TUTTI I DATI PUGLIESI DEL RAPPORTO GIMBE SULLA SANITA’

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Il 7° rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale è un documento di fondamentale importanza. Da leggere, da approfondire, da capire. Dati e cifre alla mano, documenta le tante criticità che si addensano su quello che era una volta il fiore all’occhiello del welfare del Bel Paese, e che sembra invece precipitato in una crisi che potrebbe diventare irreversibile.

Nella speranza di fare cosa utile, Lettere Meridiane propone ad amici e lettori una lettura ragionata del rapporto, un dossier che enuclea i dati che ci riguardano più da vicino: quelli relativi alla Regione Puglia. Si tratta di un dossier inevitabilmente voluminoso. Abbiamo quindi pensato di far cosa utile consentendo di scaricarlo in formato pdf. Trovate il link alla fine del documento.

FAMIGLIE CHE HANNO RINUNCIATO ALLE PRESTAZIONI SANITARIE. Tra gli aspetti più critici messi in evidenza da GIMBE, vi è il crescente numero di famiglie costrette a rinunciare alle prestazioni sanitarie (+0,6% nel 2023, rispetto all’anno precedente).  Con l’8,4%, la Puglia figura all’8° posto di questa poco invidiabile classifica, preceduta da altre regioni meridionali (Sardegna, Lazio, Marche, Abruzzo, Molise) ma anche da Umbria e Piemonte. Il dato pugliese è superiore di 0,8 punti a quello medio nazionale (7,6%). Nel 2022, le famiglie che avevano rinunciato alle prestazioni sanitarie erano state il 7,5%. Nel giro di un anno si è registrato un incremento di 0,9 punti, anche in questo caso superiore alla media nazionale. C’è di che preoccuparsi.

MONITORAGGIO DEI LEA. Un altro capitolo di nevralgica importanza del rapporto GIMBE è quello rappresentato dal monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza ovvero le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini gratuitamente o dietro pagamento di un ticket, in quanto fondamentali per la tutela della salute. La fondazione si avvale di un sofisticato sistema di valutazione, che consente di stabilire quali Regioni adempiono ai livelli essenziali di assistenza e quali no. Il rapporto distingue due periodi: il primo riguarda il decennio 2010-2019, il secondo va dal 2020 al 2022. La distinzione è resa necessaria dal diverso sistema di valutazione posto in essere dal Ministero: nel primo periodo veniva utilizzato una griglia di indicatori, sostituita nel secondo e più recente periodo da un nuovo sistema di garanzia, suddiviso per aree (prevenzione, distrettuale, ospedaliera).

Se nel primo periodo la Puglia figurava tra le regioni in rosso con una percentuale di adempimento del 67,5% (16° posto della graduatoria per regioni, davanti soltanto a Valle d’Aosta, Calabria, Campania, Prov. Aut. di Bolzano e Sardegna), le cose vanno meglio nel periodo 2020-2022. La Puglia figura tra le Regioni in verde e denota un comportamento virtuoso, quasi da isola felice rispetto al resto del Mezzogiorno che invece continua ad annaspare. «Nel 2020 – si legge nel rapporto –  l’unica Regione del Sud tra le 11 adempienti è la Puglia; nel 2021 delle 14 adempienti solo 3 sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata. Nel 2022 solo 13 Regioni sono adempienti, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: soltanto Puglia e Basilicata al Sud».

Con riferimento alle diverse aree in cui i LEA sono raggruppati, la Puglia marca la sua performance migliore in quella della prevenzione (8° posto, con un punteggio di 75,97). Meno bene vanno le cose nell’area distrettuale (13° posto, con 70,02 punti), in quella ospedaliera si piazza al centro della classifica, 10° posto con una percentuale di adempimento di 79,69 punti).

I dati sembrano nel complesso indicare un trend positivo per la Puglia che viene confermato anche dall’analisi condotta da GIMBE sulle differenze tra gli anni più recenti di cui si posseggono i dati: il 2022 e il 2021. Se nel 2022 quasi la metà delle Regioni ha fatto registrare performance inferiori al 2021, la Puglia si colloca decisamente e positivamente in controtendenza, con + 16,34, secondo soltanto al Veneto (+16,96).

MOBILITÀ SANITARIA. Le note dolenti, per la Puglia, riguardano l’annosa questione della mobilità sanitaria, che il rapporto GIMBE spiega in questi termini: «I cittadini italiani hanno il diritto di essere assistiti in strutture sanitarie di Regioni differenti da quella di residenza, un diritto che si traduce nel cosiddetto fenomeno della mobilità sanitaria interregionale. Tecnicamente viene distinta in mobilità attiva (una voce di credito della Regione che identifica l’indice di attrazione) e mobilità passiva (una voce di debito che rappresenta l’indice di fuga da una Regione).»

È questo l’indicatore che svela in maggior misura la forte sperequazione territoriale tra Nord e Sud. «Dall’analisi della mobilità attiva e passiva – scrive la Fondazione GIMBE – emerge la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud . In particolare, un recente report della Corte dei Conti120 ha documentato che, nel decennio 2012-2021 (corrispondente al riparto del FSN per gli anni dal 2014 al 2023), 14 Regioni hanno accumulato un saldo negativo pari a € 14,56 miliardi, di cui € 10,96 miliardi nelle Regioni del Mezzogiorno. I primi tre posti per saldo positivo sono occupati da Lombardia (€ 5,68 miliardi), Emilia-Romagna (€ 3,39 miliardi) e Veneto (€ 1,36 miliardi). Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a € 1 miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (-€ 2,77 miliardi), Calabria (-€ 2,47 miliardi), Lazio (-€ 2,22 miliardi), Sicilia (-€ 1,95 miliardi) e Puglia (-€ 1,75 miliardi).»

Tra le 12 regioni che marcano saldi negativi, la Puglia è all’8° posto. E non è tutto: la quota più rilevante, pari al 73,1% del totale (1,75 miliardi) viene erogata alla sanità privata, un dato che il rapporto ritiene indicativo «sia della presenza e della capacità attrattiva del privato accreditato, sia dell’indebolimento delle strutture pubbliche.»

L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA. Un intero capitolo del Rapporto GIMBE è dedicato all’autonomia regionale differenziata, tema sul quale da tempo la Fondazione ha assunto una posizione netta e contraria tanto da chiedere «di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie.» La richiesta non è stata accolta dal Governo.

Il timore, assolutamente fondato, della Fondazione è che l’autonomia regionale differenziata possa aggravare le diseguaglianze regionali, e non è rassicurante il fatto che, bene o male, la Puglia si sia dimostrata in grado di assicurare i LEA. C’è infatti un particolare inghippo tecnico messo in evidenza dal Rapporto che potrebbe vanificare la buona performance in materia di LEA. La legge sull’autonomia regionale differenziata prevede che i fabbisogni finanziari vengano stabiliti dopo aver messo a punto i LEP, ovvero i livelli essenziali delle prestazioni, che sono un po’ la stessa cosa dei LEA, ma si applicano a tutti i servizi pubblici, fuorché – e così al danno si aggiunge la beffa – a quelli sanitari. Il problema è che ai LEA non corrisponde alcun fabbisogno finanziario. Come si legge nel Rapporto, «il riparto del FSN, con cui lo Stato trasferisce le risorse alle Regioni, è indipendente dal raggiungimento dei LEA e avviene secondo criteri di popolazione residente, in parte pesata per età. Una pericolosissima scorciatoia rispetto alla necessità di garantire i LEP secondo quanto previsto dalla Carta Costituzionale, perché senza determinare in maniera uniforme i LEP in tutto il territorio nazionale è impossibile ridurre le diseguaglianze tra Regioni.»

La Fondazione non ha dubbi: «in sanità il gap tra Nord e Sud configura ormai una frattura strutturale: alla maggior parte dei residenti al Sud non sono garantiti nemmeno i LEA, alimentando il fenomeno della mobilità sanitaria verso le Regioni del Nord. Di conseguenza è impossibile, come spesso dichiarato, che le maggiori autonomie in sanità possano ridurre le diseguaglianze esistenti.» Inoltre, «le maggiori autonomie già richieste da Lombardia e Veneto ne potenzieranno le performance sanitarie e, al tempo stesso, indeboliranno ulteriormente quelle delle Regioni del Sud, incluse quelle a statuto speciale.»

IL PERSONALE SANITARIO. Un ampio capitolo del Rapporto è dedicato all’esame della situazione del personale sanitario, con il fine di scattare una «fotografia statica della distribuzione del personale dipendente, con focus su medici e infermieri, analizzando le differenze tra Regioni».

In Puglia risultano occupate 38.892 unità, pari a 10 unità su 1000 abitanti, dato inferiore alla media nazionale (11,6), che la colloca al 16° e sestultimo posto della graduatoria nazionale.

C’è da precisare è che solo una parte di tali unità può essere ritenuta «forza lavoro» del SSN. Per esempio, per quanto riguarda i medici, il dato tiene conto anche di giovani medici iscritti alle scuole di specializzazione, liberi professionisti, privati non convenzionati, ecc.

Con riferimento al solo personale medico, in Puglia lavorano 1,97 medici per 1000 abitanti. La media nazionale è di 2,11 medici. Anche rispetto a questo parametro, la Puglia figura al 16° e sestultimo posto della graduatoria nazionale per Regioni.

Le cose vanno ancora peggio per quanto riguarda gli infermieri: la Puglia è al 17° e quintultimo posto, con 4,66 infermieri per 1000 abitanti, ben al di sotto della media nazionale, che è di 5,13. Lo stesso gap si registra per il rapporto infermieri/medici: 2,37, e 13° posto (2,44 la media nazionale).

Le cose vanno decisamente meglio per quanto riguarda i medici di base, o se preferite i medici di famiglia. Il rapporto prende in considerazione il numero di medici che superano il massimale di assistiti (1.500). Questa situazione accade in Puglia solo per il 24,4 % dei medici (3° posto), a fronte di una media nazionale del 47,7%. Il numero medio di assistiti è 1.254 (1.353 quello nazionale), dato che ci colloca all’8° posto.

La prospettiva non è però incoraggiante, in quanto la Puglia è tra le Regioni (2° posto) che ha perso il maggior numero di medici di base nel triennio 2019-2022: – 17,9%, a fronte di una media nazionale dell’11%. Altro dato critico è quello che riguarda l’anzianità di servizio dei medici di famiglia: il 78% presenta un’anzianità di laurea superiore a 27 anni (72,5% la media nazionale, 7° posto della graduatoria nazionale).

Le stime della Fondazione GIMBE non sono rassicuranti. Se all’inizio del 2023, la Puglia presentava un fabbisogno di soli 9 medici di base, si prevede che esso crescerà sensibilmente fino al 2026, in quanto la regione perderà 175 medici (3° posto, alle spalle di Campania e Lazio).

Il dato pugliese è positivo per quanto riguarda i pediatri di libera scelta. Risulta assistito l’83,8% della fascia di popolazione da 6 a 13 anni, cifra superiore di 2 punti alla media nazionale (81,8%). In questo indicatore, la Puglia si piazza al 7° posto della graduatoria. Il trend è positivo (ma fino a un certo punto, in quanto si tratta di una incidenza comunque elevata) anche per quanto riguarda i pediatri che superano la soglia degli 800 assistiti: il 55,1%, a fronte di una media nazionale di ben il 72,8%, dato che colloca la Puglia al 2° posto della classifica, dietro all’Umbria.

Il numero medio di assistiti è di 797 (4° posto, media nazionale 898).

Anche per quanto riguarda i pediatri, tuttavia, la prospettiva non è incoraggiante. «Nella maggior parte delle Regioni meridionali – rileva la Fondazione – più di 4 pediatri su 5 hanno oltre 23 anni di specializzazione: Basilicata (98,2%), Calabria (97,4%), Molise (96,9%), Sicilia (94,4%), Abruzzo (94,1%), Sardegna (89,5%), Puglia (84,7%) e Campania (83,4%).

IL PNRR E GLI INTERVENTI DEL DM 77/2022. Un ampio capitolo del Rapporto è dedicato all’esame dello stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) con particolare riferimento agli interventi previsti dal DM 77/2022 che ha definito le Linee guida per l’organizzazione dei servizi sanitari territoriali in Italia. Si tratta, in pratica, della riforma dei servizi prevista dal PNRR e qua le cose vanno decisamente male. La situazione è decisamente deficitaria a livello nazionale (la tabella di marcia prevista non è stata rispettata, e i tempi di attuazione si sono allungati) ed ancora peggiore in Puglia.

Vediamo come stanno le cose, per ciascuno degli interventi qualificanti previsti dal DM 77/2022.

Case della Comunità. È un nuovo modello organizzativo che dovrebbe diventare il punto di riferimento per l’assistenza sanitaria di base e sociosanitaria. Queste strutture sono pensate per fornire servizi di cura primaria e specialistica in un ambiente integrato, accessibile e vicino al cittadino. Ogni Casa della Comunità copre un bacino d’utenza di circa 40.000-50.000 abitanti. Vi lavorano medici di famiglia, pediatri, specialisti, infermieri e assistenti sociali in team multidisciplinari.

In Puglia sono previste ben 121 Case della Comunità, ma ancora nessuna è stata attivata. In tutta Italia, rispetto alle 1.421 Case da attivare entro il 2026 ne sono state dichiarate attive dalle Regioni (con standard non sempre completi) solo 268, il 19% del totale. 5 Regioni si collocano sopra alla media nazionale: Lombardia (66%), Veneto (62%), Emilia-Romagna (52%), Molise (38%), Piemonte (21%).

Ospedali di Comunità. Sono strutture dedicate alla degenza breve e gestite principalmente da personale infermieristico, con l’obiettivo di assistere pazienti che non necessitano di cure ospedaliere intensive ma hanno bisogno di assistenza continua. Ogni Ospedale di Comunità serve un’area di circa 100.000 abitanti.

Dei 38 previsti per la Puglia risultano attivati 7, con una percentuale di completamento del 18% che ci colloca al 4° posto nazionale, sopra la media nazionale (13%).

Centrali Operative Territoriali. Sono strutture di coordinamento che gestiscono i percorsi assistenziali, mettendo in comunicazione ospedali, medici di base e assistenza domiciliare per garantire continuità di cura. La Puglia è il fanalino di coda: delle 40 centrali previste, nessuna risulta pienamente funzionante.

Assistenza domiciliare. Per affrontare i problemi legati all’invecchiamento della popolazione si prevede di potenziare l’assistenza domiciliare, con l’obiettivo di raggiungere il 10% della popolazione over 65 entro il 2026. Il monitoraggio della Fondazione GIMBE evidenzia risultati estremamente eterogenei raggiunti dalle Regioni. Infatti, rispetto ad una media nazionale del 101%, alcune Regioni mostrano incrementi molto rilevanti: tra queste c’è la Puglia, che con il 145% si piazza al 3° posto della classifica nazionale.

Potenziamento della terapia intensiva. Per affrontare con maggiore tempestività emergenze come quella verificatasi durante la pandemia, si prevede la creazione di posti letto aggiuntivi di terapia intensiva e sub-intensiva. Al 31 luglio 2024, la Puglia aveva coperto il 37% dei posti letto aggiuntivi di terapia intensiva previsti (media Italia, 52%, 12° posto della classifica nazionale e il 52% dei posti letto aggiuntivi di terapia sub- intensiva (media nazionale 50%, 9° posto).

UTILIZZAZIONE DEL FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO. È l’ultimo dei parametri del nostro Dossier. In Puglia le cose vanno decisamente male, anzi malissimo, a conferma di una digitalizzazione ancora tutta da venire. I cittadini che nel periodo gennaio-marzo 2024 hanno effettuato almeno un accesso al FSE, sul totale di coloro ai quali nello stesso periodo è stato messo a disposizione sul fascicolo almeno un documento sono appena il 3% (18% la media nazionale), dato che colloca la Puglia al 13° posto. È invece confortante la percentuale dei cittadini che al 31 marzo 2024 hanno espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti a medici e operatori del SSN. Tra le Regioni del Mezzogiorno solo la Puglia (68%) supera la media nazionale (40%) attestandosi al 5° posto.

CONCLUSIONI

La mappa della qualità del Servizio Sanitario Nazionale in Puglia disegnata dalla Fondazione GIMBE, di cui speriamo di aver dato conto ai nostri amici e lettori nel nostro dossier, presenta luci ma anche ombre. Per amore di verità, va ricordato che la Regione Puglia è ancora sottoposta alle misure previste dal Piano di Rientro, ed ha dunque una limitata autonomia finanziaria in materia sanitaria. Con una certa cautela, l’impressione che emerge dalla lettura del rapporto è che la percezione della qualità dei servizi da parte dei cittadini sia inferiore a quella che i dati mettono in evidenza. In un contesto difficile, il Governo regionale ha fatto quello che poteva. Ma tanto resta ancora da fare, soprattutto con l’approssimarsi dell’autonomia regionale differenziata che – su questo la Fondazione GIMBE non ha alcun dubbio – aggraverà le diseguaglianze regionali.

Geppe Inserra