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LA PRESENZA EBRAICA IN CAPITANATA

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A smentire quanto asserito da alcuni, la presenza ebraica in Capitanata, ancora nel sec. XVII, è attestata da un prezioso documento dell’Archivio di Stato di Foggia [Dogana, s. V, 1680, reg. 2094, f. 13, nel quale si parla dell’esistenza all’epoca in Foggia di un “ fondaco di donna Andriana Ebraica ” , uno dei tanti quivi impiegati nella mercatura della lana, nella quale attività Foggia, capoluogo dell’estesissimo territorio, dagli Abruzzi alle Calabrie, soggetto alla giurisdizione della Regia Dogana della Mena delle Pecore in Puglia, primeggiava. In Capitanata, come nelle altre due Terre pugliesi, mai era esistito un problema ebraico. Nessun intellettuale aveva scritto per denunciare una inesistente gravità di questo preteso problema e invocare la necessità di risolverlo, mentre anzi editti di espulsione e di introduzione nella regione dell’Inquisizione di Spagna rimanevano naturalmente privi d’alcun consenso, come tutte le cose che qui contrastavano la volontà e i sentimenti del popolo. Nelle Puglie l’ebreo non era errante. Lo si trovava ovunque, non pallido e barbuto, senza palandrana nera, come era altrove costume, ed era una delle immagini delle Puglie che il viaggiatore poi più ricordava. Un tempo a Bari, come a Otranto, l’Ebreo era la sentinella avanzata del suo popolo. Attraversando tutta la regione, sostando nelle grandi città come nei piccoli villaggi, ovunque si incontravano i fieri volti di Israele. Non era un popolo senza quiete e senza sosta, non aveva nel sangue alcun istinto di muoversi, di cambiare cielo, di attraversare monti e pianure, di riattraversare il mare. “Quando sarò costretto a esulare, quando mi sarà distaccato dalla mia casa, sarà il sogno che la vita è finita ”, disse un vecchio ebreo della giudecca di Corigliano d’Otranto.  Chiari, di azzurre trasparenze, gli occhi, questa gente passava con lo sguardo assorto, il volto chiuso. Si sarebbe detto che per l’ebreo il mondo terreno era una realtà che non lo riguardava. Dio era, per lui, l’unica realtà. Poteva egli viaggiare, discutere, trafficare, ma tutto ciò intimamente non lo toccava e non lo scuoteva dalla sua visione. L’ebreo dava l’impressione di un uomo costretto a vivere in questa terra suo malgrado. Per conoscere il popolo d’Israele – quello che Heine definì il “terzo stato ” della Nazione –  bisognava internarsi nel silenzio e nella penombra delle giudecche pugliesi, in queste cittadelle dove la tradizione era legge e il sentimento della propria stirpe amore. Quanto dalle città mercantili e tumultuose o i pinnacoli, ci si internava nelle strade delle giudecche veniva incontro l’Oriente. Non si attraversava soltanto una antica piazza del mercato, dove le case avevano lucori d’oro nelle fantasiose decorazioni, non si attraversava soltanto una piazza, ma un mondo: l’Occidente con la sua vita inquieta, le audacie dell’architettura, le incandescenze, il rumore, e al di là una lontananza infinita. Le novità del progresso facevano, sì, il loro ingresso anche nelle giudecche, ma le antiche usanze non ne erano ancora uscite. Era un mondo caotico, del più vero Oriente, dove la strada era la casa di tutti e vi si poteva magiare, dormire, litigare e anche raccogliersi nella meditazione della Torah e del Talmud. Ma era anche un mondo di malinconia, pur se i volti di questa gente, che sembravano moltiplicare all’infinito la stessa immagine, sapevano sorridere e a volte – famosissimo è l’umorismo ebraico – persino ridere anche di se stessi. Se un canto si levava nell’aria era una nenia, che sapeva del lamento verdiano per la patria perduta. Niente era più malinconico di un giorno di festa – il Sabato – in una giudecca. La vita si fermava, i traffici si interrompevano, le inquietudini della vita quotidiana che non conoscono stanchezza, avevano la loro ora di pace. Israele si dimenticava di vivere su questa terra. Lasciava agli altri il problema di far passare il tempo. La giornata pareva coagularsi in lentezze mai esasperanti. Uomini dal volto grave passeggiavano lenti, assorti, a piccoli gruppi, da una piazza all’altra e si incanalavano in stradette medioevali dove il sole mai batteva e galleggiavano nell’aria gli odori d’Oriente. Le case si svuotavano; sulle soglie delle case sedevano le donne, le sole che non fossero erranti nel dedalo della giudecca. Uomini venerandi erano chini su grossi libri polverosi; occhi stanchi scorrevano le pagine sacre della Bibbia. Anche i fanciulli sembravano carichi d’anni, con le tonde kippoth in testa. Facevano malinconia: la vita era qualcosa di più grande di loro, li opprimeva. Grandi e piccole mani stentavano a reggere un vecchio Talmud, mentre gli occhi si affaticavano su pagine consunte. Il silenzio era pesante per la tragedia  che costituiva la storia di questo popolo. Pareva che essa curvasse le spalle d’ognuno, Ma non v’era un sordo rancore contro gli altri. Era il rimpianto di Eretz Yisrael. Ma, quando le schiene si drizzavano, era ben altro sogno: l’auspicato risorto Mrdinat Yisrael. Gente senza patria, se non interiore, amava tuttavia la terra che la ospitava ed era pronta per essa a dare la vita, come già fece a Oria e Otranto. Viveva nelle giudecche perché sotto i cieli delle Puglie mai era sorta una città loro, come invece lo era stato per gli Arabi della Luceria Saracenorum, i Greci della Grecìa Salentina, o gli Italo-Abanesi, ma la dimora nella terra di Pul’

era sentita come fatale e non provvisoria. Quando fu costretta ad abbandonarla, volle conservare a Corfù, a Salonicco e altrove alle proprie comunità il nome della regione e delle amate città pugliesi.  per un  ricordo che  si perpetuasse nei secoli e che solo la Shoah  riuscì con esse a estinguere. Pulsava ancora nel suo sangue – eredità che ogni generazione si trasmetteva – una ansietà dei cieli pugliesi spezzatasi contro l’inesorabile che non poteva essere vinto. In ogni angolo della terra pugliese gli Ebrei sentirono che la loro vita vi si radicava e la loro anima respirava in un’atmosfera di Patria.  Nessuno qui li costrinse nei confini di un ghetto (persino il termine vi era ignorato) e al rancore che era loro inflitto da questa prigionia. Essi usavano la lingua di tutti noi. La riconoscevano addirittura come propria. Molti ebrei non conoscevano altro che i dialetti pugliesi. Le famose scuole ebraiche pugliesi insegnavano la lingua del nostro Paese, dove i loro fanciulli crescevano alla vita. Imparare il latino, dapprima, e l’italiano, poi, non significava per essi atto di abdicazione e offesa alla loro stirpe. La lingua era un ponte gettato tra gli uomini ed essi volevano uscire dal loro isolamento e congiungersi con gli altri.  Solo la religione doveva distinguerli. Precorsero i tempi: si sentivano “fratelli maggiori ” .  La lingua ebraica delle giudecche non era un’isola che isolava e difendeva l’ebreo. La scrivevano in minute calligrafie, in segni per il volgo indecifrabili, ma ciò non impediva che la quasi totalità dei dotti pugliesi la conoscesse, al pari del latino e del greco. La si studiava – come ancora oggi – dai Cristini nei loro Seminari. Gli ebrei stampavano in ebraico le insegne dei loro negozi, lo usavano nei loro libri, ma spesso non mancavano di affiancarci la versione in italiano.  V’è tutta una letteratura ebraica che ha la radice nelle giudecche pugliesi. La particolarità ebraica non si arrese soltanto davanti alla tavola. L’ebreo ignorava infatti la complicata cucina pugliese e si tramandava infatti la tradizione di una cucina propria. Ma questa tradizione non era un segreto, tanto è vero che molte pietanze ebraiche finirono col divenir patrimonio della cucina pugliese.


DA SANT’ANTONIO A CARNEVALE SI ACCENDEVANO E FALO’ E SI AMMAZZAVA IL MAIALE

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Nel paese di Sannicandro si accendevano i falò per onorare quattro Santi: S. Antonio Abate, S. Sebastiano, S. Ciro e S. Biagio. Queste manifestazioni un tempo erano gradite a noi ragazzini sia per il loro folclore sia per il calore e l’entusiasmo della gente che in comune accordo si adoperava per rendere gli avvenimenti affascinanti, gioiosi ed infondere nell’ambiente allegria e sentimenti di fratellanza.  Intorno a quei fuochi si mangiava granoturco e fave abbrustoliti mentre i ceci venivano fatti alla marinara con bucce di arance, alloro e sale: si cuocevano nella sabbia calda dopo averli scottati su e giù nell’acqua bollente, avvolti in uno straccio, per circa 2 minuti di tempo recitando per due volte il Padre Nostro in latino.  Le serate erano allietate da canti paesani e da stornelli, a volte provocatori, allo scopo di sfottere bonariamente i partecipanti degli altri falò. Per la buona riuscita degli scherzi la gente si mascherava per non essere riconosciuta così le serate trascorrevano in vere e spensierate competizioni rionali. I benestanti in quel periodo ammazzavano il maiale e mettevano a disposizione una buona parte della carne che veniva arrostita sulla brace del falò. Ricordo ancora i forti grugniti che le bestie emettevano, con i musi legati, prima di essere scannati con un enorme coltello, trattenuti da più uomini forzuti. Ho visto qualche bestia riuscire a scappare con il coltello rimasto in gola….. Noi ragazzi eravamo sconvolti da quegli episodi e ugualmente ci recavamo nei pressi dove avveniva l’uccisione per curiosare e partecipare alla rotonda serale del fuoco e gustare un pezzo di arrosto quando ci veniva offerto.  Alla bestia morta venivano strappati i peli del dorso per farne dei pennelli; poi veniva bagnata con l’acqua bollente e rasata completamente con dei coltelli ben affilati; i peli residui e le unghie dei piedini venivano bruciati con la paglia, quindi la si appendeva divisa a metà. La testa, decapitata, era posta sul tavolato con un’arancia tra i denti, mentre tutte le budella venivano pulite e fatte asciugare, dopo di che venivano riempite con carne tritata per fare la salsiccia e l’altra metà riempite di sangue, aromi, cacao, zucchero, pezzettini di grasso veniva bollita nell’acqua. Il brodo dell’acqua era distribuito agli amici e ai parenti per cuocervi una specie di polenta. Il fegato, i polmoni e il cuore si cucinavano subito con aglio, olio, sale e alloro, mentre l’involucro che conteneva questi organi serviva per fare gl’involtini ripieni da mettere nel ragù. La bestia veniva sezionata e divisa in ogni sua parte: le cotenne, le orecchie, i piedi, la lingua e il muso ricoperti di sale venivano conservati in luogo fresco in contenitori di argilla, mentre le cosce ricoperte di sale e pressate per un certo periodo con enormi sassi erano poi asciugate e appese in luogo fresco e buio per la stagionatura (prosciutti). La parte grassa, lardo, con ancora la cotenna, veniva salata ed appesa, mentre il lardo misto alla carne si arrotolava con dentro sale, peperoncino e rosmarino e si otteneva la pancetta arrotolata.
I nostri antenati nelle serate lunghe invernali ci tenevano uniti intorno al camino o intorno al braciere raccontandoci favole che parlavano di spirito di sacrificio, educazione, lealtà, bontà; vere lezioni di vita impartite con dolcezza ma che entravano nelle nostre ingenue coscienze facendo germogliare il senso del rispetto altrui. I racconti relativi ai falò e all’uccisione del maiale erano i seguenti: Il globo terrestre nel compiere il movimento di rotazione intorno al sole (equinozio invernale), riceve meno luce e calore, diventando così i giorni più corti e l’aria più gelida; in questo periodo la natura cessa di vegetare e allo stesso modo animali e uomini rallentano i propri istinti produttivi.  Gli antichi popoli, ogni 31 gennaio, a metà inverno, accendevano enormi fuochi che venivano alimentati fino al giorno delle Ceneri, sacrificando maiali o cinghiali alla dea Terra per tenere caldo il suo cuore e poter conservare i semi utili ai raccolti.  La brace del fuoco veniva portata nelle case per riscaldare e purificare l’abitato, mentre le ceneri venivano sparse nei campi in auspicio del buon raccolto. Si consumava la carne dei suini fino al giorno precedente alle Ceneri e negli ultimi tre giorni si pronunciava il detto: “vale mangiare carne” da cui si coniò la ricorrenza del “Carnevale”.  Successivamente in onore alla dea Cerere, per 40 giorni, si procedeva a purificare l’anima con digiuni e si pregava affinché gli armenti proliferassero e i raccolti riempissero i magazzini. I fuochi che si accendevano dal 31 gennaio furono anticipati al giorno della morte dei martiri sopra citati: S. Antonio Abate, (da non confondere con S. Antonio di Padova), nato nel centro dell’Egitto da nobile famiglia, rimasto orfano non ancora ventenne, si privò di tutti i suoi averi che distribuì metà a chi avrebbe preso cura della sorella e l’altra metà ai poveri; quindi si allontanò da tutti rifugiandosi presso una tomba abbandonata, scavata nella roccia.  La leggenda narra che S. Antonio Abate un giorno salvò un porcellino da bestie feroci ed esso per riconoscenza lo seguì dappertutto come fosse un cane. In una giornata fredda d’inverno aiutò il Santo ad entrare nell’Inferno che con un bastone a forma di “T” prelevò un tizzone di brace per riscaldare la terra. Il diavolo si vendicò per l’oltraggio ricevuto lanciando un coltello che ammazzò il maialino mentre al Santo nascose un carbone ardente sotto il letto provocandogli dolori atroci alla pelle da cui il nome “fuoco di S. Antonio”.  S. Antonio Abate nonostante i sacrifici, le mortificazioni e le malattie visse per 105 anni e morì il 17 gennaio del 356 d.C., divenendo famoso in Oriente e in tutta Europa e fu proclamato patrono degli animali domestici, dei salumieri, dei pittori, dei macellai, dei fornai e dei cavalieri. S. Antonio fu uno dei primi eremiti e molti altri giovani nobili seguirono il suo esempio accettando la mortificazione, la povertà, la preghiera per raggiungere la completa purificazione. S. Sebastiano, nobile milanese morto il 20 gennaio del 304 d. C., non morì dopo essere stato trafitto da tantissime frecce sul nudo petto e fu dunque decapitato e il corpo buttato in un precipizio. S. Ciro, nato in Egitto, medico, abbandonò la professione per dedicarsi ai poveri, insegnando loro la retta via e come evitare le tentazioni diaboliche; morì il 31 gennaio del 303 d.C.  S. Biagio, altro martire di origine armena, mentre veniva trasportato sul patibolo, guarì un ragazzo che stava soffocando per aver ingoiato una lisca di pesce; inoltre, con un miracolo, simulò le fiamme nella città di Fiuggi, destinata alla distruzione da parte dei Cajetani, famiglia nobile romana che chiese alleanza all’esercito papale, e che avrebbe attaccato e bruciato la città in due parti in modo da impadronirsi del feudo dei Colonna. Le finte fiamme sul paese indussero le truppe nemiche, pensando di essere state precedute dalle truppe alleate, a fare ritorno nei loro accampamenti. In onore di questi martiri alla data della loro morte venivano raccolti legna e ceppi, di porta in porta, per come per la questua, simbolo di mortificazione sia per chi la chiedeva sia per chi la donava. Il falò rappresentava simbolicamente l’elemento che distrugge il male per far rinascere il bene. Questi ricordi della mia fanciullesca mi fanno gustare e rivedere le strade, le corti e le scalinate del mio paese, luoghi che sono stati per me le palestre dove ho appreso le prime lezioni di vita.
I ragazzi oggi non conoscono queste tradizioni, raccontiamole: esse nobilitano le proprie origini, il nostro presente, i nostri luoghi, arricchendo la nostra cultura.  I promotori che mantengono vive le tradizioni sono dei veri benefattori.

FANTASTICO CONCERTO PER IL TENORE GALASSO

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Qualche giorno fa, a Pietroburgo si è esibito il tenore sannicandrese Pio Galasso. Un concerto fantastico ed successo straordinario davanti alla vasta platea molto competente. Il pubblico è stato spettacolare, rispettoso delle scelte musicali e molto molto caloroso. Anche in questa straordinaria città russa Galasso si è fatto apprezzare da una critica molto esigente ed attenta. Insomma un grande riconoscimento al tenore italiano a cui va tutta l’ammirazione ed il sostegno della nostra cittadina.

LOCALITA’ SAN MICHELE, PANORAMA MOZZAFIATO E IMMONDIZIA…CHE TOGLIE IL FIATO

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Così si presentava ieri mattina la località di San Michele dopo la stazione ferroviaria di San Nicandro. Un luogo con una vista magnifica che è deturpata dalla grandissima quantità di immondizia che vi staziona da tanto tempo. Certamente è ridotto così per l’inciviltà di residenti che preferiscono disfarsi della propria immondizia incuranti dell’ambiente e del decoro della nostra cittadina. Violentare l’ambiente in questo modo è da selvaggi e, magari, chi si comporta in questo modo è pronto a criticare della mancata pulizia nel centro cittadino. Comunque, si vuole lanciare un appello agli addetti della Teknoservice: si cerchi di togliere quella immondizia che, anche se non visibile come quella delle prime periferie di San Nicandro, occupa una spazio da dove è possibile ammirare il panorama forse più bello del nostro territorio.

TRIVELLE, SINDACO TREMITI: “CON 2 MILA EURO RISANATI CONTI DELLO STATO?”

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“Di fronte a questa somma, cosa vuole che le dica? Se serve a risanare il bilancio dello Stato, ben venga”: il sindaco delle Isole Tremiti, Antonio Fentini, commenta al telefono con una battuta amara l’autorizzazione a ricerche petrolifere dinanzi alle stesse isole rilasciata dal governo con decreto il 22 dicembre scorso alla società Petroceltic Italia per poco meno di duemila euro l’anno. “Ho ricevuto la comunicazione da Roma tre giorni fa ed ho chiamato subito il presidente della Regione Puglia – riferisce il sindaco – ma io mi chiedo: può un governo decidere senza tenere conto del parere delle Regioni, alcune delle quali hanno proposto i referendum contro le trivellazioni?. Noi siamo un piccolo comune, abbiamo fatto insieme ad altri diverse manifestazioni, qui e a Peschici, Manfredonia, anche con il compianto Lucio Dalla. Tutto per fermare questa idea”.
Per il primo cittadino delle Tremiti le tecniche che dovrebbero essere usate per le ricerche di idrocarburi in mare sarebbero peraltro molto invasive. “Verrebbero utilizzate piccole esplosioni che fanno impazzire la fauna marina. Tutto questo in Puglia, dove ci sono 135mila addetti alla pesca. Per non parlare dei danni che ci sarebbero per il turismo, altra nostra risorsa”. (ANSA)

ULTIM’ORA, NOVITA’ SUL CENTRO RACCOLTA RIFIUTI DI VIA LAURO

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Pochi minuti fa sono stati ultimati i rilievi sul Centro di Raccolta Rifiuti (campo sportivo di Via Lauro) da parte dei Carabinieri per la tutela ambientale. E’ stato utilizzato un escavatore per rimuovere la superficie ed arrivare alla profondità dovuta. E’ stato prelevato nei due punti dello scavo materiale che sarà analizzato per gli accertamenti da affidare al magistrato competente. Comunque, da una prima rilevazione, i militari avrebbero escluso la presenza di sostanze inquinanti e pericolose. Se dopo le analisi fosse tutto confermato, l’intera comunità locale tirerebbe un sospiro di sollievo in quanto non ci sarebbe nessun pericolo di grave inquinamento. Intanto soprattutto i residenti di quella zona saranno meno preoccupati per la novità della notizia che, se confermata, potrà dar luogo al dissequestro a alla disponibilità del sito.

QUANDO IL “GINO LISA” ERA IL PIU’ GRANDE CAMPO D’AVIAZIONE DEL SUD

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Il 10 febbraio del 1924, La Gazzetta di Puglia (la testata da cui sarebbe nata La Gazzetta del Mezzogiorno) pubblicò, con grande risalto, un documento di notevole importanza sull’assetto aeroportuale della Puglia di quei tempi. Si tratta della relazione “sulla necessità di dar vita al campo di aviazione di Foggia”, messa a punto da un gruppo di tecnici e di notabili fascisti dell’epoca, ed inviata al Vicecommissario dell’aeronautica, Aldo Finzi (carica corrispondente a quella di Ministro, in quanto Mussolini aveva tenuto per sé il titolo di Commissario). Gli autori del documento chiedono che il campo d’aviazione di Foggia venga trasformato in un vero e proprio aeroporto, adducendo a sostegno della loro tesi, una serie di ineccepibili ragioni
È un documento di cui suggerisco caldamente la lettura agli attuali detrattori dell’aeroporto Gino Lisa e a quanti si stracciano le vesti e si strappano i capelli quando i baresi ci accusano di foggianesimo.

Due annotazioni. L’appello dei fascisti dauni venne più o meno accolto dal governo fascista che fece del Lisa una delle basi più importanti dell’Italia Meridionale. La rilevanza strategica dell’aeroporto foggiano, purtroppo, non sfuggì agli Alleati: la ferocia dei bombardamenti che insanguinarono il capoluogo dauno nell’estate del 1943, si spiega anche con la necessità di conquistare la città ed i suo aeroporto, che venne trasformato nel centro strategico di quel Foggia Airfield Complex che funse da base di partenza per le più importanti incursioni aeree sullo scacchiere bellico italiano ed europeo. [Ne ho parlato tempo fa, in questa lettera meridiana: Quando il Gino Lisa era più importante di Bari Palese]. Il Vicecomissario Finzi (che fu anche vicecapo della Polizia) è uno dei personaggi più controversi della storia del fascismo. Pilota di aerei ma anche di motocicletta, fu dirigente politico e sportivo.  Ebreo di nascita, si trovò coinvolto nelle indagini per il delitto Matteotti, e la sua carriera politica subì una brusca interruzione. Più tardi prese posizione contro leggi razziali, venne espulso dal PNF e mandato al confino. Aderì al movimento partigiano. Arrestato per aver cercato di passare al CLN informazioni sui movimenti delle truppe naziste a Roma, venne rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e fucilato alle Fosse Ardeatine. Di seguito il testo dell’articolo della Gazzetta di Puglia, intitolato: Per la utilizzazione del Campo Sud di Foggia. Se volete, potete scaricare la versione originale, d’epoca, cliccando qui.

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Abbiamo pubblicato su queste colonne che gli avvocati Domenico Siniscalco Ceci e Nicola Pepe Celentano, incaricati dal Direttorio provinciale fascista della compilazione di una dettagliata relazione sulla necessità di dar vita al nostro campo di aviazione, avevano tale relazione approntata col prezioso ausilio tecnico degli Ingegneri Giovanni De Vito e Vito del Pozzo e dell’egregio comandante del campo, tenente Rizzo, e consegnata al segretario provinciale politico del PNF, avvocato Attilio De Cicco, per essere presentata a S.E. Finzi.
Siamo lieti di offrire ora i nostri lettori l’interessante documento. “Il campo di aviazione di Foggia, per la sua privilegiata posizione geografica rispetto all’Italia meridionale, per la configurazione favorevolissima dei terreni circostanti e delle regioni montuose, per le condizioni atmosferiche pressoché costanti, può senz’altro definirsi l’unico campo dell’Italia Meridionale che abbia i requisiti migliori per i bisogni e scopi di aeroporto.
La sua posizione fattiva rappresenta una imprescindibile necessità aeronautica per l’Italia si a fini bellici, sia a quelli commerciali-politici. Con l’attuale sistemazione aeronautica, l’Italia Meridionale oltre Napoli, non ha alcun campo di aviazione in piena efficienza, dotato di tutti i migliori requisiti, che possa subito essere impiegato per una qualsiasi attività aviatoria, a meno che non si ricorra a ingentissime spese di costruzione, riattamento, esproprio di terreno, importanti enormi perdite di tempo. Infatti a Bari non esiste più nemmeno il campo di atterraggio, perché soffocato dalle circostanti costruzioni edilizie; Gioia del Colle, ottimo campo durante la guerra, attualmente è sfornito di hangar e quelle poche costruzioni richiedono numerose riparazioni; Brindisi, buon campo per dirigibili ed ottimo Idroscalo, non ha tutti i requisiti per un campo da aeroplani per la vicinanza col mare, per il terreno molto accidentato e per le altre considerazioni tecniche militari; Taranto e Grottaglie, servono assai bene il primo per idrovolanti il secondo per dirigibili, ma entrambi svolgono la loro azione nel Mar Ionio, e perciò a sud d’Italia. Non v’è quindi bisogno di altre dimostrazioni per affermare che solo il campo di Foggia sud, unico risparmiato dalla follia devastatrice dei vecchi governi, offre tutto quanto è necessario per diventare in qualunque momento si voglia il campo unico e migliore di tutta la zona meridionale, capace di provvedere a tutti gli scopi politici e commerciali delle regioni vicine (Puglia, Abruzzi, Basilicata e Calabria) mentre è sicuramente il campo più adatto per eventuali azioni militari difensive e offensive con l’Oriente. Foggia dotata di una meravigliosa rete ferroviaria che la congiunge con tutta l’Italia ha il suo campo di aviazione a soli due chilometri dalla città con strada ampia e poco frequentata per cui vi è gran facilità di trasporti di ogni genere. Apparecchi di qualsiasi tipo e potenza possono con un solo volo senza necessità di rifornimenti intermedi percorrere e vigilare il litorale adriatico sino ad Ancona o fino a Brindisi e tornare alla sede; possono portarsi fino a Napoli e compiere così un regolare servizio postale o di vigilanza con grande facilità nel riconoscere il proprio campo anche con condizioni atmosferiche avverse. Nel 1919-1920 proprio da Foggia venne fatto con Napoli e Bari un regolare servizio postale aereo.
Ai fini militari, nell’eventualità di operazioni belliche con l’Oriente il campo di Foggia il più adatto e il più sicuro nel caso offensivo e difensivo. Vicinissimo al mare può consentire che numerosi apparecchi partano dalla base per le sponde opposte dell’Adriatico, ove giungerebbero nel tempo necessario soltanto per la traversata del mare.

Nel contempo il campo, pur essendo vicino al mare, non è in vista del mare stesso, perché protetto dal Gargano, dietro al quale è ubicato. Per tale prerogativa ha carattere grandemente difensivo, perché in caso di attacco aereo, predisponendo un organizzato posto di osservazione sul Gargano è possibile che dal campo si elevino apparecchi da caccia prima ancora che gli aerei nemici, venendo dal mare, riescano ad individuare il campo. Ma il campo di Foggia può anche dare meravigliosi risultati qualora fosse impiegato come scuola di pilotaggio. Il maggior coefficiente per tali risultati è dato dalla natura del terreno pianeggiante: il campo infatti è circondato da perfetta pianura che si estende in tutti i sensi per un raggio di km 20 ed è coltivata a frumenti con rarissime piante per cui sono possibili e facili gli atterraggi fuori campo.
A dimostrazione dell’efficienza del Campo Sud, che come si è detto è dotato di ogni mezzo e comodità per un impiego immediato, basta dire che vi sono: Numero 7 hangars di dimensioni tali da contenere oltre 130 apparecchi di vario tipo, padiglioni per ufficiali (alloggi), dormitori per truppa, magazzini, garage, benziniera con deposito sotterraneo, depositi per oli lubrificanti, centrale elettrica ad olio pesante per illuminazione e per la fornitura dell’acqua, stazione radiotelegrafica, telefono urbano e interurbano, torre aerofaro;  due officine complete ed efficienti per meccanici, falegnami, dotate di macchine moderne è capaci di qualsiasi lavoro e di riparazione.

Non va dimenticato infine che le condizioni climatiche ed il soggiorno furono sempre gradite ed ottime per tutti quelli che ebbero ospitalità in Foggia e che nessun caso di malaria o di altre ipotetiche infezioni colpirono gli allievi piloti che risiedettero al campo nel periodo 1915 1920 di maggiore attività aerea e va tenuto presente che le condizioni meteorologiche che hanno permesso una media di giornata volative, nello stesso periodo, superiore ai più vantati campi d’Italia come Malpensa, Mirafiori ed altri. Il quadro di organizzazione strategica può essere convenientemente completato, considerando insieme con l’aeroporto di Foggia, l’Idroscalo di San Nicola Varano, e lo scalo di San Severo e ove occorra tutto un sistema di mezzi di segnalazione e difensivi che sfruttano opportunamente la configurazione orografica di Capitanata.
Gli studi sono stati fatti per l’aeroscalo di San Severo e l’esperienza ci insegna che tale posto si presta benissimo specialmente per hangar di dirigibili. Tutto quanto precede si è voluto ricordare: ma al fine di dimostrare, che il campo di Foggia può diventare un grande campo efficiente di aviazione, basta ricordare che durante la guerra del 1915 quasi 1000 allievi piloti, ufficiali e truppa, italiani e americani , qui, si istruirono su apparecchi di vario tipo , come pure non va dimenticato che tutta l’aviazione operante in Albania fu organizzata e partì da Foggia, proprio da questo campo che ora attende ali e volatori. Dopo quanto dimostrato, le dimensioni del campo e la qualità, la grandiosità dei mezzi, la posizione strategica e pianeggiante, possono fare del campo di Foggia, con la vicinanza dell’Idroscalo di San Nicola Varano e l’aeroscalo di San Severo una base importante e temuta per le forti e generose ali della nostra Patria.”

FESTEGGIAMENTI IN ONORE DI SANT’ANTONIO ABATE

Domenica 17 gennaio 2016, Festa di S. Antonio abate. La chiesa dell’Addolorata comunica il secolare triduo nei giorni 14-15-16 gennaio alle ore 18:30. Per giorno 16 celebrazione della memoria di San Antonio Abato con bacio alla reliquia ex-ossibus. Per domenica 17 gennaio i festeggiamenti folkloristici intono al falò davanti alla chiesa con distribuzione dei ceci, la 2^ sagra per peperato e l’apertura del Carnevale a San Nicandro con animazione a cura del Gruppo Folk Città di San Nicandro Garganico

A PROPOSITO DELL’INCIDENTE ALL’INCROCIO DI VIA PAPA GIOVANNI XXIII

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Per l’incidente stradale avvenuto venerdì scorso all’incrocio di Via Papa Giovanni XXIII, Civico93 ha ricevuto segnali di protesta da parte di lettori per l’alta pericolosità dello stesso in quanto non c’è nessuna segnaletica orizzontale e verticale, nessun segnale di “Stop” e né strisce pedonali. Insomma quando un pedone si trova in quel punto è seriamente sottoposto ad un serio pericolo durante l’attraversamento anche perché manca un impianto elettrico pienamente funzionante. Tra l’altro, sembra che sia stato tolto un palo su richiesta di qualche residente. Quell’incrocio è da monitorare in maniera costante in quanto insiste un doppio senso per la strada che porta alla sede comunale e, quindi, gli incidenti sono stati molti.

Fortunatamente la signora che è stata investita è quasi illesa, non ricorda quasi nulla di quello che è successo e con qualche intervento tutto dovrebbe tornare normale.

Ci si auspica in un intervento da parte del Comando dei Vigili Urbani per meglio regolamentare il flusso di veicoli che in quell’incrocio è veramente alto.

PRESEPE VIVENTE ALLA CHIESA DEL CONVENTO, APPUNTAMENTO ALLA 2^ EDIZIONE

Nasce lo scorso Natale il primo Presepe Vivente organizzato dalla Parrocchia di Santa Maria delle Grazie all’interno del vecchio convento con tantissimi figuranti in costume d’epoca i quali, con dedizione, fede, tanta pazienza e buona volontà, ma soprattutto cuore, hanno accolto più di 5 mila visitatori riproponendo gli antichi mestieri del passato.

Il Presepe è stato un vero e proprio “cammino”, una sorta di pellegrinaggio, che si è snodato tra le cellette del Convento ed animato da soldati romani, da Erode con le odalische, da fabbri, calzolai, contadini, filatrici, massaie, tessitrici, osteria, canestrai, latteria, frutteria, spezie ed erbe e vasai: un popolo in stile “ora et labora” di S. Benedetto. Una contemplazione silenziosa da parte dei visitatori in un ambiente giustamente poco illuminato, oscurità, senso di mistero al centro di ogni cosa. Tanti figuranti che il visitatore ha incontrato lungo il cammino fino al Bambino Gesù, come un pellegrinaggio di fede come voleva San Francesco d’Assisi, il primo a fare il presepe, elemento caratteristico del santo Natale e alla introduzione del primo presepe con i “mestieri” di San Gaetano da Thiene. Poi la visita alla capanna del Bambino Gesù fuori la chiesa da parte dei Magi per impreziosire ancora di più una iniziativa nata in sordina ed esplosa nella sua realizzazione.

Una manifestazione che già si candida per essere ripetuta nel tempo grazie a Padre Antonio e a Padre Lorenzo.

INAUGURAZIONE “MADREPIETRA STADIUM”, IL CAMPO SPORTIVO DI APRICENA

Migliaia di Cittadini hanno accompagnato le manifestazioni per la inaugurazione del nuovo “Madrepietra Stadium”, il campo sportivo di Apricena completamente rimesso a nuovo dopo i lavori di installazione del manto erboso, rifacimento spogliatoi, locale bar, pronto intervento e biglietteria, area parcheggio e riqualificazione tribuna. Una cerimonia partita con la benedizione e il taglio del nastro, alle ore 9:30, che si è sviluppata fino a tardo pomeriggio quando è stata scoperta la targa istallata all’ingresso dello stadio e sono stati premiati tutti gli ospiti intervenuti. “È stata una giornata davvero emozionante – commenta il Sindaco Antonio Potenza – che ha visto la partecipazione di migliaia di Cittadini, venuti a flusso continuo dalla mattina alla sera. Il campo è stato sempre aperto e tutti hanno potuto conoscere da vicino questa nuova struttura che, lo rivendichiamo con orgoglio, ha pochi eguali in tutta la regione Puglia. Ringrazio gli illustri ospiti che ci hanno onorato della loro presenza, tra cui il Presidente nazionale Figc del Settore Giovanile e Scolastico, Vito Tisci, e il Bari Calcio, impegnato in un triangolare con le due squadre della nostra Città”.

Dopo il taglio del nastro, c’è stata inaugurazione di una mostra fotografica di immagini storiche del calcio e dello sport apricenese, curata dall’associazione “Amici dello Sport Onlus”. A seguire si sono divertiti a giocare sul nuovo campo i ragazzi delle scuole calcio delle compagini “U.s.d. Apricena” e “Collina degli Ulivi”, insieme alla juniores della Madre Pietra Apricena. Prima della pausa pranzo si è svolto un momento molto emozionante con la premiazione delle “vecchie glorie” del calcio di Apricena. Personaggi che hanno fatto la storia del calcio locale come Cenzino Martucci e i compianti Felice Cataneo, Pasquale Franchino, Michele Bramante. E tanti altri ancora. Nel primo pomeriggio si è tenuto il triangolare amichevole tra il Bari Calcio 1908, la Madre Pietra Apricena e lo Sporting Apricena, vinto dal Bari. La conclusione ha visto la premiazione delle squadre partecipanti, della terna arbitrale intervenuta e la consegna di riconoscimenti a tutti i partecipanti, compreso il Presidente Vito Tisci, e tutti coloro che hanno collaborato alla buona riuscita della manifestazione.
“Abbiamo consegnato alla Città un vero e proprio gioiellino, che ora tutti dobbiamo custodire con cura”, riprendono Potenza e l’Assessore ai Lavori Pubblici Paolo Dell’Erba. “La nostra Amministrazione ha dimostrato di credere nello sport, fattore che deve sempre e solo unire una Comunità. Oggi abbiamo riqualificato un grande pezzo di patrimonio pubblico. Abbiamo già sganciato il costo delle utenze dalla casse comunali che saranno pagate interamente dal soggetto gestore. Così come sarà esternalizzata la manutenzione e la cura della struttura. Il Madrepietra Stadium, così chiamato in onore della nostra Pietra, deve essere un patrimonio di tutti e tutti devono averne cura”, concludono i due Amministratori.


CAPOIALE, VIETATA LA RACCOLTA E LA VENDITA DI COZZE

L’Asl di Foggia vieta, temporaneamente, in misura autoelativa, la commercializzazione e la vendita delle cozze degli allevamenti di Capoiale e Cagnano Varano. Dalle analisi effettuate è stata rinvenuta la presenza di biotossina algale liposolubile. Alle sette cooperative di pesca sono stati già notificati i relativi provvedimenti.

CAMERA DI COMMERCIO FOGGIA PER LA SEMPLIFICAZIONE TELEMATICA

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Per la semplificazione telematica relativa all’avvio e all’esercizio d’impresa, la Camera di Commercio di Foggia è impegnata ai massimi livelli per risultati soddisfacenti alla propria utenza. Nella nostra regione sono oltre 130 i Comuni che hanno dato la delega alle Camere di Commercio per la procedura telematica; con la CCIAA di Foggia (37 Suap) seconda solo a quella leccese per il numero di Amministrazioni comunali coinvolte. Sono, invece, quasi mille le pratiche telematiche svolte dai Suap della Cittadella dell’Economia nel 2015, con un lieve incremento rispetto al 2014, vero anno di svolta con un aumento del 100% rispetto all’anno precedente.

Per il presidente Porreca: “la Camera di Commercio di Foggia vuole svolgere un ruolo da protagonista nel processo di innovazione del territorio, contribuendo in modo deciso a rendere semplice fare impresa in Capitanata. L’impegno dell’Ente – conclude Porreca – è proseguire in modo proficuo il dialogo con tutti i Comuni, per essere protagonista di quel percorso di digitalizzazione delle Pubbliche Amministrazione, vera priorità per lo sviluppo”. Nei dati della Camera di Commercio, tra le Amministrazioni del territorio a maggior tasso di digitalizzazione spicca Cerignola con oltre 330 pratiche telematiche nel 2015, così come appaiono rilevanti, considerati il numero di attività di impresa, i dati di Vico del Gargano e Cagnano Varano.

PESCHICI TRA I DIECI BORGHI SUL MARE DA SCOPRIRE ANCHE D’INVERNO

Sono l’orizzonte ed il silenzio i compagni del mare d’inverno. Alle file d’ombrelloni, lettini e sdraio si contrappone il fragore della risacca, cadenzata melodia che induce alla riflessione. Movimentati e talvolta animati da un turismo caotico d’estate, le città ed i borghi marinari d’inverno esprimono un’insolita poesia. Dalle rive del mar Ligure al Tirreno, dallo Ionio all’Adriatico, è un susseguirsi di meraviglie, un alternarsi di centri affacciati sulle rive che continuano, anche nella stagione fredda, a diffondere emozioni.
Sono state scelte dieci mete del nostro mare per raccontarne la bellezza anche d’inverno. Tra le dici mete più belle c’è anche Peschici tra le sabbie e le rocce del Gargano

Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Asburgo e Borboni si sono alternati nella storia a dominazione di questo splendido borgo della provincia di Foggia. Sorge su di un poggio e fa parte del Parco Nazionale del Gargano. Una macchia bianca affacciata sul mare, che da un poggio si stende fin sulla costa. Caratterizzato da un intricatissimo reticolo di vicoli, scalette, archi e cortili, che incantano anche per il candore delle abitazioni, Peschici è tra i borghi più pittoreschi della riviera Adriatica. Calette e baie ne esaltano il litorale.
Imperdibile una passeggiata su una delle sue spiagge che si snodano a nord e a sud dell’abitato. Dalla Marina di Peschici, situata tra il porto turistico ed il promontorio roccioso dove sorge il borgo, alla spiaggia di Zaiana, alla quale fanno da cornice suggestivi costoni rocciosi, da quella di San Nicola, dalla finissima sabbia, a quella di Jalillo, separata dalla Marina da un grande masso roccioso, è un susseguirsi di incantevoli scenari dove al mare ed allo spettacolo della natura fa spesso da sfondo il profilo del borgo.

SCUOLA, FORMAZIONE DOCENTI OBBLIGATORIA: IN ARRIVO LE DIRETTIVE, ANTICIPAZIONI

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A partire dall’anno scolastico 2016/17, la formazione dei docenti della scuola assume carattere obbligatorio, permanente e strutturale. Così stabilisce il comma 124 della legge 107. Diventerà a tutti gli effetti uno dei compiti del docente. Questa è una delle tante novità introdotte dalla riforma scolastica, che faranno il loro “debutto” nel 2016. La formazione ha lo scopo di migliorare le scuole, motivo per cui la legge prevede che siano “definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il PTOF e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche”. Ciò non toglie che le indicazioni generali saranno fornite dal Miur tramite un decreto, che dovrebbe arrivare a breve. Quali sono le indicazioni contenute nel decreto?

Naturalmente per conoscere nel dettaglio tutte le indicazioni del Miur circa la formazione obbligatoria dei docenti che inizierà a partire dal prossimo anno scolastico (2016/17), bisogna attendere il decreto. A quanto pare è una questione di giorni, come anticipa Orizzonte Scuola, in quanto dovrebbe uscire in concomitanza con l’approvazione dei POF triennali, la cui scadenza (non perentoria) è fissata per il 15 gennaio 2016. Il contenuto del decreto, secondo le anticipazioni fornite, dovrebbe prevedere che il docente venga formato per quanto riguarda la lingua inglese. Inoltre sarà rivista anche la metodologia della didattica, da un punto di vista innovativo. Ciò significa che i docenti dovranno iniziare a prendere familiarità con i social networking e i workshop, ad esempio. Tra gli strumenti operativi dell’insegnante spicca anche il laboratorio. Ma che dire del luogo di formazione? Seguendo la scia innovativa, una parte della formazione potrà essere fatta da casa. Includerà lo studio a livello personale (con documentazione di quanto svolto) e il confronto sul web. Tutto ciò che viene appreso andrà rendicontato. Sono previste anche lezioni che richiedono la presenza fisica.

11ENNE SALVATO A SCUOLA CON DEFIBRILLATORE. E GLI ISTITUTI DI SAN NICANDRO?

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Momenti di paura all’istituto “Publio Virgilio Marone” di Francavilla Fontana, dove uno studente di 11 anni è stato colto da infarto a scuola ed è stato salvato usando un defibrillatore. Lo studente è ricoverato nel reparto di Cardiologia del locale ospedale, ma non sarebbe ancora fuori pericolo. Il defibrillatore, donato da privati un anno fa, è stato usato dal dirigente scolastico, dalla vice e dalla docente di educazione fisica che avevano frequentato un corso di primo intervento.

Fortunatamente gli istituti superiori di San Nicandro sono in possesso di un defibrillatore. Anche gli altri istituti (scuole elementari e medie) dovrebbero essere in possesso di tale strumento salvavita. Si sa che la Regione Puglia fino a qualche tempo fa metteva a disposizione defibrillatori per tutti i comuni. Forse è il caso di provvedere.

SAN NICANDRO, OGGI SI CHIUDE LA 1^ EDIZIONE DEL PRESEPE VIVENTE

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Termina oggi la meravigliosa esperienza della 1^ edizione del Presepe vivente organizzata dalla Chiesa di Santa Maria delle Grazie. L’arrivo dei Magi, che doveva aver luogo lo scorso 6 gennaio e rinviato ad oggi, prevede, appunto, l’incontro dei Magi che arriveranno a cavallo con il Bambino Gesù. Al loro arrivo ci sarà la popolazione di Betlemme ad onorare il Bambino con i pastori e con il suono delle zampogne.

Dopo la consegna dei doni, la natività si trasferirà all’interno del Convento con i tre Magi e comincerà l’ultima visita da parte di chi ancora non ha avuto modo di ammirare gli ambienti, i mestieri ed i figuranti in un’atmosfera che magicamente trascina il visitatore nel mondo straordinario di quel tempo.

ANGELO CERA PREME PER IL RITORNO IN GRANDE STILE DELLO SCUDO CROCIATO

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“Siamo scomparsi dalla cartina geografica della politica perché in questo meccanismo che l’ha svilita qualcuno ne ha approfittato. Facciamole presenti queste cose a livello nazionale se vogliamo costituire un’area popolare”. Il consigliere regionale Napoleone Cera annuncia che il suo gruppo riprenderà il nome e il simbolo dell’Udc (eletti come Popolari) in una biblioteca affollata per l’arrivo del vicepresidente nazionale Giuseppe De Mita, nipote di Ciriaco, “stella del partito e pilastro della nostra strategia congressuale”. La sala della biblioteca è affollata, Cera junior si compiace del luogo, che difende: “Non chiuderà, Emiliano non permetterà che si perda un luogo con questa tradizione”. Per essere un venerdì e per non essere gli incontri politici più molto in voga rappresenta un risultato. Massimiliano Di Fonso, il segretario cittadino, esulta: “Grazie, siete tanti, abbiamo lavorato molto in città, dal rinnovo della segreteria cittadina, composta di tanti giovani, alle manifestazioni per tutelare la famiglia e i nidi comunali la cui spesa è stata tagliata del 50% da questa amministrazione”.

Fra qualche mese si vota in nove Comuni della Capitanata, Torremaggiore, San Severo e San Marco in Lamis rappresentano roccaforti dell’Udc e del parlamentare centrista. Dunque preannuncia: “Ci presenteremo con nostre liste e ce la giocheremo in tutti e tre i Comuni con numeri a due cifre, è un atto d’amore nei confronti di questo simbolo e di questa tradizione”. Ipotizza di almeno tremila tessere il pacchetto che dalla Capitanata arriverà alla direzione romana ed esorta i vertici nazionali presenti a darsi una mossa: “Se non vi spicciate mi iscrivo al gruppo Misto-Udc”, cioè lui e il suo gruppo nell’area popolare non ci vanno.

L’incontro tenta di tracciare dei confini con la politica dei colleghi e si misura con le sfide della politica in rete. Bordate contro Salvini “che parla solo di immigrati” e contro i “grillini”, la mira costante è “il populismo”. Cera li attacca: “Pensano che basti mettersi in rete, fare dei circoletti, come si chiamano, per accelerare il loro arrivo in politica mentre noi veniamo dalla scuola di partito”. Al vulcanico parlamentare non risponde con la stessa foga De Mita. La prende alla lontana il giovane venuto da Nusco cui Napoleone, figlio di Cera, notizia: “Io e te siamo i più giovani in questo partito”.

Si cerca e si chiede il rinnovamento, questa storia di essere confusi con Ncd non gli sta bene: “Siamo scomparsi dalle trasmissioni tv ma noi siamo un partito coraggioso che deve farsi notare”. Stare al passo coi tempi, interpretare l’astensione è il compito destinato a De Mita che però rifiuta qualunque “formula algebrica, non si tratta di rifare un partito ma vanno riscritte delle regole comunitarie per una società che ha preso i grandi uomini come Moro, che ha cacciato i De Mita e rottamato i D’Alema”.  Si ricomincia con i temi della famiglia della genitorialità, con la politica che “riscrive le regole e non strumentalizza le paure della gente. In ogni caso non bisogna accusare gli altri e credere di possedere la verità”, è la chiosa del vicepresidente nazionale.

Passa nel dibattito anche la legge elettorale, Angelo Cera è convinto che “qualcuno abbia lavorato per il re di Prussia e che anche le vittorie di un partito avranno bisogno dell’Udc”. Ribaltato sul territorio il discorso porta a Manfredonia, alla Provincia, a Foggia, centri dove la sigla udiccina ha preso numeri a due cifre. Certo, e lo ammette, nei grandi centri servirà una coalizione centrista ma nei piccoli paesi, “l’afflato dell’amicizia ci darà grandi risultati”. Il dibattito è sul “ruolo dei cattolici moderati nell’Udc” ma si tratta di capire il ruolo del centrismo dopo la scomparsa della politica tradizionale delle “sezioni” e leggere l’attualità che De Mita, per ora, interpreta. (limmediato)

IL REGALO DI RENZI ALLA PUGLIA, SI’ ALLE TRIVELLAZIONI A DUE PASSI DA TREMITI

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“Il governo non si smentisce mai. Il 31 dicembre la legge di stabilità ed ecco il decreto per permettere le trivellazioni alle Tremiti, sempre alla stessa società, sempre nello stesso luogo dove venne permesso dalla Prestigiacomo. Alla faccia dei movimenti e dei cittadini che hanno detto no. Contano solo gli interessi. Noi non molliamo”. Riparte la battaglia del Movimento Cinque Stelle in Puglia con il consigliere regionale Rosa Barone che nelle ultime ore ha annunciato battaglia al “regalino” del governo guidato da Matteo Renzi. La zona richiesta e su cui è stato concesso il permesso, stando alla tavola allegata, si trova al confine tra Abruzzo e Molise. Un’area molto vasta, di circa 370 chilometri quadrati, e che è posizionata al largo di Termoli e delle Isole Tremiti. Non è bastato dunque il fronte del “no” guidato dal governatore Michele Emiliano a dissuadere il governo dal procedere. La storia dell’autorizzazione alla società irlandese Petroceltic Elsa – interrotta durante i giorni del drammatico incidente piattaforma petrolifera Deepwater Horizon – ritorna tal quale. Già allora, il presidente del Parco del Gargano Stefano Pecorella ammise tutta la propria perplessità per l’autorizzazione a trivellare in una preziosa riserva marina senza consultare il parere degli enti locali, come la Provincia di Foggia, l’ente Parco e la Regione Puglia, che invece avrebbero dovuto essere ascoltati preventivamente. La protesta allertò anche i sindaci e Legambiente.

I numeri della ricerca del petrolio

L’atto di accusa più grande è sicuramente riportato nelle pagine del documento presentato più di un anno fa dagli ambientalisti: oltre 12.290 chilometri quadrati nell’Adriatico centro meridionale italiano sono interessati da permessi di ricerca, istanze di coltivazione o nuove attività di esplorazione di petrolio che si aggiungono alle 8 piattaforme già attive e da cui nel 2013 sono state estratte 422.758 tonnellate di greggio, il 58% del totale nazionale estratto dai fondali marini.

“La ricerca di greggio nel mare italiano, nel dibattito energetico internazionale, sembra l’ennesimo regalo alle compagnie petrolifere che hanno trovato nel nostro Paese un vero Eldorado – aveva spiegato il presidente di LegambienteFrancesco Tarantini durante la presentazione del dossier -. Poco importa se Comuni, Regioni e cittadini sono contrari a svendere il loro mare per pochi spiccioli. È tempo che questo Governo si svincoli davvero dal passato e pensi seriamente a cambiare verso, per usare uno slogan amato dal nostro premier”.

Tra le aree maggiormente interessate dalle estrazioni petrolifere, secondo il dossier di Legambiente, vi è il mar Adriatico. La moltiplicazione delle estrazioni off-shore aumenterebbe ancora di più il rischio di inquinamento da idrocarburi del nostro mare. Non a caso la sicurezza delle attività estrattive offshore è al centro dell’attenzione della Comunità europea già dal 2010, anche in conseguenza all’incidente del Golfo del Messico. Non va dimenticato che il Mar Adriatico è estremamente fragile per le caratteristiche proprie di “mare chiuso” che definiscono un ecosistema molto importante e già messo a dura prova. La fragilità del suo equilibrio ecologico è aggravata dalla scarsa profondità e dal modesto ricambio delle acque. Per questo, un eventuale sversamento di petrolio deve fare i conti con la scarsa, se non nulla, possibilità di dispersione, con conseguente inquinamento delle coste e dell’ecosistema marino. Senza considerare l’impatto che queste attività possono avere anche sulla pesca, fino ad arrivare ad una diminuzione del pescato anche del 50% intorno ad una sorgente sonora che utilizza airgun, la tecnica geofisica di rilevazione di giacimenti nel sottofondo marino.

Sono bastati gli annunci di disponibilità di trivellazioni nel versante croato dell’Adriatico per far scattare, anche nel nostro Paese, in primis da parte del Governo e del ministro dello Sviluppo economico in particolare, proclami e annunci in favore del rilancio delle attività petrolifere in mare – spiegarono in quella occasione – seguendo il principio, alquanto discutibile, che è inutile fermare le attività estrattive nel nostro mare se tanto partono le trivellazioni nelle acque di competenza degli altri Paesi costieri. Quando invece sarebbe molto più logico lavorare per avviare delle serie politiche di tutela, a livello internazionale, di un bacino, quale è quello adriatico, particolarmente delicato e già oggi sotto pressioni ambientali molto elevate”. Evidentemente, queste previsioni non sono state affatto tenute in considerazione. (immediato)

PRESEPE VIVENTE DI RIGNANO GARGANICO

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L’Associazione Presepe Vivente di Rignano Garganico chiude la XVIII edizione con un bilancio più che positivo. I Re Magi hanno portato con loro, oltre ai doni per il Bambinello e le caramelle per i più piccini, anche temperature decisamente invernali, ma questo non ha fermato i volontari che hanno accolto i tanti visitatori nelle botteghe allestite in maniera da riprodurre la vita contadina degli anni ’30.

Quest’ultima edizione ha registrato il tutto esaurito in termini di visite. In migliaia, infatti, si sono riversati nelle viuzze del centro storico di Rignano, portando gran beneficio a tutto il paese.

Sono orgoglioso del lavoro svolto – afferma il presidente dell’associazione, Giuseppe Palladino – e devo ringraziare non solo chi mi ha preceduto nelle edizioni passate, ma anche chi mi ha accompagnato in questa edizione, a cominciare dai membri dell’Associazione, alle comparse, alle varie associazioni di Protezione Civile, tutti volontari ci tengo a ribadirlo. Naturalmente un ringraziamento va a chi ci sostiene, all’Ente Parco Nazionale del Gargano e al Comune di Rignano Garganico. Raccogliamo – continua Palladino – i frutti del gemellaggio con il Presepe di Deliceto e con quello di Canosa di Puglia, nonché dell’inserimento nella Rete dei Presepi di Puglia, un grande progetto della Regione Puglia per la promozione di un turismo destagionalizzato. Questo non significa che possiamo cullarci sugli allori, ma dobbiamo cercare di dare sempre il massimo, affinché la manifestazione continui ad affascinare sempre più visitatori”.

La XVIII edizione si è conclusa con un bellissimo momento di comunità e fede nella Chiesa Madre, dove, su invito del parroco don Nazareno Galullo e dell’Associazione, tutti i figuranti, unitamente al sindaco, Vito Di Carlo, si sono raccolti in preghiera attorno a Gesù Bambino, intonando i più bei canti natalizi.

L’Associazione Presepe Vivente ringrazia le comparse, i volontari delle varie associazioni di Protezione Civile, le forze dell’ordine, le aziende, i mass media, l’Ente Parco Nazionale del Gargano, il Comune di Rignano Garganico, la popolazione tutta, ma soprattutto i tantissimi visitatori che di anno in anno scelgono questa manifestazione.

Arrivederci alla prossima edizione! (COMUNICATO STAMPA)