Il referendum abrogativo all’esame della Consulta. È una settimana decisiva per capire cosa succederà alla legge elettorale e, forse, anche alla legislatura. Mercoledì 15 gennaio la Consulta dovrebbe decidere se approvare o meno la richiesta di referendum abrogativo che cancella parti sostanziali dell’attuale legge elettorale. Nel contempo, la maggioranza ha presentato una proposta che reintroduce un sistema decisamente proporzionale. A complicare le cose, la richiesta di referendum confermativo per la modifica costituzionale che ha diminuito il numero dei parlamentari. Insomma, una confusione istituzionale di cui forse non si sentiva davvero il bisogno.
La Corte costituzionale è chiamata a decidere se il referendum promosso dalla Lega e presentato da otto Consigli regionali (secondo il comma 1 dell’articolo 75 della Costituzione) è ammissibile o meno. Nel caso di vittoria del “sì”, il referendum cancellerebbe la parte proporzionale dell’attuale legge elettorale e ne produrrebbe una sostanzialmente maggioritaria e con collegi uninominali.
Ci sono diversi buoni motivi per pensare che la Consulta darà parere negativo. Tecnicamente, infatti, la nuova legge non sarebbe direttamente applicabile; inoltre – ma questa è un’opinione del tutto personale – di recente la Corte ha sempre mostrato una certa “antipatia costituzionale” per gli elementi maggioritari delle leggi elettorali in vigore. Ed è proprio di questi giorni l’iniziativa legislativa quasi unanime della maggioranza per nuova legge elettorale proporzionale, vale a dire, l’esatto opposto di ciò che accadrebbe con la vittoria del “sì” al referendum abrogativo sottoposto alla Consulta.
L’unica certezza, in tutto questo, sembra essere che a nessuno in Parlamento sembra piacere l’attuale legge, nonostante questa sia stata approvata solo un paio di anni fa. Ma qual è il contenuto della nuova proposta della maggioranza?
Come funziona la proposta della maggioranza. L’iniziativa del Movimento 5 stelle, sostenuta dalla maggioranza parlamentare, prevede un procedimento esattamente opposto a quello proposto dai referendari: cancellare tutti i riferimenti ai collegi uninominali dall’attuale legge elettorale. Per la Camera (e in misura simile per il Senato), il sistema, pur con qualche modifica, diventerebbe quindi totalmente proporzionale, con assegnazione dei seggi alle liste a livello nazionale e ripartizione poi degli stessi sulla base delle cifre elettorali ottenute nei singoli collegi plurinominali (di dimensioni ridotta, da 3 a 8 candidati). Niente a che vedere con la Spagna, che assegna i seggi a livello di singola circoscrizione e che quindi premia i partiti più grandi. Ma niente a che vedere nemmeno con la Germania, che invece sceglie gli eletti sulla base di votazioni in collegi uninominali, pur attribuendo i seggi su base proporzionale.
Non sarebbe possibile esprimere preferenze e vigerebbe una soglia di sbarramento a livello nazionale del 5 per cento, superabile solo nel caso in cui “abbiano ottenuto almeno tre quozienti nell’ambito di almeno due Regioni” (articolo 1 della proposta). Insomma, qualcosa non identico, ma decisamente simile al sistema italiano pre-1993.
Quali sarebbero gli effetti se una simile proposta andasse in porto? Ovviamente, pur sapendo che il sistema elettorale modifica esso stesso l’offerta politica, potremmo pensare che nessuno degli attuali blocchi potrebbe ottenere la maggioranza assoluta, consegnando così grande potere a quei partiti più piccoli ma centrali (Italia Viva, Forza Italia, lo stesso Movimento 5 stelle) che risulterebbero ago della bilancia. Il proporzionale costituisce un vecchio cavallo di battaglia del M5s che, all’inizio della scorsa legislatura, depositò una (scarna) proposta di riforma che ricorda molto da vicino quella attuale, se non per la presenza (allora) della possibilità di esprimere preferenze. Clamoroso – ma certo non sorprendente – il cambio di prospettiva per Partito democratico e Italia Viva, almeno rispetto a quanto fatto (e approvato) in questi anni. In modo simile si può ovviamente commentare anche la posizione della Lega, un tempo forza spiccatamente proporzionalista.
Il dibattito ormai continuo e i numerosi interventi legislativi in materia elettorale degli ultimi trent’anni evidenziano un solo, grande, orientamento comune: ogni forza politica, a seconda della propria dimensione e convenienza elettorale, ha cambiato almeno una volta idea sulla legge elettorale. Sia chiaro: la Costituzione sta cambiando ed è quindi molto più corretto che in altri periodi rimettere mano alla legislazione elettorale. E il rischio di avere una legge elettorale decisa dalla Corte costituzionale dovrebbe ulteriormente stimolare il legislatore a cercare una soluzione (si spera) definitiva. Ma per evitare il protrarsi infinito di questo (brutto) spettacolo, è arrivato il momento di inserire le norme elettorali esplicitamente in Costituzione, mettendole così al riparo dai venti che tirano e che cambiano ogni sei mesi. (lavoce)
Paolo Balduzzi