SAN NICANDRO E LA MEDICINA POPOLARE: DIAGNOSI E CURE DELLA NONNA

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Sta per arrivare novembre il mese del vino, delle piogge ma anche delle prime influenze. I primi freddi, ma soprattutto le escursioni termiche che si abbattono su di noi come fulmini a ciel sereno, e ci ritroviamo a fare i conti con antibiotici e antidolorifici e con le file interminabili nell’ ambulatorio germinante dell’ambulatorio. E dopo la cura ci ritroviamo si guariti, ma abbioccati e intontiti.

C’era una volta la medicina popolare. Quella scienza della salute che non ti faceva attendere ore per la diagnosi del tuo dottore di fiducia, quella che non ti costringeva ad ingerire quei pilloloni che per mandarli giù ci va mezzo litro d’acqua e in bocca si crea l’alta marea! Era una valutazione rapida ed indolore, fatta di rimedi rudimentali ma efficaci. Non è facile racchiudere in una formula o categoria le molteplici manifestazioni della medicina popolare, in quanto l’eterogeneità è oltremodo vasta. Tanti sono i fenomeni che alimentano il mondo di questa cultura medica in ordine alle pratiche diagnostiche e terapeutiche. L’arte di popolane e guaritori vari ha recuperato gli insegnamenti della tradizione antica, gli ultimi brandelli della conoscenza di un tempo che, dai mitici fondatori quali Asclepio e Ippocrate, tramandandola nelle mani rozze ed inesperte delle cosiddette classi povere e subalterne. La medicina popolare italiana ed in modo particolare quella pugliese affonda le sue radici nella età arcaica e rappresenta una Summa di precetti, credenze, magie, sortilegi, che hanno accompagnato il cammino di civiltà dei vari popoli. Pratiche e costumanze varie che trovano nella loro trasmissione orale, il veicolo principale, fino a farsi tradizione dei popoli stessi.

Il Gargano e la nostra città di San Nicandro non sono immuni, anzi, tutt’ora vivono dei “rimedi officinali della nonna”. Non conosco paese del territorio che non sa e non pratica l’affasc’natura. Ancora oggi, viene usato come rimedio contro il mal di testa, più dei classici antidolorifici da banco. E’ pratico, economico e soprattutto efficace contro il malocchio; che ci crediate o meno, la gente, anche quella che si definisce “più evoluta”, quella che si definisce free, easy, cool, vuol esser rassicurata dai malefici e dalle iettature. Per chi non lo sapesse, per l’affasc’natura occorre un po’ d’acqua posta in un piatto, tre gocce di olio, tre grani di sale, tre di carbone; l’operatore si fa il segno della croce e recita una formula magica; espressioni rituali che possono essere rivelate solo la notte di Natale. Dalle dimensioni che le gocce di olio assumono nel piatto, poi, l’operatore può dire se vi è affascino e quindi garantire la guarigione, che comunque si ottiene soltanto se si crede veramente nel rito che si sta compiendo. Se dopo la preghiera l’olio sparisce è affasc’natura, se si estende a mo’ di occhio allora si tratta di “occhiatura”, se invece resta intatto è malocchio, detto anche “affasc’natura f’rrata”. In questo caso per toglierlo è necessario che al malcapitato venga “stuccata” la affasc’natura. Pertanto l’esperto taglia con le forbici l’olio incriminato.

Se con questa tecnica non v’era guarigione, all’epoca delle nostre nonne, ci si rivolgeva alle medichesse, le specialiste del “rutilio”, una sorta di libro delle streghe, che con l’ausilio di formule matematiche, astrologiche, e nozioni di anatomia, fisiognomica e cosmologia, riuscivano ad estrapolarne la soluzione del caso. La medicina popolare, dunque, si serviva di persone competenti nei casi più difficili, ma nel quotidiano, per l’ordinaria amministrazione, ogni donna, sapeva curare. Si perché la donna anni ’50 non era solo il ritratto del focolaio domestico, ma colei che lo custodiva anche quando gli agenti esterni ne turbavano la tranquillità o nuocevano la salubrità dell’ambiente e dei suoi componenti. Se non era il mal di testa con l’affasc’natura, poteva essere un senso di spossatezza guarita con le noci, frutto anche adoperato come afrodisiaco, messo dalle mamme nelle tasche dei figli maschi per farli innamorare. Oppure il cd “tornadito”, (giradito o patereccio) medicato con l’ammollo in acqua calda e sale o con un impacco alla cipolla. E ancora gli svenimenti curati col “cenc jarz” (piccolo pezzo di stoffa bruciato), il cui fumo sprigionato veniva usato al posto dei sali; le irritazioni da pannolino sanati con impacchi di stracci vecchi e una mistura di acqua e olio; i mal di pancia con tisane caserecce di acqua, limone e alloro; la verminosi dei bambini curata con una collana d’aglio appesa al collo del paziente; punture di insetti con una croce sul pizzico e il freddo della lama di coltello.

Nella medicina popolare della nostra terra quindi, grande rilievo e proprietà medicamentose hanno le cd “erbe magiche”. Quella che oggi chiamiamo fitoterapia, un tempo era largamente adoperata per preparare infusi, decotti, filtri, creme e intrugli di ogni genere. Ad esempio, il cardo veniva impiegato come depurativo del fegato; la camomilla o la calendula, per le proprietà calmanti, utilizzate per i disturbi mestruali; l’estratto del fico d’india contro i disturbi metabolici; il finocchio per ridurre il gonfiore intestinale; la borragine contro gli eczemi e i problemi di invecchiamento della pelle; l’aglio per le malattie cardio-vascolari.

Ed infine il morso della tarantola. Il malato balla al suono del violino, della fisarmonica e dei tamburelli ed il male, esorcizzato, scompare. L’abbondante sudorazione, poi, faceva espellere il veleno. Il rito della danza assume così un valore catartico e liberatorio, e nel suo cerimoniale non mancano profumi e aromi vegetali tratti da piante mediterranee quali basilico, cedrina, menta e ruta. Le “medichesse”, che praticavano queste attività terapeutiche di origini antichissime, utilizzavano una gestualità di tipo magico e contemporaneamente invocavano Santi cattolici, facendo uso del segno di Croce, caratteristica costante del loro intervento terapeutico. Come le ritualità per la cura dell’ernia e della “ngandata” per farla risvegliare dalla sua ingenuità. Molto spesso, infatti, viene invocato un Santo protettore, insieme al sole, alla luna e a certi spiriti benefici.

Non mancano poi i famosi sacchetti magici, detti “abitini”, schermi protettivi contro malattie, malocchi e malauguri. Infatti, nel sacchetto spesso viene inserito un pezzettino della stola del prete che, essendo il simbolo o lo strumento di una religione potente e dominante, è considerato un portatore di forza guaritrice, oppure viene inserito un pezzetto della corda di una campana, unitamente a chicchi di grano, riso, erbe miracolose, coda di lucertola, simboli sessuali. Ah, le nostre ave … che savie! Da considerare, comunque, che la mentalità medica primitiva non ha limiti di tempo e di spazio, giacché è costante nell’animo umano che, quando è tormentato dal dolore o atterrito dal mistero della morte, si nutre copiosamente di pratiche superstiziose, magiche e misteriche. Tuttavia, l’avvenire dell’umanità non consiste nel trovare l’elisir della immortalità fisica, ma nel vivere serenamente e in salute l’effimera ma meravigliosa esistenza che è la vita stessa.

Marianna De Pilla