Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.
Il detto di oggi è: “Ienn‘r e n‘put quedd ca fa è tutt p‘rdut” cioè “Ai generi e nipoti quelli che fai è tutto perduto”.
La pubblica opinione, per una tacita trasmissione di notizie e pareri sui nostri antenati, non condivide questo assunto proverbiale. La tradizione e la memoria storica riguardanti costumi e consuetudini del nostro popolo, salvo cadi sporadici, non hanno mai registrato atteggiamenti che non fossero improntati a riconoscenza e gratitudine per gli aiuti ricevuti dagli anziani perdenti. D‘altronde, la popolazione locale è sempre vissuta in un clima di concordia.
Questo comportamento era fortemente coerente non solo nell‘ambito familiare ma anche nei rapporti sociali perché unanime era la convinzione che non vi fosse bene migliore che l‘aiuto reciproco e l‘intervento solidale nei confronti di chi ne aveva bisogno.
È indubbiamente vero che non sono mancati comportamenti di ingratitudine all‘interno di alcune famiglie. A nostro avviso, è meglio dimenticare certi sparuti episodi di intolleranza familiare proprio per evitare meschine generalizzazioni.
Poniamoci, viceversa, di agisce sempre secondo ragione e coscienza così come hanno fatto i nostri progenitori altrimenti ci autocondanneremmo ad essere perennemente schiavi di un arido automatismo, all‘interno del quale l‘amore è l‘affetto sparirebbero per sempre.