SAN NICANDRO: “I PARENT’ SO’ COM’ I DENT’, CCHIU’ SO STRITT’ E CCHIU’ FAN MAL”

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Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “I parent’ so com’ i dent’, cchiù sò stritt’ e cchiù fan mal”, cioè “I parenti sono come i denti, più sono stretti e più fanno male”.

Quando si parla di “parenti e denti” la metrica e l’assonanza non c’entrano proprio niente. L’analogia tra i due termini è illuminante di per sé perché ci fa capire quanto gravi e spiacevoli siano effettivamente le liti che scoppiano tra parenti e congiunti. Il dente che cresce “costretto” tra altri due denti arreca all’uomo non solo un dolore fisico dovuto alla forza meccanica che il dente, crescendo, esercita su altri denti, ma anche un danno estetico perché cresce storto per cui noi ci troveremo di fronte ad una dentatura non invidiabile. Insomma il dente più è stretto e più fa male. Parimente avviene tra parenti nel senso che più la parentela è stretta e più le liti sono feroci e ostinate.

Se i rapporti parentali e la vita della famiglia scorrono normalmente, la consanguineità non s’incrina e nulla viene messo in discussione. Se, viceversa, per un qualunque motivo (successione, assistenza, convivenza…) dovessero sorgere tra i parenti liti o contese, allora queste, come suggerisce il proverbio, saranno tanto più furibonde i irriducibili quanto più stretto è il grado di parentela che intercorre fra i contendenti.

Ma chiediamo per un momento: che cosa c’è, nel profondo, che spinge i consanguinei a confronti e scontri che, in realtà, non trovano alcuna giustificazione se appena pensiamo che tutto può essere appianato con un po’ di buona volontà e di stima reciproche? E’ sono una questione di interesse e di comoda spartizione, oppure certi comportamenti più o meno spavaldi nei confronti dei congiunti incrinano inconsciamente la loro dimensione affettiva, tanto da surrogarne completamente i valori e trasformarla gradualmente in antipatia e intolleranza e insofferenza, in odio profondo? Qual è la molla che sospinge i parenti a tanto livore e rancore ad esprimersi con malanimo a danno del congiunto?

E’ molto difficile pervenire alla radice di questi avvenimenti? Tuttavia, se proprio un parere dobbiamo esprimere, possiamo dire che la motivazione non risiede tanto nell’interesse economico in sé perché “in famiglia” si sono sempre trovate forme di accomodamento che non scontentassero nessuno, quanto nell’affronto e nel sopruso subiti da parte del congiunto, cioè, proprio dalla persona in cui di solito si ripone la fiducia massima. Diciamo che il torto e la ferita sofferti provocano una reazione che può sembrarci senz’altro insolita e atipica, ma essa affonda certamente le sue radici nella profondità dell’animo umano, anche se esso, poi, è sempre disponibile e disposto al perdono.

Un pensiero, comunque, ci conforta. Noi, cioè, che soprattutto tra i parenti, di solito, il tempo spegne gli infuocati rancori, assopisce ogni risentimento e tutto, piano piano, si placa. E’ vero, può restare ancora per un po’ una specie di sorsa ostilità, ma poi anche questa il tempo addolcisce e cancella. Così torna la pace e con essa l’amore e l’affetto familiari.