SAN NICANDRO GARGANICO, CONOSCIAMO MEGLIO QUESTO PAESE (1^ PARTE)

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Poiché i tre articoli sulla “Storia di San Nicandro” hanno fatto rilevare migliaia di visualizzazioni, si vuole proporre un ulteriore contributo (in quattro puntate) di notizie di carattere storico, mitico e turistico per la conoscenza di San Nicandro Garganico.

La parola “Sannicandro” viene dal greco e vuol dire alla lettera “vittoria dell’uomo” (da NICHE’ – vittoria e ANER – dell’uomo). Nella terminologia dialettale del luogo si notano inoltre molti vocaboli perfettamente identici a quelli greci. Ad esempio “candr” – vaso è identico al greco XANDER – recipiente e quando qui si vuol dire “io vado da mia madre” si dice “vai accatta mamma” dove il termine dialettale “accata” deriva dalla preposizione greca KATA’ che è, appunto, un complemento di moto a luogo con significato di “giù, verso”. Da ciò deriva l’artica leggenda sul nome di San Nicandro Garganico, Eccola. Caduta Troia verso l’anno 1100 A.C. il leggendario Diomede, con alcuni compagni, abbandonò la patria e si diresse verso altri lidi, approdando infine alle incantevoli Tremiti. Durante il viaggio un guerriero geco cadde in mare al largo della contrada Torre Maletta (Mileto). L’uomo lottò contro gli elementi avversi ed, infine, quasi morente, fu scaraventato sul litorale garganico mentre i compagni seguitavano il loro estenuante tragitto verso le isole incantate dove Diomede avrebbe terminato la sua grande avventura, dando loro il suo nome: da lui, infatti, furono chiamate isole Diomedee. Il naufrago venne raccolto e amorosamente curato dai nativi di Montedelio o Montedevio, una piccola cittadina che sorgeva sulla collina omonima. Il naufrago era un giovane avvenente e forte, dai lineamenti puri, caratteristici della stirpe ellenica. Durante la degenza, però, egli pensava sempre ai cuoi compagni ed era fermamente deciso a raggiungerli, non appesa fosse stato in grado di affrontare il mare. “Chissà – pensava – se questa brava gente sarà in grado di fornirmi una qualsiasi piccola imbarcazione, purchè atta al tragitto”. Ma a Montedelio egli doveva rimanere per sempre perché il suo cuore venne legato dalla giovane e bella figlia del capo della comunità. Nelle incantevoli notti stellate del Gargano la voce della fanciulla cantava: “ANER dimentica la tua gente, io sono innamorata di te. Noi andremo su queste fiorite colline a danzare con le deità silvestri che popolano la contrada. Tu sarai il mio grande ANER ed insegnerai a me e alla mia gente la lingua e la saggezza ellenica. Non dovrai più, mio ANEL, affrontare l’amaro mare, né i venti marini morderanno le tue mani quando governerai i remi verso l’ignoto. Tu sarai vicino a me e la tua mano stringerà il manico del lucente aratro, qui, ai piedi della montagna garganica”.

Il greco sposò la fanciulla di Montedelio e, alla morte, del capo, venne eletto successore del suocero nel governo della gente di Montedelio. ANER era un uomo forte, leale e giusto. Disciplinò il suo popolo, educò la gente secondo i principi di giustizia del suo paese di origine, accese nei loro cuori l’amore ed il culto verso la grande madre terra, istruì i giovani nell’arte della guerra. Il che dette i suoi buoni frutti. Prima che ANER giungesse a Montedelio, gli abitanti di Uria erano soliti assalire, depredare, saccheggiare la città, Ma, quando all’ennesimo saccheggio, trovarono un’accanita resistenza loro opposta alle agguerrite schiere del nuovo capo di Montedelio, rimasero assai impressionati dal valore e dalla tecnica di quegli uomini che, nelle precedenti incursioni, non avevano accennato al benchè minimo tentativo di difesa. Gli assalitori furono tutti vinti ed uccisi e nessuno di loro potè tornare ad Uria a riferire la strage avvenuta a Montedelio. ANER però, che era un uomo assai saggio, inviò quattro ambasciatori ad Uria e riferire sull’accaduto. Gli uriani sgomenti e preoccupati decisero di accogliere come alleati quegli uomini che avevano saputo trovare nella vittoria armata la sicurezza della propria terra. Ed ANER acconsentì ad allearsi con Uria. Secondo logica egli deduceva che, quando non si può completamente annientare il nemico, è bene farselo alleato.

A distanzi di millenni un proverbio sannicandrese esprime tale concetto, oggi attuale più che mai: “Quann a un n’ lu pù ‘ccid, t’ l’ada fa cumpar” (in italiano: Quando ad uno non lo puoi uccidere te lo devi far compare).

Questa è la leggenda, ma l’origine e la provenienza degli abitanti di San Nicandro dalla stirpe greca si notano ancora nella purezza dei lineamenti e nelle tradizioni popolari. Infatti, i riti, le usanze, le abitudini di questa gente si differenziano in modo evidente da quelle degli abitanti dei centri garganici viciniori. Un esempio tipico della derivazione greca lo troviamo nel rito funebre. Quando qualcuno muore a San Nicandro i familiari piangono sul suo cadavere con gli stessi genti e gli stessi lamenti delle prediche elleniche. Il canto funebre non viene intonato in nessun altro paese del Gargano, ma è di una tragica potenza che afferra anche il forestiero. Come testimonianza della origine greca del paese i lucenti aratri che smuovono la terra, portano spesso alla luce monete greche, anfore, utensili in coccio e numerosi altri oggetti che confermano l’arrivo e la permanenza in questi luoghi di popolazioni greche. (Continua)

Luigi Scocco

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