris. In tale documento finalmente si delinea a chiare lettere come si sono svolti i fatti nei mesi precedenti.
Antonio, una volta tornato a Rutigliano dopo la sua liberazione, dovendo soddisfare i soci per il loro prestito, deve in tutto non 260 ducati bensì 128 ducati e 2 tarì, ossia 120 per il suo riscatto, pagato di tasca proprio dai suoi soci Coccumarulo e La Morgesa, e ducati otto e tarì due per capitania. I coniugi de Lonardo decidono allora di chiedere, e ottengono con il beneplacito dei Priori, 130 ducati ad annuo censo dalla Cappella del Purgatorio di Rutigliano ad un interesse del 7% con prima rata annuale, da pagare a partire dall’agosto dell’anno successivo 1713, dando come garanzia sia i propri beni che quelli dotali. Per cui nell’atto vengono elencati tutti gli atti elencati in precedenza sia di de Leonardo che di La Morgesa (figlia di Antonio). Perciò, cosa non insolita per quei tempi, per soddisfare chi ha prestato loro denari, si rivolgono alla Cappella del Purgatorio per ottenere un nuovo prestito. Ottenuta la somma, ad Antonio non resta che restituire i ducati ai suoi soci nell’arte mercantile per cui nello stesso giorno 7 Agosto 1712 il notaio Carnale alla loro presenza redige un”instrumentum quietationis” con il quale vengono restituiti a Nicola La Morgesa e Nicola Coccumarulo i 128 ducati e tarì 2 ed è proprio in questo atto che compaiono particolari fino ad allora sconosciuti.
Antonio de Lonardo l’anno precedente, mentre “Andava caminando per la sua arte mercantile”, viene catturato a San Nicandro Garganico con altre persone; fatto schiavo da “ quelli maledetti cani”, portato a Dulcigno e per il suo eventuale riscatto viene mandato avviso a Rutigliano. Non avendo a disposizione 260 ducati, la moglie Antonia Gratia con le figlie e il genero prega (e fa pregare) i soci del marito di fare quest’atto di carità pagando la cifra richiesta; però i due soci ritengono che il riscatto debba essere pagato dal solo Antonio e soltanto grazie all’intervento di alcuni amici e persone “pratiche nell’arte mercantile” non si giunge a litigio e si concorda quanto segue: per la sua liberazione sono a carico di La Morgese e Coccumarulo solo 80 ducati. E dato che il riscatto, come si evince dall’atto notarile, non fu di ducati 260 ma “se ne pagarono 200”, atteso che “li ducati 60 non si pagarono, ma si riafrancarono”; di questi 120, a cui si aggiungono 8 ducati e tarì 2 per capitania, sono a carico di Antonio de Lonardo. A quest’ultimo, appena tornato a Rutigliano, viene chiesta dai soci tale cifra che al momento non possiede per cui è costretto a rivolgersi alla Cappella del Purgatorio per liberarsi da un debito e imbarcarsi in un altro. In quest’ultimo atto pertanto rifonde ai soci i 128 ducati e tarì 2, ricevendone totale quietanza. Da qui si può immaginare la triste vicenda di Antonio de Lonardo: rapito, condotto schiavo a Dulcigno, maltrattato, liberato dopo il pagamento di un riscatto che i suoi soci in realtà non erano propensi a pagare. Così che ad Antonio non resta che sciogliere la società attiva da diversi anni e chiedere un ulteriore prestito alla Cappella del Purgatorio per restituire la cifra anticipata per la sua liberazione dagli ex soci.
Dai protocolli notarili consultati fino ad oggi non si ha più traccia di notizie riguardanti questo mercante che sicuramente avrà dovuto lavorare per chissà quanto altro tempo o vendere o cedere parte delle sue proprietà per rifondere la Cappella del Purgatorio di Rutigliano dei suoi ducati ad un interesse annuo del 7%.
Il presente articolo è frutto di ricerche effettuate attraverso i protocolli notarili di Rutigliano presso l’Archivio di Stato di Bari e ripercorre, in forma veritiera, la vicenda che ha interessato un mercante rutiglianese dei primi anni del 18° secolo. Inoltre è di prossima pubblicazione uno studio che tratta, in maniera più completa e particolareggiata, la storia e le vicissitudini di questa società mercantile a cavallo tra ‘600 e ‘700.
Torre Mileto (luogo nei pressi ove avvenne lo sbarco dei corsari)
Paolo Violante