Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.
Il detto di oggi è: “Da nu mul’ t’ pù ‘sptta’ na caucia” cioè “Da un mulo puoi aspettarti un calcio”
Per antonomasia, il mulo è ritenuto un animale ostinato, cocciuto e bastardo (di nascita non legittima, cioè, figlio spurio) perché, come tutti sappiamo il mulo nasce sull’incrocio di un asino con una cavalla. Questa testardaggine del mulo, la quale si manifesta solitamente tirando calci quando meno ce lo aspettiamo, è presente anche nella sua discendente, proprio per riferirci che ceri gesti si tramandano di padre in figlio. Ora, come dal supposto figlio del mulo non puoi aspettarti che calci, così da una persona educata male non puoi aspettarti che un sopruso o una offesa.
Il paragone è tra la incompatibilità del mulo all’azione addestrativa dell’uomo è la cattiva educazione ricevuta da un soggetto umano, il quale agisce nel controsenso dei valori che costituiscono la forma e l’essenza sostanziale del rapporto tra uomini. Questo significa che da un ragazzo sgarbato, rozzo e incivile puoi sempre ricevere un’offesa o subire un affronto d’onda la cautela di evitare “calci” rischiosi.
Insomma, non hanno torto i nostri vecchi quando, a modo loro, cercano di farci capire che certi caratteri psicosomatici sono atavici, cioè, rinviano a remoti antenati.
È una tesi che trova confronto reti anche nella scienza ufficiale, nel senso che certe manifestazioni trovano la loro origine nel DNA del ceppo familiare di appartenenza; ragione per cui, oggi più che ieri, nella valutazione delle persone è necessario molto attentamente anche alla provenienza e al ceppo familiare. È già un errore se consideriamo le problematiche sociali del tempo presente ove, guarda casa, i “calci” ci pervengono persino da persone sulla cui condotta irreprensibile noi avremo sicuramente garantito. Figuriamoci poi, se già all’origine la stirpe è scarsamente raccomandabile per via di quella “nomea” che si tramanda di padre in figlio, cioè m da una generazione all’altra, quale triste presagio di problematici rapporti umani, se mai dovessero essercene.