I dati sulla crisi italiana e internazionale connessa al coronavirus sono così ampi ed estesi che non vale la pena di ripeterli ancora una volta. Meno chiare appaiono le strategie di “riapertura” tanto per la nostra economia quando per i normali cittadini. È giunto il momento di porsi con molta attenzione il problema considerando che, dalle parole del governo, sembrerebbe che a partire dall’inizio di maggio potremo vedere realizzate le prime timide aperture.
Quali strategie. In questo momento in cui si iniziano a intravedere i primi risultati del lockdown (ma siamo ancora impegnati nella lotta al picco del virus), è sempre più urgente programmare il modo in cui nelle settimane a venire ci si debba preparare per la riapertura graduale del paese. Diverse le proposte sul tavolo, sempre associate a una cautela particolare per gli anziani: per fasce di età, per esempio, considerando che la mortalità per la popolazione al sotto i 55 anni è davvero molto bassa. Oppure per regioni o province, considerando che non tutto il paese è stato colpito in maniera uniforme. Oppure per categorie merceologiche omogenee: in questi giorni si discute della possibilità di dare il semaforo verde ai settori alimentari e agricoli non strettamente di prima necessità. Resta comunque il tema della riapertura per il resto del sistema produttivo e dei servizi: il commercio, l’artigianato, i ristoranti, le pizzerie e i bar non potranno resistere in eterno.
Il futuro prossimo. Tutti gli studi di natura epidemiologica suggeriscono che una riapertura incondizionata e prematura porterebbe ad un nuovo incremento dei contagi e dunque dei decessi. Tutte le epidemie, anche in assenza di interventi di confinamento, sono destinate ad esaurire loro spinta. La celebre “spagnola” è rimasta attiva per due anni circa mietendo un imprecisato numero di vittime (si parla di 50-100 milioni di persone quando la popolazione mondiale era di circa 2 miliardi).
Il tema del confinamento e i tempi dello stesso non risolvono completamente il problema: ci si dovrebbe accertare al più presto rapidamente della reale composizione della popolazione italiana tra ex contagiati (riconosciuti o meno) che godono del vantaggio di non essere più contagiabili e popolazione ancora immune. Una serie di test con tamponi e anticorpi monoclonali che comprenda uno o più esperimenti con ampi campioni stratificati (per esempio 10 mila persone) darebbe un grandissimo aiuto soprattutto se si potesse adeguatamente seguire nel tempo l’evoluzione clinica di quella parte della popolazione non ancora contagiata. Ben si comprende la rilevanza del problema se si scoprisse, per esempio, che i potenziali contagiabili fossero il 10 per cento o il 40 per cento della popolazione. Ne risulterebbe di converso che il 90 per cento o il 60 per cento della popolazione sarebbe immune e dunque potrebbe riprendere la propria vita.
Indici. È anche necessario trovare un criterio per monitorare e valutare l’andamento delle infezioni. Il rapporto illustra ovunque un andamento decrescente da diversi giorni, ma con valori assoluti diversi. Mentre in Lombardia è stato attorno al 20 per cento e solo recentemente ha cominciato a scendere, in Emilia-Romagna è attorno al 10 per cento, mentre in Veneto è ormai stabilmente attorno al 5 per cento. Si tratta di una misura molto cruda del tasso di diffusione del virus, soggetta a molteplici distorsioni: diverse scelte nella politica dei tamponi, disponibilità degli stessi, selezione dei soggetti da tamponare in modo non stratificato statisticamente, etc. Tuttavia è anche l’unica misura della diffusione del virus che possiamo stimare. Probabilmente si tratta di una misura sovrastimata perché si tende a testare di più chi mostra già sintomi; sappiamo però che i positivi asintomatici non sono molti. Ma al di à di queste questioni che potranno meglio essere valutate dagli epidemiologi, rimane il fatto che questo diventa un indice che può fungere da input alle decisioni. Quando allentare le misure? Quando l’indice è zero? chiaramente no, perché potrebbe passare molto tempo. Probabilmente dovremo trovare un livello accettabile (5-10 per cento?) e poi continuare a monitorare la situazione per modulare il distanziamento sociale in modo da averlo sempre sotto controllo.
La ripartenza. È altresì chiaro che le misure necessarie per affrontare la pandemia, proteggere l’economia e far ripartire il paese condurranno a una situazione in cui le risorse usate oggi dovranno pur esser restituite. Al di là degli arzigogoli tra “coronabond” e Mes depotenziato resta un punto da esaminare. È pensabile che l’anemico tasso di sviluppo che abbiamo visto negli ultimi anni possa sostenere un servizio del debito che aumenterà considerevolmente per i prossimi anni? Dovrebbe essere chiaro che dovremo affrontare quelle riforme strutturali che finora sono mancate e che adesso diventano una necessità inderogabile per evitare situazioni complesse e ridare pace, tranquillità e prosperità al paese. Si sa che non esistono pranzi gratis e dunque nessuno farà sconti: occorrerà cogliere quest’occasione per affrontare i nodi che hanno fin qui impedito, appesantito e azzoppato la nostra crescita. Approfittiamo di questa imprevista pausa per rilanciare la formazione e le università, dotiamoci di istituzioni efficaci per il finanziamento della ricerca e innovazione che trattengano i nostri talenti e ne attirino da fuori.
È necessario pianificare ora ciò che faremo una volta superata la fase critica. In questi giorni si sente spesso parlare a sproposito di guerra e dopoguerra: niente di quello che stiamo vivendo è paragonabile a una guerra, ovvero alle condizioni del paese nel 1945 dopo due guerre mondiali unite ai disastrosi effetti dell’influenza “spagnola”. Ma una lezione da quel periodo non deve essere dimenticata: toni bassi, poche chiacchiere, scarse polemiche e coesione politica e istituzionale. (lavoce)
Alessandro Lanza, Antonio Navarra e Riccardo Valentini