SAN NICANDRO: “CHI LA VO’ COTTA E CHI LA VO’ CRUDA”

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Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “Chi la vò cotta e chi la vò cruda”, cioè “Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda”.

La tesi popolare esprime la difficoltà e le complicazioni che solitamente i contendenti incontrano prima di raggiungere un determinato accordo., Essa ribadisce le diversità delle opinioni e degli atteggiamenti delle singole persone, tant’è che ciascuno di noi vede e interpreta la stessa realtà a seconda delle esperienze fatte. Di solito, ciò avviene perché ciascuno vuole che le cose vadano in una certa maniera, cioè, nella direzione di certi interessi da soddisfare. Si tratta di contemperare due o più volontà, ma sempre protese nella direzione di un profitto poco lecito. Il riferimento alla vivanda cotta o meno cotta è soltanto allusivo di una situazione che, viceversa, è tutta di carattere politico-amministrativo. Questo è il vero aspetto significativo del proverbio, aspetti che a noi maggiorenni ci hanno caldamente raccomandato. Naturalmente conciliare le diverse ideologie e, dunque, i nascosti interessi dei vari politicanti, non è un’impresa facile, anche se noi siamo convinti che l’incontro tra i cointeressati e il civile confronto delle loro idee dovrebbero rimuovere ogni ostacolo e consentire la giusta soluzione con il compiacimento e il gradimento di tutti.

Le diversità dio opinioni e di atteggiamenti intorno ai problemi assillano la società o una piccola comunità è certamente segno di sensibilità, di attenzione e di vivacità culturale. Queste manifestazioni, però, dovrebbero trovare  la loro naturale composizione non in una giustapposizione delle diverse opinioni espresse, così, tanto da non scontentare nessuno (come spesso avviene nel campo politico-amministrativo), ma in una riformulazione concettuale del problema che contemperi in modo significativo le varie richieste, dando luogo contestualmente ad una disciplina integrata e più ordinata. E sarebbe addirittura esaltante per la società se, bandendo ogni inutile bizantinismo, si riuscisse finalmente a proscrivere forme e formule compromissorie, che non hanno mai risolto i reali problemi della vita. La società civile è certamente stanca delle soluzioni di compromesso solitamente raggiunte per mezzo di reciproche concessioni e, dunque, sacrificando riconosciuti e indiscussi imperativi morali a vantaggio di azioni discutibili le quali mal dispongono sulla onestà, morigeratezza e incorruttibilità dell’uomo. Vivaddio esistono ancora i galantuomini che all’interesse personale antepongono il bene della collettività. Questa presenza sia di stimolo all’operato dei più.