Come per tutte le città di origini lontane e non documentate, anche per Sannicandro si fanno molte ipotesi, incerte e contrastanti. Non conto di riferirle tutte e di confrontarle tra di loro. Mi limiterò a considerare quelle più collimanti con l’obiettivo che mi sono proposto. E’ comunque evidente che Sannicandro ha avuto origine dai successivi sviluppi del suo originario nucleo fortificato.
Dapprima la Terra Vecchia si chiamava S. Maria del Borgo ed aveva, come patrono, San Giorgio, ancora venerato in una modesta chiesetta nei pressi del castello.
Questo fatto convalida l’ipotesi di una origine longobarda, perché il simbolismo di San Giorgio a cavallo che uccide il drago si presta alla narrazione ideografica della vittoria cristiana sull’idolatria del serpente.
I longobardi del ducato di Benevento, benché battezzati, adorano il serpente fino al tempo di San Barbato che convertì Romualdo e i suoi seguaci. Romualdo divenne re ed al culto del serpente si sostituì quello di San Giorgio; culto che ben presto si diffuse per tutti i fedeli del regno. Estendendo una delle trentaquattro contee (e precisamente quella di Lesina), i Longobardi erano arrivati fino alle prime balze del Gargano.
Il colle di S. Maria venne perciò fortificato con l’erezione di un castello, probabilmente impostato su precedenti fondazioni romane. Nella zona era infatti possibile reperire rari e sparsi ruderi di basso impero, specie lungo le vie di Torre Varano e Maletta.
Per molto tempo, fino a periodi piuttosto recenti, a Lesina, a Sannicandro e della località dello scomparso Castel Pagano, molte leggende hanno parlato di apparizioni mostruose, nelle quali un grosso serpente, talvolta con la testa di vitello, viene sempre vinto da pastori, cacciatori e pii sacerdoti.
Il serpente, del quale si danno anche altre versioni, + ancora oggi presente nell’arme del comune, mentre fino a non molti anni fa, poteva essere ammirato in un antico stemma di pietra dura incastonato sulla porta del rinnovato archivio di S. Maria del Borgo, parrocchia delle città vecchia.
L’immigrazione dei profughi di Lucera, cacciati nel 663 dagli eserciti vincitori di Costante II°, venuti a combattere o presidi pugliesi di Benevento, dà maggiore forza all’ipotesi longobarda. Ma l’origine longobarda non spiega l’influenza eolica nell’architettura locale, né spiega i particolari accenti di un dialetto che, malgrado la pronuncia gutturale (anch’essa di presunta origine lombarda), offre ancora residui suoni e rare parole di derivazione greca.
Tra le popolazioni che trovarono rifugio entro la cinta fortificata dell’avandifesa del castello, vanno ricordate quelle di Lauri e di Santannea, di provenienza greca, come quasi tutte le popolazioni rivierasche a nord del Gargano. Di lauri e Santannea non si hanno più notizie fin dall’0inizio del decimo secolo. Ler popolazioni, quindi, abbandonarono i propri focolari al più tardi verso la fine del nono secolo.
Esse certamente portarono, nell’antico borgo di S. Maria, il soffio rivitalizzante di una più evoluta cultura, capace di improntare a nuovi costumi le abitudini delle spaventate e sparute popolazioni arrivate con le precedenti immigrazioni.
Un ulteriore incremento della cultura greca si ebbe nel 1053, quando “prescelta la zona per affinità di stirpe e parentale spirituale”, si rifugiarono nello stesso luogo i superstiti dell’esercito greco-bizantino del catapano Argiro, sconfitto dal conte normanno Umfredo, nei pressi di S. Paolo Civitate.
Il quell’epoca, però, il borgo aveva cambiato nome. Come oggi, già si chiamava Sannicandro, in onore del martire di Venafro, prescelto a nuovo patrono. Non si sa il perché di questo cambiamento, né si sa in quale epoca ed in quale precisa circostanza esso avvenne.
Il nome di Sannicandro compare per la prima volta, d’improvviso, nel diploma del conte normanno Henricus, che è un diploma del 905 ed è il più antico documento finora pervenutoci con un nome diverso da quello di S. Maria del Borgo.
Le successive vicende storiche della città e del castello, dal periodo fridericiano ai primi del novecento, sono più cronologicamente documentabili, attraverso testimonianze di atti e registri facilmente reperibili.
Ugo Jarussi