Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi la considerazione che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.
Il detto di oggi è: “U sazij n’ cred’ o d’iun”, cioè “La persona sazia non crede a chi sta digiuno”.
Il riferimento alle precarie condizioni di vita dell’uomo è innegabile. La tesi riportata, infatti, considerate le scarse possibilità economico-finanziarie del comune operaio o contadino, vuole suggerirci che a stomaco vuoto si lavoro male. Il che non è certamente una scoperta. Naturalmente per prendere corpo un motto popolare di tal genere noi siamo istintivamente portati a pensare che l’indigenza”, intesa come miseria e, dunque, come bisogno di aiuto altrui per sopravvivere, deve essere molto sviluppata nel secolo scorso. Riprova ne è il flusso migratorio verificatosi a cavallo dell’ultimo secolo.
Certo, la schiavitù e il servaggio non sono più di moda ma la lotta per la rivendicazione dei diritti umani continua senza sosta e più di prima accanto al riconoscimento della dignità della persona e del rispetto che si deve a qualunque certo sociale essa appartenga. Sarebbe giusto, viceversa, premiare un altro tipo di privilegio: quello all’uomo che deriva da una sua particolare dote dell’animo, da ingegno eccelso, da una vita di lavoro spesa a beneficio dell’umanità, da una condotta irreprensibile. Tuttavia molta strada è stata già percorsa e noi ci auguriamo che in avvenire la fame e la miseria non siano più motivi causativi di sommosse popolari o ribellioni sociali certamente non estranee alle nostre comunità.
Purtroppo, è in atto una persistente e preoccupante disoccupazione, ma noi dobbiamo nutrire fiducia di poterci risollevare un giorno con tutta la dignità che è propria delle persone che non possono tradire un retaggio fatto di sacrifici umani e di tante privazioni.
Comer comunità e come popolo ce l’abbiamo fatta in tante altre occasioni e noi pensiamo che non il caso di scomodare la storia patria per riportate alla memoria gli esempi in cui hanno prevalso il lavoro, la volontà, i sacrifici. Ciò che possiamo dire è che non saremo noi, oggi, a tradire le aspettative di coloro che verranno. Siamo convinti che i nostri figli, consci della precaria situazione sociale, economica e storica che stiamo attraversando, non si dorranno certamente se non riusciremo a soddisfare pienamente le esigenze del tempo presente, se non riusciremo ad offrire loro le condizioni di vita da tutti sperate ed agognate. Noi ce la metteremo tutta. E ci auguriamo che dolori e valori, che di solito viaggiano insieme, riescono alla fine a cambiare il volto di un mondo in preda ad un frenetico egoismo che sta distruggendo ordinamenti e principi, libertà e moralità con assoluto disprezzo per la vita dell’uomo e dei suoi figli.