PERCHÉ SI DICE…

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(carrellata di alcuni detti, che spesso citiamo senza sapere il perché)

U V’STIT’ SÈNZA SACCÓCC’ (Il vestito senza tasche) Spesso facciamo dell’umorismo anche per le cose macabre. Per esempio, per augurare a qualcuno che starebbe bene dind’a lu tavut’, per non dire papale papale che starebbe bene nella bara, gli diciamo: “ch’ tté c’ vulésse’ nu v’stit’ sènza saccócc’!”. Per tale indumento conosco un detto che è una specie di indovinello che dice: “Se lo indovini te lo regalo”, stai a sentire: Chi lu fa, lu fa ch’ vénn’, chi c’ lu ccatta nn’ l’adóp’ra chi lu t’è ngódd’ ng’ lu véd’!”

La descrizione non fa una piega.

SAND’ ND’A LA CHJÉSA, DIAVUL’ DIND’A LA CASA (Santa in Chiesa, diavolo in casa) È una locuzione bella ed efficace e risponde pienamente a verità perché attribuita specialmente alle bigotte (sbrezóch’) che sono quelle false cattoliche che vanno in chiesa magari tutti i giorni, pur vivendo una vita lontanissima dai veri precetti cristiani, perché sono pettegole, attaccabrighe, maldicenti, piantagrane e, come dicono i sannicandresi “p’cc’calitt’” cioè creatrici di discordie. Quindi nelle famiglie dove vivono le vecchie bigotte per isterismo o per chissà quale malformazione cerebrale, ci sono continue cagnare per i motivi più futili e perciò, senza una ragione al mondo, manca sempre la pace e la serenità che dovrebbe regnare sovrana in una famiglia cristiana.

Emanuele Petrucci