SAN NICANDRO: “MANCH’ LI CAN”

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Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “Manch’ li can”, cioè “Neppure ai cani”.

Chissà quante volte nella vita siamo stati spettatori di scene orribili e raccapriccianti che ci hanno turbato profondamente. A volte, nostro malgrado, noi stessi siamo rimasti coinvolti in situazioni e fatti rabbrividenti. Ebbene, in queste circostanze lo spavento e l’orrore che ci atterriscono sono talmente impressionanti e sconcertanti che noi non augureremmo ad essere vivente, ma neppure ai cani, di vedere o soffrire situazioni che, solo ad immaginarle, fanno accapponare la pelle.

Tuttavia, nelle circostanze tristi, crudeli, spaventose riemerge sempre la dimensione umana della persona, soprattutto se le atrocità, gli atti di barbarie o le inumane disgrazie naturali ci colpiscono un po’ d’appresso: nelle amicizie o negli affetti più cari. Sono ore e situazioni tremende che il nostro spirito si rifiuta di registrare, tant’è che è istintivo in noi questo sentimento di ribellione di fronte all’orrido e alla ricusazione di ogni forma di violenza che tenta di annientare di colpo bontà d’animo, valori etici, idealità morali, sentimenti, affetti, amori. Diciamo che c’è qualcosa di incomparabile e di immenso che scatta in noi allorché si corre un certo rischio o si ha la sensazione che possa essere compromesso l’equilibrio naturale delle cose o la incolumità della popolazione. Non è soltanto l’istinto di autodifesa personale che entra in gioco, ma è una sorta di difesa ad oltranza della specie che ci spinge ad intervenire, come se il sistema neuropsichico di cui disponiamo richiamasse a raccolta tutte le sue funzioni per neutralizzare i drammatici eventi che incombono sui nostri simili.

Neppure ai cani! E’ una vecchia tesi che ci onora perché in essa sono racchiusi tutti i sentimenti di bontà e di comprensione della specie umana, dell’uomo fratello dell’altro uomo. Questo profondo sentimento interiore e questa immensa ricchezza di umanità non erano e non sono estranei alla nostra comunità, la cui storia annovera fulgenti episodi di generosità e di solidarietà veramente indispensabili. Per il periodo più recente, non dobbiamo dimenticare la solidarietà espressa e l’accoglienza offerta dalle nostre comunità agli “sfollati” (oltre 50 mila) durante la seconda guerra mondiale, nonostante le limitazioni economiche imposte dagli eventi bellici e le ristrettezze proprie di una popolazione costituita solo di donne, vecchi e bambini (gli uomini validi erano tutti in guerra).

Neppure ai cani! Certo, ripetiamola questa locuzione di fronte alle raccapriccianti visioni e impressioni della vita, ripetiamola senza vergognarci, perché non siamo e non vogliamo essere insensibili alle vicissitudini del mondo. E proseguiamo a ripeterla tutte le volte che il nostro cuore viene turbato dalla cattiveria degli uomini, perché si tratta di un motto che ci dispone alla comprensione, ingentilisce il nostro animo, ci arricchisce interiormente in sentimenti di bontà e di amore per il nostro prossimo. Se non vogliamo restare insensibili ai tormenti del mondo ripetiamola sempre questa umanissima tesi: ci renderà senz’altro migliori.