Nel 2024 Civico 93 intensificherà le ricerche su San Nicandro Garganico per conoscere ancora meglio le vicende storiche della nostra cittadina, del suo territorio e della sua cultura. Si inizia con il “castello”
A 222 m sul livello del mare, in posizione emergente sul lago di Lesina e sul mare Adriatico, si erge l’abitato di Sannicandro Garganico, in un territorio carsico caratterizzato dalla presenza di doline, grotte e caverne naturali, segnato nel Medioevo dalla presenza di insediamenti extraurbani come i casali di Devia e di Mileto.
Probabilmente l’origine dell’abitato può collocarsi nella prima metà del secolo XI, come ha evidenziato Pasquale Corsi nella sua ricognizione sistematica delle fonti documentarie relative. Le prime notizie risalgono al secolo XI, in particolare al 1095, data del privilegio concesso dal conte Henricus di Monte Sant’Angelo al monastero di San Giovanni in Lamis per regolare i rapporti tra il suddetto monastero e gli abitanti di S. Eleuterio, Rignano, Castel Pagano, Cagnano e Sannicandro.
Numerose citazioni del Castellum S. Nicandri sono contenute nel Chartularium tremitense : di particolare interesse la “charta donationis” rogata nel 1174 nel castellum di Sannicandro, in cui Guglielmo figlio di Manero, signore di Sannicandro, dona a Basilio, monaco del monastero delle Tremiti, la chiesa di San Pancrazio. Nel mese di maggio 1225 Federico II nel confermare tutti i privilegi e i possedimenti dell’abbazia di S. Maria di Pulsano, elenca case e terreni siti a Devia e a Sannicandro, di proprietà di Raone, signore feudale di Devia. Nello Statutum de reparatione castrorum la manutenzione del castello viene affidata agli abitanti del medesimo insediamento (probabilmente tra il 1240 e il 1245).
Per il periodo angioino possediamo documenti relativi a tassazioni e imposizioni fiscali e a vicende feudali: Roberto de Clary o de Clariaco, cavaliere e familiaris di Carlo I d’Angiò, riceve dal re le terre di Sannicandro, il tenimentum di Devia e il casale di Banzia. Dopo il ritorno di Roberto in Francia, il re assegna il feudo a Rainulfo o Rodolfo de Colant, divenuto uno dei baroni dell’Honor di Monte Sant’Angelo. Successivamente, le terre vengono confermate a Giovanni de Colant, figlio di Rainulfo e ancora a Ugone, detto Rosso de Sully, che le restituisce alla Corona in cambio di Rapolla e della villa di Aprano (Aversa). I documenti consentono di ricostruire l’assegnazione del feudo nel 1280 a Filippo de Lagonessa, maresciallo del regno e familiaris del sovrano.
Segue un vuoto nella documentazione archivistica fino al 1464, quando il feudo di Sannicandro fu acquistato da Nicola Della Marra. Successivamente, viene perso da Giovan Paolo Della Marra “per delitto di fellonia” e venduto dal Fisco ad Antonello Piccolo o Picciolo. Gli succede il figlio Giovanni Alfonso che nel 1558 vende a Giovan Francesco Di Sangro il feudo per 30.000 ducati.
Nel 1605 passò alla famiglia Caroprese e nel 1626 fu venduto sub hasta ai principi Cattaneo6 che lo mantennero fino all’eversione della feudalità. Come ha evidenziato Massafra8 la signoria feudale dei Cattaneo appartiene alla rete dei “grandi complessi feudali dei de Sangro principi di San Severo, dei Guevara duchi di Bovino”, costituiti da diverse comunità e migliaia di vassalli.
Il nucleo più antico del centro, denominato Terravecchia, delimitato a sud-est dal castello, si articola intorno alla piccola chiesa dedicata a San Giorgio (patrono della città prima di Nicandro), estesamente rimaneggiata. Nel XVI secolo si registra l’ampliamento urbanistico e l’incremento demografico della città, iniziato già nei secoli precedenti dopo l’abbandono di Devia e di Castel Pagano e favorito da una felice posizione geografica e da un territorio particolarmente fertile.
Nel 1532 Sannicandro era infatti tassato per 48 fuochi (211 abitanti), nel 1595 per 347 fuochi (1526 abitanti). Si determinò così la necessità di costruire al di fuori del perimetro medievale un Borgo e su decreto di Mons. Silvestro d’Afflitto (vescovo di Lucera dal 1643 al 1661, erroneamente attribuito al 1500), fu costruitala chiesa Matrice intitolata a S. Maria del Borgo e “fu traslocata la Parrocchia dell’antica chiesa di S. Giorgio esistente nel Castello”10. Probabilmente, c’è una sovrapposizione tra la costruzione della chiesa nel XVI secolo e la sua trasformazione in matrice durante l’episcopato di Mons. D’Afflitto. L’edificio sorge accanto al castello, al margine del nucleo antico. Profondamente rimaneggiato tra XVII e XVIII secolo, conserva tuttavia l’impianto originario a tre navate, con volta a botte unghiata nella navata centrale e volte a crociera nelle laterali.
Il castello è costruito direttamente sul banco roccioso, nel punto più alto del paese, tra il nucleo antico della Terravecchia e il nuovo Borgo sorto appunto intorno alla chiesa matrice. Ha seguito le vicende feudali del centro e, dopo l’eversione della feudalità è appartenuto ai Santelia, ai De Vito, ai Zaccagnino e ai Tozzi. Oggetto di attenzione da parte del Fraccacreta (1834) e di Matteo Zaccagnino (1837), rientra nella ricognizione dei castelli della Capitanata compiuta da Arthur Haseloff.
Un puntuale studio del castello fu realizzato nel 1933 da Giuseppe Antonio Tozzi, appartenente alla famiglia in quel momento proprietaria dell’edificio. Sulle vicende costruttive sei-settecentesche si è aggiunto recentemente il contributo di C. Petrarota.
L’edificio ha pianta trapezoidale con quattro torri angolari, due circolari e due quadrangolari. L’ingresso originario, ubicato sul lato opposto all’attuale, rivolto verso il nucleo medievale di Sannicandro, era dotato di un ponte levatoio, come scrive Matteo Fraccacreta: “… un castello quadrilatero con due torri rotonde negli angoli Est e Sud, e due quadre a Nord e Ovest, costrutto sopra nudo e scosceso macigno, con pietre forti e nericce, cui dava l’accesso una porta sola con ponte levatoio, e cateratta, sospesa a una trave o leva di primo genere, con finestre e buche all’uso bellico per lanciare pietre o altri proiettili contro gli assalitori: oggi forma il palazzo del suo Principe con trenta e più stanze in tre piani”. Il generale riadattamento del castello dovette iniziare nel XV secolo e proseguire fino al XIX secolo.
La grande torre scarpata probabilmente si deve all’intervento promosso dai Della Marra nella seconda metà del XV secolo: realizzata con conci squadrati, caratterizzata dalla cornice torica e dalle caditoie, costituisce l’elemento più fortificato dell’intera struttura, in grado di assolvere ad una funzione di difesa dell’originario ingresso. Anche le due torri cilindriche del prospetto meridionale, successivamente sopraelevate sono riferibili agli stessi decenni.
Come già accennato, l’ingresso originario doveva essere ubicato sul lato opposto all’attuale, con un piccolo ponte levatoio. Su questo lato sono addossati al castello strutture ed elementi del palazzo Fioritto, probabilmente la reale residenza feudale, consistente in circa 30 stanze.
La loggetta settecentesca addossata ad un torrione quadro sovrasta la porta superstite di accesso al nucleo antico, denominata Arco di Terravecchia. Si deve alla committenza dei principi Cattaneo, famiglia di origine genovese, in linea con gli orientamenti del gusto della nobiltà feudale nel XVIII secolo le cui risorse furono “impegnate per ristrutturare, ampliare ed abbellire o, non di rado, per costruire ex novo nei centri abitati castelli e palazzi e nelle campagne ville suburbane, casini di caccia ed edifici massarili, che servivano a soddisfare esigenze sia di rappresentanza e di divertimento, sia di organizzazione e di controllo delle attività produttive”. Queste ristrutturazioni si legano spesso alla fase ricostruttiva successiva al terremoto del 1731 che vide il concorso di progettisti e maestranze, locali e napoletani.
L’attuale prospetto (lato orientale)), costruito nell’ultimo quarto del XIX secolo, scandito orizzontalmente da un lungo balcone e arricchito da un portale a sesto acuto, occulta l’originaria parete a scarpa.
Ritenuto dalla letteratura un edificio di età angioina o aragonese (Arthur Haseloff), in realtà il castello presenta un consistente nucleo medievale (XI-XII secolo), ancora leggibile nell’impianto e nel paramento murario.
La parte più antica ritengo infatti possa essere costituita dal lato settentrionale, ubicato di fronte alla chiesa di San Giorgio, serrato tra le due torri a pianta quadrangolare. In particolare, il nucleo originario doveva essere costituito dalla torre più stretta che plausibilmente, doveva svettare isolata secondo moduli consueti,
leggibili ad esempio nei castelli di Deliceto e di Pietramontecorvino.
L’esistenza di un edificio medievale è confermata inoltre – come già accennato – dall’inserimento nello Statutum de reparatione castrorum: il Castrum S. Nicandri è infatti menzionato tra il Castrum Paganum de Capitanata e il Castrum Deviae. Ad avvalorare l’origine medievale il Tozzi citava anche la data incisa su una lastra (a sinistra del ponte levatoio), erroneamente letta A.D. 123824: in realtà deve intendersi 1738 e quindi correlarsi alle ristrutturazioni promosse dai principi Cattaneo.
Infine, al XVI secolo appartiene la torre costiera di Torre Mileto, citata nella cartografia come Melet, Torre de Moletta, Torre de Maletta o Moletto, costruita all’interno di un disegno di fortificazione vicereale. Tra il 1560 e il 1563 il viceré di Napoli Parafan de Ribera, duca d’Alcalà, ordinò la costruzione delle torri litoranee delle quali sopravvivono, lungo il litorale compreso tra Sannicandro e Cagnano, Torre Mileto e Torre Calarossa. Le torri dovevano essere costruite per conto e sotto la direzione del potere centrale, i siti venivano individuati in base a criteri legati alla distanza tra le torri: ciò consentiva la massima visibilità e la possibilità di segnalare il pericolo. Sorsero quindi in posizioni panoramiche, emergenti e non ebbero grandi dimensioni in quanto non erano destinate ad accogliere molti uomini.
Le torri costiere presentano alcuni elementi comuni: ingresso sopraelevato e difeso da caditoie, accesso dal lato terra e parete cieca verso il mare, struttura troncopiramidale, parete rettilinea all’interno e a scarpa all’esterno.
Su questa linea, Torre Mileto fu realizzata nel 1568, e successivamente sopraelevata. Ha pianta quadrangolare (lato di m. 20 circa), forma troncopiramidale e base scarpata. Una rampa di scale rettilinea in pietra consente di raggiungere l’accesso; in alzato sono leggibili cinque caditoie realizzate in controscarpa e raccordate da una fascia di coronamento e la cornice a beccatelli. (Rosanna Bianco)