SAN NICANDRO: “U’ D’S’DERJ DU CIUCC’ E’ LA GRAMEGNA”

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Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “U’ d’s’derj du ciucc’ è la gramegna” cioè “Il desiderio dell’asino è la gramigna”

Il proverbio mette a fuoco il concetto di incontentabilità dello spirito umano, per cui spesso l’uomo non riesce ad apprezzare ciò che ha. E’ una convinzione storicamente accettata perché la vita è operosità, è azione che costringe l’uomo a “rincorrere” ciò che lo soddisfa e lo appaga al meglio.

I pareri acquisiti per la corretta interpretazione della tesi sono stati piuttosto discordi. Alcuni hanno parlato di “non apprezzamento”; altri (la maggior parte) di “non appagamento” di ciò che l’uomo possiede o ottiene. Nell’umo o nell’altro caso è affiorata la convinzione della “incontentabilità” dell’essere umano di fronte ad una qualunque situazione economico-finanziaria perché quest’ultima viene ritenuta dall’uomo sempre inappagante, dal momento che essa viene correlata a situazioni più rassicuranti e garantiste. Allora abbiamo parlato di uomo che “non si accontenta” perché in questa locuzione abbiamo ravvisato la più corretta composizione delle due precedenti interpretazioni.

Alla luce di queste considerazioni, il detto popolare è un compiaciuto assenso e ad una formale approvazione per le nuove attività intraprese, tendenti a soddisfare questa permanente aspirazione della persona umana a migliorare economicamente, socialmente e psicologicamente. Ci auguriamo che rimanga una “costante” della nostra vita. Tanto più che l’inerzia non ha mai caratterizzato la vita dei nostri antenati né quella delle varie popolazioni vissute nei periodi successivi alle due ultime guerre mondiali e neppure quella dei giovani d’oggi, preoccupati solo di non poter lavorare per la permanente disoccupazione che li sta logorando “da dentro” senza alcuna colpa.