REDDITO CITTADINANZA PER GLI STRANIERI? QUASI IMPOSSIBILE OTTENERLO

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Il decreto legge su reddito di cittadinanza e quota 100 (il n. 4 del 28 gennaio 2019, convertito con legge 28 marzo 2019, n. 26) contiene una norma, aggiunta al testo originario, che restringe le possibilità per gli stranieri di ottenere il sussidio monetario. La sua introduzione è stata accettata dal M5s, ma ad avvantaggiarsi della sua applicazione rigida sarà la Lega, che l’ha voluta come un tassello della sua politica di contrasto dell’immigrazione.

Per un cittadino straniero la richiesta del reddito di cittadinanza è infatti subordinata, oltre che alla soddisfazione delle condizioni previste per la generalità dei richiedenti, alla presentazione di una “certificazione rilasciata dalla competente autorità dello stato estero, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall’autorità consolare italiana” attestante la composizione del nucleo famigliare e il possesso dei requisiti relativi a limite di reddito, Isee, patrimonio mobiliare e patrimonio immobiliare.

Alcuni di questi requisiti non sono, però, certificabili neanche dagli stati dell’Unione europea. Per non andare lontano, a quale ufficio statale italiano può rivolgersi un cittadino italiano per ottenere un documento attestante il valore del suo patrimonio mobiliare? Il contribuente che presenta il 730 o il modello Unico può chiederne copia all’Agenzia delle entrate, cioè può ottenere un duplicato della dichiarazione nella quale egli stesso ha indicato i suoi redditi allo stato, il quale la ritiene veritiera, salvo sottoporla eventualmente a verifica. Non è neanche ipotizzabile che l’Isee possa essere attestato all’estero. Alla fine, il solo requisito che potrebbe essere accertato da uno straniero nel paese da cui proviene è relativo al patrimonio immobiliare lì posseduto dal suo nucleo famigliare.

Le difficoltà di accertamento. Delle difficoltà sembra essersi resa conto la stessa maggioranza di governo. Infatti, sono stati esentati dal presentare la certificazione i rifugiati politici, i cittadini degli stati con i quali l’Italia ha sottoscritto convenzioni internazionali che prevedono altre modalità di accertamento e quelli dei paesi “nei quali è oggettivamente impossibile acquisire la certificazione”. La lista di questi stati dovrà essere contenuta in un decreto del ministro del Lavoro da emanare, di concerto con quello degli Esteri, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del Dl 4/2019.

L’impatto della norma dipenderà, pertanto, dal contenuto di quel decreto, dai requisiti e dalle condizioni da attestare. Se prevarrà la volontà di massimizzare il ritorno politico-elettorale di impedire l’accesso al reddito di cittadinanza al numero maggiore possibile di stranieri, imporrà adempimenti difficili, quando non impossibili, da portare a termine. Poiché il contenuto devono deciderlo il ministro del Lavoro (M5s) e quello degli esteri (che non risulta essere leghista), se il decreto assecondasse quest’obiettivo, si produrrebbe il classico caso di chi scrolla l’albero per far cadere i frutti nel giardino del vicino, che qui non sembra propriamente un amico.

Per dare alla norma un’applicazione equa, il decreto ministeriale dovrebbe evitare di chiedere agli stranieri una certificazione di condizioni impossibili o estremamente macchinose e costose da accertare anche in un solo paese dell’Unione europea da parte delle autorità statali che hanno il compito di verificare la veridicità delle dichiarazioni prodotte dai loro cittadini per accedere a prestazioni sociali agevolate.

Per esempio, non sarebbe facile per la Garde des finances controllare se è veritiera la dichiarazione fatta da un cittadino francese relativa al patrimonio immobiliare posseduto su tutto il territorio del paese, dato che oltralpe i 354 uffici che tengono i registri immobiliari sono indipendenti, non interagiscono tra loro e non esiste un portale unico per la loro consultazione. Anche in altri paesi dell’Unione non sarebbe agevole certificare di non possedere immobili su tutto il territorio nazionale. In Grecia il registro elettronico delle proprietà immobiliari copre solo le regioni in cui è terminato il rilevamento catastale e il Lussemburgo non ha ancora una versione elettronica del registro immobiliare; a Malta il catasto delle proprietà immobiliari non copre tutte le isole dell’arcipelago. Laddove la tenuta dei registri immobiliari non è centralizzata e informatizzata ma è distribuita a livello locale, condizionare l’erogazione di un sussidio o di qualsiasi altra prestazione agevolata alla certificazione dell’impossidenza immobiliare su tutto il territorio nazionale significa erigere una barriera pressoché invalicabile. Sia nei paesi dell’Unione sia nei paesi terzi.

Un decreto più dettagliato. Il decreto ministeriale non dovrebbe, pertanto, contenere una semplice lista di paesi “nei quali è oggettivamente impossibile acquisire la certificazione”, perché verosimilmente sarebbe molto breve; né dovrebbe mettere sullo stesso piano cittadini provenienti da paesi con un diverso sviluppo della loro struttura amministrativa e perciò non in grado di fornire la stessa certificazione. Sarebbe sicuramente più equilibrato se indicasse in dettaglio la documentazione che realisticamente può essere chiesta agli stranieri, avendo la certezza che possono procurarsela, in ognuno dei loro paesi di provenienza, senza fare salti mortali e con costi non esorbitanti.

Il decreto del ministero del Lavoro dovrebbe, in sostanza, contenere per ogni paese una scheda di ciò che può essere documentato. È un lavoro un po’ più complesso di un nudo elenco di stati. Potrebbe, però, ridurre il rischio di una censura della norma da parte della Corte costituzionale, che più volte ha ribadito la possibilità di una disparità di trattamento, nell’accesso a determinate prestazioni sociali, tra cittadini dei paesi dell’Unione e stranieri, a condizione tuttavia che la diversità non si traduca nella “irragionevolezza”.

In alternativa, il ministro del Lavoro potrebbe riportare nel suo decreto la normativa della Regione Toscana (Allegato A, legge regionale 2 gennaio 2019, n. 2 in materia di edilizia residenziale pubblica). Prevede che: a) per concorrere all’assegnazione di una casa popolare non si deve avere la “titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione su immobili o quote di essi ubicati su tutto il territorio italiano o all’estero”; b) per l’accertamento di questo requisito, il comune può richiedere idonee verifiche. Qualora dalle verifiche non sia possibile acquisire tali informazioni “fa fede il quadro relativo al patrimonio immobiliare della dichiarazione Isee”. Potrebbe però sembrare una proposta provocatoria: sarebbe come chiedere alla maggioranza di governo l’ammissione di avere fatto tanto rumore per nulla. (lavoce) (foto.tpi.it)

Raffaele Lungarella