QUANDO A FOGGIA STALLA E CASA ERANO UNA COSA SOLA

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La puntata odierna di Memorie Meridiane, la rubrica del nostro blog che regala a lettori ed amici gadget digitali che riguardano il nostro passato e la nostra identità, è dedicata ad un documento veramente interessante: una delle prime fotografie scattate a Foggia. Risale ad una data anteriore al 1906, ne è autore Frederick Hamilton Jackson, artista, designer e scrittore inglese, vissuto a cavallo tra l’800 e il ‘900.

Jackson ha raccontato la Puglia nel bel libro The shores of the Adriatic, the italian side: an architectural and archeological pilgrimage (Le rive dell’Adriatico, il versante italiano: un pellegrinaggio architettonico e archeologico), molto ricco di disegni (che vi offriremo nei prossimi giorni, perciò state in campana e fate il nodo al fazzoletto…)

Lo scrittore ed artista visitò Foggia ed altri centri della Capitanata (Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Lucera, Troia) in diverse occasioni, com’egli stesso ricorda.

La sua curiosità è attratta non soltanto dai monumenti, ma anche dagli stili di vita della popolazione, come dimostra la fotografia, intitolata Stable and house in one, Foggia (Stalla e casa in uno stesso ambiente a Foggia).

Particolarmente interessante e a tratti divertente, è la descrizione dei costumi e del modo d’essere dei foggiani, che potete leggere più avanti. Un libro di viaggio inconsueto.

Nel libro non sono presenti molte fotografie “sociali” o interni di abitazioni, come quella che riguarda Foggia, e che risulta perciò ancora più originale. L’immagine offre uno spaccato efficace della vita nel capoluogo dauno all’inizio del secolo scorso: non è certo un’abitazione ricca, ma per essere anche una stalla, è pulita e tutto sommato ordinata.

Vi ricordiamo, come sempre, che quella che illustra l’articolo è solo una miniatura di quella originale, che potete guardare o scaricare cliccando qui.

Ma veniamo al racconto di Foggia. Per quanto riguarda i monumenti, la descrizione è piuttosto convenzionale. Jackson parla della Cattedrale, del Palazzo Imperiale di Federico II.

Dove la narrazione diventa particolarmente originale è nel momento in cui lo scrittore si sofferma sugli stili di vita della città, lodando in particolare la situazione igienico sanitaria, il carattere amichevole della popolazione e smontando alcuni luoghi comuni.

Una diffusa attenzione alla salute delle persone contraddistingue i regolamenti comunali di Foggia. Il latte non viene trasportato in barattoli, ma le mucche sono condotte, accompagnate dai loro vitelli (a volte legati alla coda) e spesso anche da alcune capre da latte, e vengono munte sulla porta.

Hanno targhe di metallo con numeri appesi sulle corna, perché sono tutti i capi sono registrati e ispezionati, e sembrano davvero in ottime condizioni. La carne viene inoltre timbrata dagli ispettori comunali prima di essere venduta.

La prima volta che abbiamo visitato Foggia siamo arrivati ​​la sera tardi. Alla stazione fummo avvertiti da un funzionario che parlava inglese che tutti i foggiani erano ladri e ci consigliò di non impiegare facchini per trasportare le nostre cose. Un bel biglietto da visita per una città ancora sconosciuta!

Si offrirono due uomini che portavano sul berretto il nome dell’albergo dove eravamo diretti, così lasciammo prendere le nostre valigie, e uno di loro mi consigliò subito di fare un patto con l’albergatore prima di prendere.

Abbiamo trovato l’albergo in fase di ristrutturazione e abbiamo dovuto aspettare che i letti fossero rifatti; io e i miei compagni eravamo così stanchi che rimandammo le trattative al mattino successivo, ma non si rivelò una buona idea. Trovammo lì vicino un piccolo ristorante che era molto ragionevole nei prezzi ed eccellente nella gestione, così che non andò tutto perduto, e poiché questo era un locale frequentato quasi esclusivamente da italiani, avemmo l’opportunità di studiare i loro usi e costumi.

Una sera un gruppo di reclute stava cenando nell’angolo opposto, un po’ prima dell’ora solita, e pensai che sarebbe stato divertente brindare alla salute dell’esercito italiano, cosa che suscitò non poco entusiasmo, e grida di Viva l’Inghilterra!

Sfortunatamente, una delle reclute era tornata dall’America per compiere il suo periodo di servizio militare e parlava americano più o meno accuratamente. Inoltre aveva offerto vino agli altri e aveva bevuto lui stesso a sufficienza. Ci raccontò particolari della vita militare e della disciplina alla quale erano sottoposte le reclute, e dei loro divertimenti, che trovammo molto divertenti ma impubblicabili, e volle regalarci diversi cose.

La sala si stava riempiendo di clienti abituali e abbiamo fatto molta fatica a sbarazzarci di lui, ma per fortuna tutte le reclute devono essere in caserma entro le 20, così i suoi compagni lo hanno portato via e mi sono scusato con gli altri signori per l’eventuale disturbo che l’incidente poteva aver causato.

L’anno dopo dovemmo fermarci un po’ di tempo alla stazione, e il cameriere che ci servì il caffè mi guardò e disse: «Non eri a Foggia l’anno scorso?» Alla mia risposta affermativa sembrò molto contento di vederci e aggiunse che era stato il cameriere al ristorante dove avevamo incontrato i soldati.

Questi uomini hanno una straordinaria memoria dei volti delle persone. A Manfredonia, in una seconda visita andammo al ristorante dove avevamo cenato l’anno prima. Entrai e chiesi se potevamo prendere un caffè fuori.

Il cameriere mi riconobbe subito e disse: «Come stai?» come se salutasse un vecchio amico; e prima ancora, arrivati alla stazione, il vetturino che ci aveva accompagnato l’anno prima ci salutò con un grido e uno sventolio selvaggio della frusta, appena comparimmo tra la folla di pellegrini che si riversava all’uscita della stazione. (Geppe Inserra – lettere meridiane)