E’ stato chiesto a Civico93 una intervista rilasciata da una sannicandrese su Donato Manduzio. Sicuramente sarà l’intervista rilasciata da Grazia Gualano, ricercatrice di storia dell’ebraismo sannicandrese al giornalista Sergio Franzese che noi, volentieri pubblichiamo.
La vicenda è, o perlomeno dovrebbe essere, abbastanza nota nell’ambiente ebraico, ma tanto vale accennarne a grandi linee per poi mettere a fuoco alcuni aspetti dell’attualità.
Nel pieno di un’Italia fascista e clericale (ma come potremmo definirla quella di oggi?) un bracciante pugliese di nome Donato Manduzio ricevette in dono da un suo compaesano una Bibbia, che questi aveva ottenuto da un predicatore pentecostale. Manduzio, privo di istruzione scolastica ma amante della lettura, scoprì in questo modo l’esistenza e le vicissitudini del popolo ebraico, che credeva ormai estinto. Avendo maturato la certezza, anche attraverso l’interpretazione di alcuni sogni, di essere stato scelto per comprendere il messaggio salvifico contenuto nella Torah, iniziò a seguirne scrupolosamente le prescrizioni. Donato Levi Manduzio, come aveva stabilito di chiamarsi, levita non per appartenenza ma per “elezione divina”, incominciò così a celebrare lo Shabbat e le feste ebraiche ed a radunare intorno a sé un crescente numero di persone. Quando venne a sapere da un forestiero che gli ebrei non erano scomparsi e che esistevano addirittura diverse comunità sparse per l’Italia, Manduzio iniziò a stabilire con queste dei contatti. I rapporti furono dapprima infruttuosi ed in certi momenti anche conflittuali, ma infine condussero questa piccola comunità (che nel frattempo era venuta in contatto anche con soldati volontari ebrei della Palestina Mandataria giunti in Puglia nel 1943) verso una piena integrazione in seno all’ebraismo. Nel 1946 il Beth Din di Roma accolse ufficialmente gli adepti e procedette alla milà di 13 uomini; negli anni che seguirono, tra il 1948 ed il 1950, la maggior parte degli ebrei di Sannicandro (circa 70 persone) fece l’aliyah. I discendenti di quei convertiti vivono tuttora con le loro famiglie in Erez Israel.
A Sannicandro Garganico, quasi ottanta anni e cinque-sei generazioni dopo, è in corso un secondo risveglio ebraico che vede attualmente coinvolte una cinquantina di persone.
Le domande che seguono le abbiamo rivolte a Grazia Gualano, ebrea e studiosa dell’ebraismo sannicandrese.
Potresti raccontarci che cosa accadde alla comunità di Sannicandro Garganico dopo che, tra il 1948 ed il 1950, quasi tutti i suoi membri emigrarono in Israele?
Agli inizi del 1948, da Sannicandro Garganico, partirono circa in 70 (la maggior parte della comunità) spinti dal grande desiderio di andare nella Terra Promessa che D-o aveva dato al suo popolo. Particolare curiosità ha destato l’opposizione di Donato Manduzio a tal proposito, infatti nel suo Diario e dalle testimonianze pervenuteci dagli ebrei di Sannicandro ancora in vita in Israele, egli esprime con particolare chiarezza di non volere, in quel periodo, che i membri della comunità andassero in Israele dicendo: “ Non è questo il momento giusto per andare in Israele, arriveranno momenti migliori e allora potrete andare ed inoltre io penso che se noi siamo nati qua, in questo periodo, vuol dire che un motivo deve esserci e che vi è un disegno Divino”. Queste parole però non furono ascoltate dalla comunità che subito dopo la morte di Manduzio partì in più ondate. Dovevano andare via tutti e con loro sarebbe andato via l’ebraismo da Sannicandro Garganico, questo piccolo paesino di circa 20.000 uomini. Ma per alcuni problemi e disguidi restarono quattro donne, tra le quali la moglie di Manduzio, ed ecco riecheggiare nella mia mente le parole di Manduzio “se noi siamo qui un motivo deve esserci” perché, pensate, queste quattro donne fecero rinascere e rifiorire una comunità che attualmente conta circa 40-50 membri che con grande fede hanno continuato ad osservare lo Shabbath e le festività, educando i loro figli nell’ebraismo e tramandando di generazione in generazione il grande amore per D-o Benedetto e per l’osservanza dei suoi precetti.
In che modo la storia degli ebrei di Sannicandro Garganico è stata raccontata da chi se n’è occupato e quali inesattezze rispetto alla realtà storica hai potuto rilevare nei libri e negli articoli che hai letto o nei programmi televisivi andati in onda?
Nel corso di questi ottanta anni molti sono stati gli studiosi e i registi che hanno voluto narrare, a loro modo, la storia di Donato Manduzio e dell’ebraismo a Sannicandro Garganico. Tra i primi citerei uno dei testi che diede maggiore notorietà a questa storia, si tratta di “San Nicandro. Un paese del Gargano si converte all’ebraismo” di Elena Cassin. Sulla storia narrata non ho trovato tante inesattezze, poiché la Cassin ebbe la possibilità di fotografare, copiare e revisionare tutto il diario di Manduzio, ma avrei qualcosa da dire sui commenti che l’autrice fa sulla storia stessa. Tanto per fare un esempio usa il termine “setta”, che certamente non si addice né alla comunità di allora né tanto meno a quella di oggi. Lo stesso termine fu usato a più riprese da molti altri studiosi, giornalisti e via dicendo. Potrei citare il romanzo di Phinn E. Lapide, il famoso generale W. Aron Phincas citato nel diario di Manduzio e che giunse a Sannicandro Garganico con la brigata nel 1943 chiedendo a Manduzio la possibilità di copiare tutto il suo diario per poter poi in futuro narrare questa storia a tutto il mondo, pubblicato in Italia nel 1958 con il titolo “Mosé in Puglia”; oppure potrei parlare del documentario “San Nicandro” di Alexandra Pisar-Pinto e Pierre-Henry Salfati, prodotto nel 2002 dalla BBC, realizzato con lo scopo di mostrare agli spettatori un racconto fuori dal comune che purtroppo contiene diverse inesattezze. Potrei elencarne altri ancora e dire alla fine che tutti coloro che hanno avuto modo di conoscere questa storia dalle fonti dirette hanno saltato sempre una nota importante che Manduzio stesso ha lasciato: “Qui si raccomanda al lettore di non macchiare questa storia perché è la giusta parola di D-o”.
Oltre al volume Fonte di ogni bene ed al Cd so che è in preparazione un documentario che verrà presentato in occasione della prossima Giornata Europea della Cultura Ebraica. Potresti parlarcene spiegandoci qual è stato il tuo ruolo e quello della comunità ebraica sannicandrese alla realizzazione di entrambe le iniziative?
Nel primo progetto, ovvero la realizzazione del libro “Fonte di ogni bene” realizzato con il contributo dell’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia e dell’U.C.E.I. e curato da Francesco Lotoro, caro amico della comunità, da Paolo Candido e dal prof. Pasquale Troìa, alcuni membri della comunità hanno contribuito con l’incisione di alcuni dei (quasi 150) canti nel Cd, ed io ho fornito il materiale fotografico sia dei vari personaggi che dei testi originali di Donato Manduzio in mio possesso. Differente è stato il contributo che è stato fornito da me per la realizzazione del documentario “San Nicandro – Sefat, il viaggio di Eti” realizzato con il sostegno dell’Apulia Film Commission, un importante progetto che ha il fine di narrare attraverso il viaggio di Eti la storia della comunità ebraica di Sannicandro Garganico, dove ella si recherà per riscoprire le sue radici ebraiche e la terra in cui vissero i suoi nonni. Eti è la nipote di Eliezer ed Esther Tritto, entrambi membri della comunità ebraica Sannicandrese all’epoca di Donato Manduzio, che ebbero un ruolo di primo piano nei tempi passati come lo ebbe in particolar modo il bisnonno di Eti, Costantino Tritto. Poi vi è la testimonianza di Miriam e di Yossi, suo figlio; Miriam era una delle figlie di Antonio Cerrone, un altro membro della comunità che ebbe un ruolo importante insieme a Tritto. Miriam a distanza di circa sessant’anni ritorna a Sannicandro ritrovando tutti i luoghi, la casa in cui aveva vissuto, le tradizioni, i canti, il linguaggio e a mano a mano che si ambienta ogni cosa le diventa sempre più famigliare. Vi assicuro che vedere i suoi occhi pieni di lacrime nel momento in cui ricorda tutti i bei momenti passati nella comunità ebraica sannicandrese è stata per me un’emozione fortissima, mi sembrava di rivivere insieme a lei quelle sensazioni e quella gioia. Alla fine ci sono io, che ho il compito di far ritrovare le radici ad Eti e di far rivivere a Miriam e a suo figlio i momenti passati. Particolare importanza avrà la lettura del “Diario di Donato Manduzio” che avverrà tra me ed Eti dando rilievo al ruolo affidato alle nuove generazioni, tanto qui che in Israele, ovvero di narrare e mantenere vivo il ricordo di questo splendido miracolo e della nascita dell’ebraismo in questo piccolo paesino per opera di D-o, proprio in un periodo in cui nel mondo il popolo ebraico stava per subire le peggiori persecuzioni.
Quali sono i progetti legati alla conservazione della memoria e volti a far conoscere la vostra storia a chi si reca in visita a Sannicandro Garganico?
Se Dio vorrà quest’anno con l’aiuto della Regione Puglia e del Comune di Sannicandro Garganico abbiamo l’intenzione di aprire un piccolo museo ebraico che sarà strutturato in due parti, la prima per far conoscere l’ebraismo, soffermandoci più sugli aspetti religiosi, ossia come si prepara lo Shabbath, le varie festività e tutti gli indumenti e oggetti annessi ad esse; la seconda, per testimoniare la nascita dell’ebraismo a Sannicandro Garganico, conterrà documenti, immagini, testi ed in particolar modo i Diari lasciatici da Manduzio. L’idea di un museo strutturato in questo modo nasce dalle esigenze che nel corso degli anni abbiamo riscontrato: la nostra comunità è stata punto di riferimento per molte scuole e per molte associazioni culturali che hanno voluto conoscere sul proprio territorio l’ebraismo sotto l’aspetto religioso più che sotto il profilo storico, di cui già si parla nei testi scolastici. Questa impostazione è dunque un modo per rispondere con grande piacere e nel migliore dei modi a tutti coloro che da un lato sentono il desiderio di conoscere ciò che significa essere ebrei e, allo stesso tempo, sono spinti dalla curiosità di saperne di più sulle particolari origini dell’ebraismo a Sannicandro Garganico.
Quale tipo di rapporto vi lega oggi all’ebraismo italiano e mondiale e quali sono le difficoltà pratiche che la vostra piccola comunità deve affrontare?
Lo stesso rapporto che lega tutti gli ebrei del mondo, l’amore per D-o Benedetto, per lo studio della Torà e per l’osservanza dei precetti. Le difficoltà pratiche che la nostra comunità deve affrontare sono difficoltà oggettive che toccano un po’ la maggior parte degli ebrei in Italia ed in alcuni paesi. Da noi magari sono un po’ più accentuate, ma non per questo insormontabili, e sono legate più all’acquisto di prodotti kasher, in particolar modo la carne, oppure particolari prodotti per Pesach. Comunque vada, grazie a D-o, riusciamo ad organizzarci nel migliore dei modi cercando di soddisfare le esigenze di ognuno e va sottolineato il fatto che viviamo anche in un territorio ricco di risorse alimentari che provengono dai terreni, dai laghi, dal mare e che contribuiscono a soddisfare il fabbisogno di molte famiglie.
A conclusione di questa intervista a Grazia Gualano, che ringraziamo per la disponibilità e per la testimonianza, è opportuno ricordare che la sorprendente vicenda sannicandrese passa anche dalla nostra città. La comunità ebraica di Torino fu infatti la prima a cui Donato Manduzio si rivolse dopo aver scoperto che gli ebrei erano presenti in diverse città italiane. Il rabbino di quel tempo gli rispose consigliandogli di prendere contatti con la comunità romana, che poi si estesero a quella di Napoli competente per territorio.
Quella degli ebrei di Sannicandro Garganico è dunque una storia che prosegue al di qua e al di là del Mediterraneo e che ancora oggi non cessa di stupirci.