“Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio… di cambiare… loro non cambiano”. A pronunciare quelle parole il 25 maggio del 1992 in una chiesa gremita a Palermo fu Rosaria Costa, vedova di Vito Schifani, il poliziotto della scorta di Giovanni Falcone e di sua moglie Francesca Morvillo morti insieme ad altri due agenti nella strage di Capaci, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro.
Sono passati 27 anni da quella strage e la Rosaria ragazzina che tutta Italia aveva conosciuto e cominciato ad amare e che aveva sfidato le consuetudini in chiesa, il cerimoniale e la mafia stessa, non è cambiata. “La mafia continua a esistere, continua a lavorare di nascosto. Lo Stato non riesce a risolvere l’emergenza immigrazione figuriamoci se riesce a debellare la mafia”. Una verità che imbarazza chi è abituato alla cultura del decoro. Una verità che colpisce nel segno per la purezza con la quale viene proferita. Parole che Rosaria ha scritto anche nero su bianco. “Chi sono i mafiosi? Sono criminali senza alcuna pietà che ritengono di essere i padroni della vita e della morte, ma sono esseri infelici che si nutrono di ingiustizie e del sangue di innocenti, spargendo lutti ed odio a piene mani…” E ancora: “Se non pagano per i loro delitti e se non si pentono dei loro peccati, li attende un baratro senza fine. Non ho spirito di vendetta e, nel loro interesse, per il mio Vito allo Stato ho chiesto giustizia e a Dio li affido perdonandoli. Infatti ritengo che, se nutriamo spirito di vendetta non faremmo altro che aggiungere barbarie a barbarie, in una catena di orrori senza fine”.
Parole che non hanno bisogno di essere commentate neppure quando Rosaria Costa sostiene che “dobbiamo essere inamovibili nella lotta alla corruzione e alla criminalità, cominciando dalla famiglia e dalla scuola. In contrapposizione alla catena di orrori, tutti insieme possiamo formare una catena umana, inserendovi, maglia per maglia, Legalità, Giustizia, Amore per il prossimo e, persino, Carità”.
Ed eccole le accuse, pesanti, dirette a “certi politici”. “Personalmente, in generale, queste risposte me le sono date ben presto, venendo a conoscenza di come tanti politici, rubando e lucrando alle spalle dei cittadini, avevano ridotto a terreno di razzia lo Stato e le sue istituzioni. Persino lasciando campo libero alla criminalità organizzata. Quando la pubblica amministrazione dà cattivo esempio e, peggio abbandona il controllo del territorio, permette alla criminalità di dilagare, in special modo se questa è ben organizzata ed ha per etichetta “Mafia””.
Per tutti ma specialmente per i giovani, questo giorno non si deve mai dimenticare.