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FORZA NUOVA: “NO ALLA CHIUSURA DELL’OSPEDALE DI LUCERA”

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Nella notte militanti di Forza Nuova hanno affisso uno striscione nei pressi dell’ ospedale Lastaria di Lucera, il coordinatore regionale della Puglia Mimmo Carlucci ed il segretario provinciale della provincia di Foggia Alessandro Rinaldi dichiarano” il piano di riordino ospedaliero previsto dalla giunta regionale guidata da Emiliano ricalca le scellerate scelte dei suoi predecessori Fitto ed Emiliano, invece di mettere mano agli sprechi e di cacciare i lobbisti della sanità pugliese legati ai grandi interessi del business della sanità, si preferisce penalizzare i malati, come sempre destra e sinistra negli anni sono deboli con i forti e forti con i deboli, chi ne paga le conseguenze sono i cittadini pugliesi; cambiano i colori politici delle giunte regionali ma le lobby trasversali della sanità non vengono mai toccate, e per esigenze di bilancio è facile programmare di sopprimere gli ospedali come nel caso di Lucera, oppure di prevedere un drastico ridimensionamento enorme come sarà fatto a Manfredonia, la cui struttura diventerà un centro per malati cronici e non autosufficienti. La proposta di Forza Nuova è chiara, semplice e radicale, eliminare gli sprechi di cui la ASL di Foggia negli anni è diventata tristemente famosa, e mantenere le strutture esistenti potenziandole, vorremmo ricordare ad Emiliano che la chiusura ad esempio dell’ospedale di Lucera appesantirà ancora di più la situazione ormai insostenibile degli ospedali riuniti di Foggia, dove i malati a volte per due o tre giorni devono stazionare all’interno del pronto soccorso, negli ultimi anni questa è diventata la regola e non l’eccezione, possibile che manager e supermanager nelle ASL pagati con i soldi pubblici non riescano a presentare un piano che eliminando gli sprechi non penalizzino i cittadini? Il nostro sospetto e che nella sanità pugliese chi comanda sono le lobby della sanità, le multinazionali dei farmaci, al taglio incondizionato e penalizzante per i cittadini Forza Nuova propone una proposta di pulizia e trasparenza, che ad oggi Emiliano non sa dare, il governatore regionale è in linea con i suoi predecessori, disagi ai cittadini, privilegi mantenuti per i burattinai della sanità.”

BIBLIOTECA PROVINCIALE, IN MOSTRA STORIE E UOMINI DI CAPITANATA NEI 60 ANNI DELLA RAI

C’è tempo fino al prossimo 16 gennaio per visitare in Biblioteca Provinciale a Foggia una mostra – RaiMen – allestita con entusiasmo e curata nei minimi particolari da Maurizio De Tullio, giornalista e responsabile de “La Meravigliosa Capitanata”, l’archivio telematico della Biblioteca di viale Michelangelo. Quali sono le storie e quali gli uomini di Capitanata che hanno calcato il palcoscenico o il dietro le quinte della Rai nei 60 anni di storia? De Tullio appassionato di storia locale, e che ha firmato nel 2009 il Dizionario Biografico di Capitanata. 1900-2008 contenente quasi 600 schede di personaggi di Foggia e provincia di rilevanza nazionale e internazionale, ha allestito la mostra dedicata proprio a quei volti e a quelle voci made in Capitanata che sono sbarcate sulla tv di Stato: non solo il giornalista ha dedicato proprio a loro una Conversazione di Storia Locale, dal titolo Voci, volti e vicende di Capitanata nei primi 60 anni della Rai,

Tra episodi di cronaca, politica, sport (Foggia-Inter 3-2 del ’65) cultura, fede e spettacolo che hanno portato la Capitanata alla ribalta nazionale. Tra i volti in rassegna il musicista e showman Renzo Arbore, i conduttori tv Savino Zaba e Giovanni Muciaccia, la cantante Rosanna Fratello, il coreografo Saverio Ariemma, l’attore Nicola Rignanese, la produttrice Maria Fares e tanti altri che in RAI hanno vissuto esperienze importanti e lasciato tracce indelebili. (teleradioerre)

IMU/TASI, COMODATO AI FIGLI RIDUZIONE DEL 50 PER CENTO. ATTENZIONE ALLE SCADENZE

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La Legge di Stabilità 2016 ha portato con sé tante novità fiscali, e quelle a cui tengono maggiormente i proprietari di immobili riguardano TASI e IMU. Saranno contenti i possessori di immobili adibiti ad abitazione principale, in quanto è stata abolita la TASI e l’IMU e felice sarà anche chi possiede terreni agricoli, a cui è stato abolito l’IMU. La legge si è ricordata anche delle case concesse in comodato ai figli o ai genitori, mettendo dei paletti ben precisi. Sarà una vera agevolazione?

La Legge di Stabilità ha apportato modifiche rispetto all’anno scorso. Innanzitutto è prevista l’abolizione della Tasi per tutti quegli immobili destinati ad abitazione principale, basta che non si tratti di quelli appartenenti alle categorie catastali di lusso. L’abolizione riguarda anche le case concesse all’ex coniuge separato in modo legale, e l’immobile delle forze dell’ordine che però sono stati trasferiti per causa di servizio. Novità anche per gli inquilini che non devono pagare la loro quota se occupano l’abitazione come principale. Qualora si tratta di locazioni a canone concordato l’aliquota TASI si riduce del 25%, mentre per il comodato d’uso a figli e parenti di 1° grado la riduzione sarà del 50%. Da non dimenticare, inoltre, la TASI dei fabbricati che sono destinati alla vendita dall’impresa costruttrice, per cui è prevista la riduzione all’1 per mille.

Per quanto riguarda l’IMU, si ha la conferma dell’abolizione per i terreni agricoli con ubicazione in comuni montani, e per quelli parzialmente montani solo se sono posseduti da coltivatori diretti e IAP (imprenditori agricoli professionali). L’esenzione è riconfermata per l’IMU di immobili non di lusso destinati ad abitazione principale, mentre è prevista la riduzione del 25% per i contratti di locazione a canone concordato e la riduzione del 50% per il comodato.

Riduzione del 50% su TASI e IMU per il comodato. Requisiti e adempimenti

Ecco quali sono i requisiti per ottenere la riduzione del 50% sul versamento di TASI e IMU 2016:

  • Il comodante, cioè chi concede, può essere proprietario soltanto di un’altra casa oltre quella concessa, ovvero quella destinata ad abitazione principale;
  • il comodatario, cioè a cui viene concesso, deve essere un parente di primo grado del comodante, quindi l’immobile deve essere prestato a genitori oppure a figli;
  • il comodatario deve adibire l’immobile dato in comodato come abitazione principale;
  • l’abitazione principale del comodante e quella che cede ai familiari devono trovarsi nello stesso Comune

Come se non bastasse, per poter usufruire di questa riduzione è necessario porre degli adempimenti ben precisi, quali:

  • la registrazione del contratto di comodato d’uso gratuito a figli e parenti, che ha un costo di 232 euro tra l’imposta di registro e la marca da bollo;
  • la registrazione deve essere richiesta entro 20 giorni dalla stipula del contratto;
  • il proprietario, che dà in comodato, deve presentare la dichiarazione IMU 2016 entro il 30 giugno 2017. Se non si hanno delle variazioni di proprietà degli immobili, non è obbligatoria la presentazione della dichiarazione.
  • Chi vuole ottenere la riduzione del 50% del primo semestre 2016 deve avere e registrare il contratto di comodato di uso gratuito dal 1° al 20 gennaio 2016. (blastingnews)

CARNEVALE 2016 A SAN NICANDRO, COSA BOLLE IN PENTOLA?

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Fra meno di un mese è Carnevale e, mentre cominciano ad essere pubblicati i programmi delle varie manifestazioni carnevalesche di altre cittadine, a San Nicandro non ancora si sa niente di iniziative relative a quest’antica nostra tradizione per il 2016. Già da qualche anno ci si pone il problema: “Cosa rimane di questa festa?”. E’ inutile dire che per i tradizionalisti il carnevale è finito in quanto non si concepisce lo spettacolo dei carri allegorici perché non appartiene alla nostra tradizione, anche se già da qualche anno, per questioni di costo, i carri non si vedono più. Per i non tradizionalisti il carnevale è rinato solo quando c’erano i carri perché portava in strada tanta gente.

E’ evidente che il passato non torna più anche perché non ci sono i nuovi “Tr’ppetta e Cus’micchj” . “U’ Ditt’” non trova più emozione tra la gente ormai abituata ad altre forme di spettacolo. Rimane solo la coppia della Pacchiana e del Pastore a dare l’impronta della tradizione che fortunatamente ancora continua.

Ogni cosa si evolve col tempo ed anche il nostro carnevale aveva cercato di evolversi con i carri allegorici che non avevano il compito di far morire il passato ma di affiancare il passato con un presente più vicino ai giovani.

Forse il discorso va spostato sulla organizzazione del carnevale. Ci sono associazioni deputate proprio a questo tipo di manifestazione, tra cui la Pro Loco, ma, purtroppo, incontrano enormi difficoltà per fare corpo unico ed organizzare insieme l’evento carnevalesco. Eppure si può, anzi si deve trovare un punto di incontro per non disperdere energie e creare un grandissimo evento. La tradizione può convivere con la modernità, la musica folk può essere ascoltare insieme a quella tipica brasiliana. Occorre soltanto programmare, con una regia condivisa, le tre giornate con eventi distinti ma coordinati per uno stesso obiettivo.

Per non parlare poi dei veglioni che si organizzano in questo periodo. Ben vengano queste iniziative, ma come sarebbe bello se tutti quelli che vanno ai veglioni poi si riversassero per le strade del paese con quegli stessi costumi. Sarebbe un apoteosi di colori, di spettacolo, di musica e di divertimento collettivo. Un ultimo invito va all’amministrazione comunale per una partecipazione fattiva al carnevale con la disponibilità totale a livello di logistica e di altro. Così operando, tradizionalisti e non potranno contare su una convivenza tra passato e presente nella speranza di dare a San Nicandro quel primato del Carnevale che una volta deteneva e che deve riconquistare con la partecipazione di tutti.

Intanto, mancano forse 25 giorni all’evento. Cosa bolle in pentola?

PERCHE’ I MURI NON POSSONO FERMARE I RIFUGIATI

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Si chiude male il 2015 per i rifugiati. E il 2016 non promette bene. Dopo molte discussioni, vertici europei, agende e piani per la gestione di quella che è stata definita enfaticamente “emergenza umanitaria”, le ultime mosse dei responsabili politici del continente vanno in una direzione assai diversa da quella prospettata a settembre, sull’onda della commozione per le foto del piccolo Aylan. Gli attacchi terroristici di novembre, dopo i risultati elettorali danesi, sloveni, polacchi, hanno spinto i governi verso la chiusura.
La partita vede fondamentalmente contrapporsi, non solo in Europa, due visioni antagoniste: la cultura dell’accoglienza e la strategia del contenimento. A favore della prima stanno i diritti umani affermati da costituzioni nazionali e convenzioni internazionali, le associazioni e i movimenti che difendono la causa umanitaria, ma soprattutto il dato ineludibile dei flussi di persone in cerca di scampo, dentro e fuori dai confini del proprio paese. Va sempre ricordato che l’86 per cento dei richiedenti asilo rimane nel Sud del mondo. Paesi come la Turchia, il Libano o la Giordania ospitano complessivamente circa 3,5-4 milioni di profughi, principalmente siriani. Solo una minoranza, di solito più attrezzata oltre che fortunata, riesce ad approdare sul suolo europeo. Per un breve momento è sembrato che la cultura dell’accoglienza stesse prevalendo, quando a settembre Jean-Claude Juncker ha annunciato a nome dell’Unione Europea un piano per accogliere e distribuire tra i paesi membri 160mila profughi, sospendendo di fatto gli accordi di Dublino. Ora però i governi sembrano essersi convinti che l’accoglienza scontenta gli elettori e alimenta i populismi. Hanno quindi abbracciato con apparente risolutezza la strategia del contenimento, dando così solidi argomenti a chi da sempre propugna la chiusura e irride il diritto di asilo.

Una prima mossa in questa direzione è stata la negoziazione di un impegnativo accordo con la Turchia: aiuti per 3 miliardi di euro, eliminazione dei visti per l’area Schengen, accelerazione delle trattative per l’ingresso nell’UE, purché Ankara sigilli le frontiere e non consenta più il passaggio dei profughi. Di fatto, si sono spostati verso l’esterno i dispositivi degli accordi di Dublino. Non hanno avuto seguito le critiche di Amnesty International per le modalità adottate dalle autorità turche per trattenere i fuggiaschi e il governo Erdogan ha ottenuto una legittimazione internazionale forse insperata. In secondo luogo, anche in Europa ricompaiono i muri, fisici e simbolici. Ne sono stati censiti quarantadue attraverso il mondo, ma si sperava che l’Europa si fosse lasciata alle spalle questa tecnica antichissima per separare “noi” da “gli altri”. L’Ungheria di Viktor Orban, anziché essere isolata e stigmatizzata, ha aperto la strada. Per di più, gli attentati di Parigi hanno consentito di rilanciare il supposto nesso tra rifugiati e pericolo terrorista, inducendo il governo francese a ritirare la sua tiepida disponibilità verso l’accoglienza dei richiedenti asilo.
A dicembre, un po’ a sorpresa, è arrivato l’annuncio di una procedura d’infrazione contro Italia e Grecia sulla questione della rilevazione delle impronte digitali, con tanto di invito a ricorrere alla forza, se necessario. Poiché la redistribuzione verso altri paesi avviene con il contagocce, la mossa significa ripristinare alla lettera le regole di Dublino e scaricare sui paesi rivieraschi l’onere dell’accoglienza. Gli istituendi hotspot, con ogni probabilità, non saranno stazioni di transito, ma terminal di arrivo.

Non nuova, ma periodicamente reiterata, è poi una quarta misura di contenimento: la minaccia delle maniere forti verso i cosiddetti scafisti. Si fa credere che i profughi arrivino rischiando la vita perché qualcuno li trasporta per denaro, occultando il fatto che in mancanza di mezzi legali chi fugge deve mettersi nelle mani di chi è disposto a trasportarlo, a qualunque costo. Non potendo dire pubblicamente che non vogliono accogliere altri profughi, i governi europei dichiarano guerra agli scafisti. Continuano invece a mancare i canali umanitari richiesti dalle organizzazioni internazionali per consentire ai fuggiaschi un accesso legale e protetto a paesi sicuri. Qui un piccolo segno di speranza è rappresentato dall’iniziativa assunta dalla chiesa valdese insieme alla comunità di Sant’Egidio per l’apertura di due corridoi umanitari, dal Marocco e dal Libano, per portare in salvo in Italia 2mila profughi. Un dato infatti rimane certo anche per il 2016: se non arriverà la pace, in Siria e altrove, altre migliaia di persone sfideranno le politiche di contenimento, cercando scampo con ogni possibile mezzo.

OLIO TUNISINO, COLDIRETTI PUGLIA: STOP ALLA IMPORTAZIONE

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“Bene il parere votato dalla commissione agricoltura del Parlamento europeo per il dimezzamento del contingente di olio che dovrebbe arrivare a dazio zero dalla Tunisia, ma non basta. E’ inaccettabile la proposta dell’esecutivo Ue per un accesso temporaneo supplementare sul mercato europeo di olio d’oliva tunisino a dazio zero, 35mila tonnellate extra per il 2016 e altrettante nel 2017, oltre alle 56.700 attuali che già hanno fatto aumentare del 734 per cento le importazioni nel 2015 e porterebbe nel 2016 ad un + 1248% l’import di olio dal paese extracomunitario in soli due anni. In attesa che il dossier passi alla commissione responsabile del commercio internazionale, per poi arrivare alla plenaria dell’Europarlamento entro marzo, il pressing del governo italiano deve essere incessante. Anche perché l’importazione riguarderebbe tutti i tipi di olio di oliva tunisino per cui non devono essere rispettati i requisiti ambientali e fitosanitari rigidi cui i prodotti europei devono attenersi, immettendo sul mercato italiano prodotto di discutibile qualità e sicurezza alimentare, oltre a creare una evidente quanto sleale e concorrenza”.

E’ il Presidente della Coldiretti Puglia, Gianni Cantele, a chiedere con forza di dare completa applicazione alle norme già varate con la legge salva olio, la n. 9 del 2013 e di accelerare il percorso del disegno di legge che reca le “nuove norme in materia di reati agroalimentari” elaborato dalla commissione presieduta da Gian Carlo Caselli, magistrato e presidente del comitato scientifico dell’osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.

“Di fronte al moltiplicarsi di frodi con le indagini che hanno coinvolto anche grandi gruppi per olio di bassa qualità venduto come extravergine o quello straniero spacciato per italiano – denuncia il Direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti – bisogna stringere le maglie della legislazione per difendere un prodotto simbolo del Made in Italy e della dieta mediterranea e togliere il segreto sulle importazioni di materie prime alimentari dall’estero perché sapere chi sono gli importatori e quali alimenti importano rappresenta un elemento di trasparenza e indubbio vantaggio per i consumatori e per la tutela del ‘made in Italy’ agroalimentare. Il flusso ininterrotto di prodotti agricoli che ogni giorno dall’estero attraversano le frontiere serve a riempiere barattoli, scatole e bottiglie da vendere sul mercato come Made in Italy”.

E’ una operazione di trasparenza che va fatta, considerato che a livello mondiale si registra un aumento costante del consumo di olio di oliva che ha fatto un balzo del 50 per cento negli ultimi 20 anni, mentre nel corso dell’ultimo decennio le importazioni complessive di oli di oliva in Puglia sono cresciute più rapidamente delle esportazioni, confermando il sostanziale deterioramento della posizione competitiva della filiera pugliese sui mercati esteri. Le importazioni complessive di oli di oliva ammontano in media a circa 87.000 tonnellate, di contro le esportazioni si aggirano sulle 38.000 tonnellate. Gli oli stranieri vengono importati principalmente da Spagna, Grecia e Tunisia, acquistati a prezzi più bassi rispetto al prodotto regionale.

CIAVARELLA COSTANTINO AI MICROFONI DI CIVICO93

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Domani 14 gennaio, per “Swip”, la rubrica di approfondimento di Civico93, sarà ospite il dott. Costantino Ciavarella per le ultimissime news di politica locale.

SAN NICANDRO, LUMINARIE ACCESE E QUARTIERI AL BUIO

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Questa il titolo della mail ricevuta da Civico93 da parte di Antonio C. di San Nicandro che lamenta un paradosso secondo lui visibile a tutti. Le feste natalizie sono finite con l’Epifania. E’ passata più di una settimana e tutte le sere si vedono accese le luminarie della festa e il grande albero di Piazza IV Novembre. Tutto bene se non fosse che mentre il corso è illuminato, ci sono quartieri di San Nicandro privi di illuminazione perché non funzionante. Non ci sono soldi per sostituire le lampadine fulminate della pubblica illuminazione ed intanto si spendono soldi per tenere accese le luminarie di Natale. Non è il caso di toglierle e quindi risparmiare sulla bolletta per comprare qualche lampadina in più e illuminare le nostre strade?

IERI, 12 GENNAIO 1902, A CARPINO 200 BRACCIANTI INVADONO TERRENI COMUNALI

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(dall’Agenda 2014 della Fondazione Banca del Monte di Foggia. Progetto editoriale: Filippo Santigliano. Ricerca e testi: Davide Grittani. Editing e curatela: Saverio Russo, Filippo Santigliano)

QUANDO LA CAPITANATA ERA DAVVERO AFFAMATA

«Muniti di zappe, al grido di “Abbasso il Municipio”, invasero dei terreni di proprietà comunale in tenuta Petronella». Così “il Foglietto” di Lucera (n. 4 del 12 gennaio 1902) riferiva della rivolta dei 200 contadini di Carpino. Non un fatto estemporaneo, e neppure isolato, in Capitanata; bensì la drammatica manifestazione di una condizione di povertà e disagio vissuta da contadini e braccianti sempre più impoveriti e affamati. Fu così che l’8 settembre di quello stesso anno a Candela si registrò uno degli eccidi più clamorosi della storia della provincia di Foggia (ma ne riparleremo approfonditamente nell’Almanacco del prossimo 8 settembre). Il termometro della preoccupante condizione economica vissuta all’epoca è reso plasticamente dalla cronaca del primo Congresso dei contadini pugliesi che si tenne a a Foggia nei giorni 5 e 6 aprile del 1902. Ne ha riferito Raffaele De Seneen su manganofoggia.

PRIMA GIORNATA Alle ore 11,30 presso il Teatro Politeama di Foggia si apre il 1° Congresso dei contadini pugliesi promosso dalla locale Lega di Miglioramento. Risultano presenti circa 200 rappresentanti di diverse Leghe: Foggia con 1.400 soci, Lucera con 800, Sansevero 400, Deliceto 300, San Giovanni R. 100, Stornarella 200, Carapelle 200, Manfredonia 400, Carpino 100, Cagnano 100, Candela 400, Cerignola 1.200, Orta Nova 200, Troia 100 e poi Torremaggiore, Apricena e Sannicandro. I rappresentanti con diritto di voto deliberativo sono 57 compresi quelli di Andria, Barletta e Bisceglie. La seduta viene aperta dall’avv. Maiolo che dà lettura dell’adesione della Lega di Casamassima. Quindi, viene costituito l’Ufficio di presidenza, che su proposta dell’avv. Fioritto risulterà così composto: Direttori di assemblea, Fioritto, Spagluolo, Quinto e De Palma; Segretari Di Maio, Fischetti, Eugenio Ferri e Magaldi. I lavori vengono introdotti dall’avv. Fioritto che si rivolge ai congressisti dicendo. fra l’altro: “Profugo da una classe a voi sempre avversa, vi porto il saluto della Commissione ordinatrice e della Lega di Foggia. Voi discuterete dignitosamente e serenamente per dare così la prova che siete già educati alla vita pubblica e degni di migliore avvenire”. Subito dopo vengono avanzate le seguenti proposte da inserire nell’ordine del giorno: Statuto fondamentale per tutte le Leghe (proposta Rodoveo), Case operaie (proposta Ferrero), Festa del 1° Maggio (proposta Maiolo). Alle ore 12,00 circa giunge nella sala del Congresso l’on. Enrico Ferri che porta il suo saluto di socialista e come rappresentante della Direzione del partito socialista. Nell’intervento a seguire, l’on. Ferri, definisce il Congresso “un fenomeno storico interessante e un segno dei tempi che preludia a una nuova civiltà”: Poi, termina il suo intervento al grido “Viva il socialismo!” e i congressisti intonano due strofe dell’Inno dei lavoratori. I lavori del Congresso riprendono alle 15 con l’intervento dell’avv. Maiolo, che individua nella “istruzione agraria” la conquista dei miglioramenti da parte dei contadini, e propone il seguente ordine del giorno: “Il congresso dei contadini pugliesi ritenuto che i contadini devono conseguire il loro miglioramento, non solo la lotta economica pel rialzo del salario, ma anche progredendo nella loro professione DELIBERA di promuovere un’agitazione perchè siano istituite scuole professionali pei contadini, e finchè non si giungerà ad ottenere risultati positivi da tale agitazione, d’istituire delle scuole pratiche ad iniziativa delle Leghe, delle Federazioni e delle Camere del Lavoro”. Fa seguito l’intervento sulla “legislazione agraria” tenuto dall’avv. Maiolo che termina chiedendo l’approvazione di un relativo ordine del giorno, in cui, tra l’altro, propone un voto per la socializzazione delle terre. La prima giornata del Congresso si conclude con l’annuncio che in serata, negli stessi locali, vi sarà la festa per l’inaugurazione della bandiera della Lega dei contadini di Foggia.

SECONDA GIORNATA E’ domenica, e il numero dei congressisti aumenta, giungono da San Marco La Catola e da Celenza, inoltre, nei palchi, si nota la presenza femminile. Il primo intervento della giornata è dell’avv. Maitilasso; parla del lavoro delle donne e dei fanciulli e conclude con la proposta di un ordine del giorno: “Il primo Congresso dei contadini delle Puglie, considerato che l’attuale sfruttamento delle donne e dei fanciulli è contro le leggi di natura, che esso è una precipua causa della miseria e del ribasso dei salari DELIBERA 1) Di continuare nell’agitazione perchè la legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli si ispiri ai principi fondamentali del progetto socialista; 2) Di istituire in tutte le Leghe femminili che dovranno sorgere la mutua assistenza all’epoca della gravidanza e del puerperio con il concorso anche di contributi da parte delle Leghe maschili; 3) Di reclamare la refezione scolastica ai figli dei contadini d’ambo i sessi fino ai 15 anni. L’avv. Fioritto, invece, propone il seguente ordine del giorno: “Il Congresso ritenuto che i lavoratori della terra quando hanno dato alla società tutte le loro forze, hanno diritto di ricevere da questa società beneficata l’assicurazione di una vecchiaia non tribolata dalla fame e dalla miseria DELIBERA di promuovere una seria agitazione perchè vengano versate le maggiori quote dell’imposta progressiva, che fin da ora fa voti sia attuata, e frattanto vengano devolute a tale scopo le somme stanziate nel bilancio dello Stato per le inutili spese militari”. L’ulteriore argomento trattato riguarda le “case operaie”. Ad illustrarlo è ancora l’avv. Fioritto che suscita sul tema un’accesa discussione che si tramuta nell’approvazione del seguente ordine del giorno: “Il Congresso convinto che sia tempo di abolire gli immondi abituri destinati fatalmente alla classe lavoratrice e sostituirli con abitazioni igieniche DELIBERA di promuovere un’intensa agitazione a tale scopo e di incitare il lavoratore dell’arte edilizia, perchè costituiscano delle cooperative di lavoro per assumere l’impresa di tali costruzioni assicurandoli intanto della piena solidarietà dei lavoratori della terra. Nell’intervallo che segue, una ventina di congressisti, sotto la direzione di Lorenzo Fischetti intonano e cantano l’Inno dei lavoratori composto da F. Turati nel 1886: “Su fratelli, su compagni, su, venite in fitta schiera: sulla libera bandiera splende il sol dell’avvenir. Nelle pene e nell’insulto ci stringemmo in mutuo patto, la gran causa del riscatto niun di noi vorrà tradir. Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro o pugnando si morrà”

Il Congresso riprende con una maggior presenza femminile ed è ancora l’avv. Fioritto a parlare di emigrazione facendo voti, in un ordine del giorno, a favore della colonizzazione interna e per l’istituzione di un particolare ufficio di emigrazione. Appena giunto, prende la Presidenza del Congresso l’on, Lollini, ed in assenza dell’avv. Mucci è l’avv. Canio Musacchio di Gravina di Puglia a relazionare sull’opportunità di costituire la Camera del Lavoro. L’argomento è il più interessante all’ordine del giorno ed è dimostrato dal fitto dibattito che ne segue. Dibattito non senza contrasti che viene prima sospeso e poi ripreso. L’on. Fioritto propone la Federazione provinciale delle Leghe dei contadini, e pur convinto dell’utilità della Camera del Lavoro suggerisce una preliminare discussione da parte degli uffici. ‘avv. Maitilasso ravvisa la necessità che a San Severo sia subito costituita una sezione della Camera del Lavoro. Rodoveo, rientrato da poco dalla Liguria, propone che si costituiscono, dove vi sono 5.000 iscritti e tre Leghe, delle distinte Camere del Lavoro. L’avv. Maiolo riassume la discussione o propone l’utilità di costituire una sola Camera del Lavoro a Foggia. Prima del voto, il capolega dei contadini di Foggia, Silvestro Fiore, chiede che la Camera de Lavoro venga istituita prima dell’inizio dei lavori estivi. A conclusione di questo argomento vengono approvati gli ordini del giorno di Fioritto e Musacchio e un altro ordine del giorno provvisorio con cui si delibera di nominare un comitato provinciale formato da tre contadini e due altre persone per provvedere sin dall’immediato agli interessi dei lavoratori negli imminenti lavori estivi. Vengon chiamati a far parte del Comitato: Fiore capolega di Foggia, Quinto capolega di Cerignola, Cristofaro Di Giovine capolega di Lucera, oltre gli avv. Fioritto e Ferreri. Nell’intervallo della discussione sulla Camera del Lavoro si sono toccati altri punti. Rodolfo Asdrubali evidenzia la deficienza dell’attuale legge sugli infortuni e fa voti che essa venga estesa anche ai contadini, che per ora ne sono esclusi. Uno dei congressisti fa voti per il riposo festivo, inoltre, si vota un ordine del giorno contro la progettata spedizione a Tripoli. Fischetti, Clerico e Gaddino proprongono l’istituzione di pubblici dormitori per i lavoratori forestieri. Il Congresso si chiude con i ringraziamenti di Silvestro Fiore, capolega dei contadini di Foggia, ai congressisti intervenuti ed il riconoscimento alla propaganda socialista che ha consentito l’esistente organizzazione proletaria di Capitanata. L’on. Lollini dichiara sciolto il Congresso al grido di: “Viva il proletariato!”, il pubblico applaude e grida: “Viva il socialismo! Viva il proletariato!” Quante cose, che oggi ci paiono scontate, perchè connaturate al diritto naturale, perchè ottenute al tavolo di una contrattazione collettiva di lavoro, senza lotte, scioperi e morti, erano all’epoca, non quella delle palafitte, bensì agli inizi del 1900, solo un libro dei sogni fatto a colpi di ordini del giorno. Diritto all’istruzione, tutela del lavoro femminile e minorile, attenzione e provvidenze per le donne lavoratrici in occasione della gravidanza e del puerperio, le forme assicurative-pensionistiche per tutelare i lavoratori in caso di incidenti e per il momento in cui sarebbero usciti dal mondo produttivo per vecchiaia, quindi non più in grado di procurarsi una paga o un salario. E poi la questione abitativa, quella che oggi in termini più correnti possiamo inquadrare nella politica per “le case popolari”, il senso di appartenenza e di solidarietà che si concretizza e porta all’auspicio che i lavoratori stagionali provenienti da altre zone trovino alloggiamenti decenti: precursori dei tempi su quella tematica che vede oggi proprio le nostre amministrazioni locali impegnate con quel progetto di “albergo diffuso” per venire incontro alle esigenze di lavoratori neocomunitari ed extracomunitari. E gli oneri derivanti dall’attuazione di questi sogni?? Semplice, forse troppo, i congressisti individuano nelle spese per preparare e sostenere una guerra (Tripolitania, guerra italo-turca 1911/1912) le risorse da meglio utilizzarsi rispetto ad un evento che li avrebbe costretti in prima fila per conquistare e difendere interessi propri di altre classi sociali. Riprendiamo dalle cronache del tempo. Il Foglietto di Lucera nel n. 28 di giovedi 10 aprile 1902 dedica ai fatti testè descritti un articolo dal titolo “Dopo il Congresso” nel quale evidenzia che l’organizzazione dei contadini nella nostra provincia è appena iniziata. Prova ne è che i comuni dove esistono le Leghe di miglioramento non raggiungono il numero di 20 e gli iscritti intorno ai 7000 rispetto alla massa dei lavoratori di campagna, e che le loro condizioni si differenziano da centro a centro (Foggia, San Severo, Cerignola, Lucera). Differenze, che pur minime, influiscono sui comportamenti individuali, si è che, commenta il Foglietto “sarebbe difficile precisare quali sono i motivi veri che determinano la costituzione delle nostre Leghe, se un’aspirazione verso il collettivismo, ovvero il più immediato intendo del maggior salario; se con sentimenti di antipatia verso reggitori di comuni e provincia, o un “entrain” per giovani attivi, simpatici, che essi credono debbano sostituire i vecchi arnesi del mestiere politico-amministrativo. Ad ogni modo le Leghe esistono e la loro esistenza la devono al partito sociaslista”. E il Foglietto critica lo stesso Partito Socialista per aver affrettato i tempi di questo congresso che ha messo a nudo “il lato debole della organizzazione” e “la insufficiente preparazione negli elementi direttivi”. Il Foglietto da una parte esalta la bontà e la giustezza di alcuni ordini del giorno come quello per la istruzione agraria e le case operaie da far costruire da una cooperativa di lavoro fra muratori, e rileva “si può prendere sul serio il voto fatto da 57 contadini per la socializzazione della terra? E che valore prossimo ha esso?”, paventando che un certo tipo di propaganda può “dare per risultato immediato l’esaltazione subitanea e gli scoraggiamenti non meno repentini nelle menti incolte”. L’articolo di spalla, in prima pagina su il Foglietto, così conclude “E se un augurio possiamo fare è questo, che un congresso di contadini si ripeta perchè non c’è spettacolo da vedere più confortante di quello di una classe di lavoratori che tenta elevarsi”. Per chi non ha vissuto quell’epoca e quegli eventi, per chi è arrivato molto dopo che la storica e bella testata de “il Foglietto” ha cessato di denunciare, raccontare e commentare, ma che di questi fatti è andato alla ricerca, storicamente legandoli ad altri accaduti e a quelli attraversati dalla propria esistenza, non resta che dire: “Lottare per una vita e un’esistenza più dignitosa non è un reato, sognare non è un furto”.(ilmattinodifoggia)

LE INEFFICIENZE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE FRENANO LA RIPRESA

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Il malfunzionamento della Pubblica amministrazione italiana continua ad avere “un impatto molto negativo sull’economia del nostro Paese frenandone la ripresa”. I ricercatori della CGIA hanno raccolto ed elencato  le principali inefficienze della nostra macchina pubblica e i conseguenti effetti economici che queste criticità producono sui bilanci delle famiglie e delle imprese italiane. In sintesi si puntualizza che:

·        i debiti della Pa nei confronti dei fornitori ammontano (al lordo della quota ceduta dai creditori in pro-soluto alle banche) a 70 miliardi di euro;

·        il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per un importo di 42 miliardi di euro l’anno;

·        il peso della burocrazia grava sulle Piccole e medie imprese (Pmi) per un importo di 31 miliardi di euro l’anno;

·        sono 24 i miliardi di euro di spesa pubblica in eccesso che non ci consentono di ridurre la nostra pressione fiscale in media Ue;

·        gli sprechi e la corruzione presenti nella sanità ci costano 23,6 miliardi di euro l’anno;

·        la lentezza della nostra giustizia civile costa al sistema Paese 16 miliardi di euro l’anno.

In relazione al fatto che queste inefficienze sono tratte da fonti statistiche diverse e che in alcuni casi i costi si sovrappongono, non è possibile sommarne gli effetti economici. Tuttavia, queste avvertenze non pregiudicano la correttezza del seguente ragionamento:

E’ possibile affermare con buona approssimazione che gli effetti economici derivanti dall’inefficienza della nostra Pubblica amministrazione siano superiori al mancato gettito riconducibile all’evasione fiscale che, a seconda delle fonti, sottrae alle casse dello Stato tra i 90 e i 120 miliardi di euro ogni anno. E’ altresì verosimile ritenere che se recuperassimo una buona parte dei soldi evasi al fisco, la nostra macchina pubblica funzionerebbe meglio e costerebbe meno.  Analogamente, è altrettanto plausibile ipotizzare che se si riuscisse a tagliare sensibilmente la spesa pubblica, permettendo così la riduzione di pari importo anche del peso fiscale, molto probabilmente l’evasione sarebbe più contenuta, visto che molti esperti sostengono che la fedeltà fiscale di un Paese è direttamente proporzionale al livello di pressione fiscale a cui sono sottoposti i propri contribuenti.

IL PD DI CAPITANATA DISCUTE DI IUS SOLI CON MICHELE BORDO E KJALID CHAOUKI

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La riforma del diritto di cittadinanza è il tema dell’incontro organizzato dal Partito Democratico di Capitanata Legge sulla cittadinanza – Una norma di civiltà attesa da una nuova generazione di italiani.

Venerdì 15 gennaio, a partire dalle ore 18.00, nella Sala della Ruota di Palazzo Dogana (piazza XX Settembre) ne discuteranno: i deputati del PD Michele Bordo (presidente della Commissione Politiche UE della Camera) e Khalid Chaouky (coordinatore dell’Intergruppo parlamentare Immigrazione e Cittadinanza); Antonio Russo, responsabile nazionale area Immigrazione di Acli; Gianpaolo Maria Ruotolo, docente aggregato di Diritto internazionale dell’Università di Foggia. Gli interventi saranno moderati da Massimiliano Arena, esperto di Diritto dell’immigrazione, e preceduti dai saluti del presidente della Provincia di Foggia Francesco Miglio e del segretario cittadino del PD Mariano Rauseo.

La legge approvata alla Camera lo scorso 13 ottobre introduce nell’ordinamento lo ius soli temperato e lo ius culturae con cui si estende la cittadinanza italiana ai minori figli di cittadini stranieri residenti regolarmente in Italia. L’obiettivo dichiarato è favorire una più efficace integrazione di ragazze e ragazzi nati e cresciuti in Italia che, di fatto, sono e vivono come i loro compagni di banco o colleghi di lavoro o amici di vita. (teleradioerre)

BANDO SERVIZIO CIVILE GARANZIA GIOVANI PUGLIA

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Il Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale, nell’ambito del programma Garanzia Giovani, ha pubblicato 6 bandi per la selezione di 2938 volontari da impiegare in progetti di Servizio Civile Nazionale GG in 6 regioni italiane, tra cui la Puglia.  In Puglia il bando consente l’attivazione di 112 progetti di Servizio Civile Nazionale, per un totale di 585 volontari. I progetti avranno una durata complessiva di 12 mesi e prevedono almeno 30 ore settimanali di impegno articolati su 5 o 6 giornate. Ai volontari verrà corrisposta un’indennità mensile di 433,80 Euro, che verrà erogata dal Dipartimento per la Gioventù e il Servizio Civile Nazionale. Possono candidarsi tutti i giovani di età compresa tra 18 e 29 anni (non compiuti) al momento di presentazione della domanda, in possesso dei requisiti per la partecipazione a Garanzia Giovani, tra cui:
• essere residenti in Italia;

• essere disoccupati o inoccupati;

• non essere inseriti in percorsi di istruzione o formazione;

• essersi registrati sul portale nazionale Garanzia Giovani o sul portale Garanzia Giovani Puglia ed aver firmato il patto di servizio con il CPI e/o servizio competente.

L’elenco completo dei requisiti di partecipazione è riportato all’art. 3 del bando “requisiti e condizioni di ammissione”. Gli aspiranti volontari, dovranno far pervenire la domanda all’Ente presso cui intendono svolgere il servizio, entro le ore 14:00 dell’8 febbraio 2016, secondo le modalità indicate nel bando.

È possibile inoltrare istanza per un solo progetto, pena l’esclusione dalla selezione.

Il bando SNC Garanzia Giovani Puglia è consultabile sui siti: Servizio Civile Nazionale Puglia http://serviziocivile.regione.puglia.it e Dipartimento della Gioventù e del SCN http://www.serviziocivile.gov.it/.

Per scaricare i bandi delle complessive 6 regioni e consultare l’elenco dei progetti, connettersi al sito ufficiale del Servizio Civile Nazionale www.serviziocivile.gov.it. L’elenco dei progetti, con l’indicazione del nome dell’ente, del titolo del progetto, del numero dei volontari e del sito internet dell’organizzazione è consultabile nell’allegato 1 ad ogni bando regionale, oppure on line sul sito del Servizio Civile Nazionale http://www.serviziocivile.gov.it/main/garanzia-giovani/bandi-garanzia-giovani/bandogg_31122015/ attraverso il relativo motore di ricerca, linkando alla voce “scegli il tuo progetto in Italia”.

PIU’ FUSIONI TRA COMUNI CON I GIUSTI INCENTIVI

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L’11 dicembre la commissione Bilancio della Camera ha deliberato il raddoppio degli incentivi economici a favore dei processi di fusione tra comuni, che passano così dal 20 al 40 per cento dei trasferimenti erariali ricevuti da ciascun ente nel 2010. La notizia arriva del tutto in controtendenza rispetto a quanto accaduto finora sul tema delle gestioni associate obbligatorie per i piccoli comuni, che ha visto uno slittamento continuo del termine ultimo per l’adeguamento, ora posticipato al 1° gennaio 2016. La legge 142/90 che introduce unioni e fusioni di comuni non ha dato quelli sperati, perché la prospettiva della fusione obbligatoria è stata osteggiata dagli enti locali. Diverso effetto sembra aver sortito la normativa che proprio quel vincolo ha rimosso (legge 265/99). Tuttavia, occorre tener presente che le soluzioni, lasciate allo spontaneismo dal basso, hanno inseguito di volta in volta i finanziamenti disponibili (nazionali e regionali), senza dar luogo a soluzioni stabili. Con la legislazione della crisi c’è stato un nuovo impulso alle unioni di comuni, ma il fenomeno è in parte il risultato della mera trasformazione delle preesistenti comunità montane, cui sono stati tagliati i finanziamenti. A fine 2014, il bilancio è dunque molto magro: le unioni interessano il 24 per cento dei comuni e il 14 per cento della popolazione; quelle effettivamente operative, che cioè hanno presentato un bilancio, sono ancora meno (nel 2012, 230 a fronte delle 367 esistenti sulla carta) e comunque il loro peso sulla spesa complessiva degli enti locali resta inferiore all’1 per cento.

Dal 2014 è poi emerso per la prima volta il fenomeno delle fusioni. Come ha confermato anche recentemente la Corte dei conti (audizione parlamentare del 1° dicembre 2015), questa soluzione è da considerarsi la migliore rispetto alle altre forme di associazionismo, perché produce risparmi di spesa certi. I fattori che l’hanno finalmente avviata sono da individuarsi negli incentivi erogati, uniti all’esenzione dal rispetto del patto di stabilità e, soprattutto, dall’obbligo di gestione associata delle funzioni fondamentali. Gli incentivi sono di tutto rilievo per piccole realtà: un comune nato da una fusione di dimensione molto piccola, come Fabbriche di Vergemoli (Lucca) (800 abitanti dopo la fusione), riceve un contributo annuo pari 110mila euro, mentre un comune medio come Figline e Incisa (Firenze) (23mila abitanti) circa 1 milione di euro per anno. Il contributo è previsto per i dieci anni successivi alla fusione. Se il fenomeno è senz’altro positivo, occorre tuttavia considerare che i numeri restano ancora molto piccoli (26 casi, per un totale di 62 comuni coinvolti nel 2014) e i risultati in termini dimensionali modesti (solo 7 casi su 26 hanno dato origine a enti con più di 10mila abitanti e solo 2 su 26 a enti con più di 20mila). Il rischio è che, se lasciato al più assoluto spontaneismo, il percorso si dimostri assai dispendioso in termini di tempo e risorse e che finisca per produrre risultati modesti.

Il potenziamento degli incentivi economici dedicati alla soluzione migliore (la fusione) può senz’altro rappresentare uno strumento efficace, che deve però essere bilanciato da una valutazione stringente dei risultati. Ad esempio, gli incentivi potrebbero essere erogati solo per soluzioni di massa critica sufficiente. Per valutare questo secondo aspetto si può far ricorso al raggiungimento di una soglia demografica significativa (almeno 10mila abitanti), oppure alla corrispondenza ad alcuni ambiti ottimali ormai consolidati, come i sistemi locali del lavoro (che rispecchiano il comportamento reale degli individui) o gli ambiti di programmazione dei servizi socio-sanitari o educativi (ambiti che corrispondono più precisamente al concetto di servizi di prossimità). Occorre, infine, prevedere un potere di sostituzione nel caso di inadempienza, giustificabile con motivi di interesse pubblico prevalente: l’iper-frammentazione, infatti, assorbendo risorse per il funzionamento delle strutture, toglie servizi ai cittadini.

Sabrina Iommi

PROGETTO MOLDAUNIA, RICORSO AL TAR PER IL REFERENDUM CONSULTIVO?

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Ormai dovrebbe mancare poco tempo ma il referendum per la nascita della “Moldaunia” si farà. Esistono tutte le condizioni giuridiche per farlo con le tante delibere dei comuni della nostra provincia compresa Foggia la città capoluogo. Il comitato referendario ha avuto un incontro con il presidente della provincia Miglio proprio per mettere in primo piano la richiesta del referendum. Nel caso che i tempi dovessero allargarsi, il comitato potrebbe ricorrere al Tar Puglia per la nomina di un commissario ad acta che dovrà provvedere unicamente ad indire il referendum consultivo che, ricordiamo, prevede la nascita di una nuova regione, “Moldaunia” appunto, con la provincia di Foggia e il Molise.

DEBUTTA QUESTA SERA “MISERIA E NOBILTA’”

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Questa sera la prima della famosa commedia di Edoardo Scarpetta “Miseria e nobiltà” presentata dall’associazione Prospettive Artistiche. La location è la Sala Ricevimenti di “Villa Florio”. Porta ore 20:30, sipario ore 21:00. Una rappresentazione che vedrà la partecipazione di Vincenzo Rendina, Giuseppe Di Tullio, Daniela Carbonella, Patrizia Di Lorenzo, Rita D’Andrea, Gian Paolo Paragone, Leonardo Russo, Nicandro Coco, Antonio Francesco Parisi, Alessandro Augello, Maria Battista Ciavarrella, Luciana Mastrolorito, Leonardo Montemitro e Filippo Caruso. Musiche di Michele Solimando, scene di Vincenzo Rendina, assistenti di scena Antonella Squeo, Maria Grazia Giordano e Eleonora Russo. Adattamento e regia di Giuseppe Di Tullio.

Per informazioni: 328/3595844.

OFFSHORE, MINISTRO GUIDI: “NON C’E’ NESSUNA TRIVELLAZIONE”

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“Un polverone pretestuoso e strumentale: non c’è nessuna trivellazione”. Così il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi definisce le polemiche a proposito dei permessi di ricerca offshore nell’ Adriatico: non si prevede infatti alcun tipo di perforazione e quei permessi riguardano una zona di mare ben oltre le 12 miglia dalla costa e anche dalle isole Tremiti.

“Il permesso di ricerca concesso alla società Petroceltic – spiega il ministro Guidi – riguarda soltanto, e in una zona oltre le 12 miglia, la prospezione geofisica e non prevede alcuna perforazione che, comunque, non potrebbe essere autorizzata se non sulla base di una specifica valutazione di impatto ambientale. Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano conosce benissimo i termini esatti della questione che a suo tempo gli è stata accuratamente rappresentata dal Ministero dello Sviluppo economico”.

Il ministro Guidi si dice infine “attonita” per alcune recenti dichiarazioni di esponenti politici: “la legge di Stabilità, venendo incontro alle richieste referendarie, ha escluso qualsiasi nuova ricerca entro le 12 miglia dalle coste. Il permesso alla Petroceltic non ha quindi nulla a che vedere con la legge di Stabilità visto che si tratta di ricerche al di fuori del limite delle 12 miglia”.

E comunque, ribadisce il ministro, “nessun altro permesso di ricerca, in nessun’altra parte del Paese, è stato rilasciato alla vigilia dell’approvazione delle legge di Stabilità”.


ASP ZACCAGNINO, DI SALVIA CHIEDE RICONFERMA

Nicandro Di Salvia, già Presidente dell’Asp Zaccagnino, chiede la riconferma dell’incarico al Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. Ecco la lettera inviata a Bari.

 

Carissimo Presidente,

Venni chiamato a presiedere il Consiglio di Amministrazione di questa Asp nel Maggio del 2010. Questa Istituzione nasceva nel lontano 1944, per un gesto di generosità del Dott. Vincenzo Zaccagnino, il quale volle lasciare il suo immenso patrimonio ai bambini poveri della città di San Nicandro Garganico. Fino al 2010, per oltre 65 anni, alla ” tavola ” riccamente imbandita della ex Fondazione Zaccagnino, hanno gozzovigliato amministratori disonesti, dirigenti voraci, avvocati avidi, agrari senza scrupoli. Ai bambini poveri neanche le briciole. Nei decenni prima del 2010, l’ex Fondazione, a fronte di un patrimonio cospicuo, si limitava a corrispondere poche decine di migliaia di euro ad un Istituto religioso, per il mantenimento in semiconvitto di alcuni minori poveri. Una specie di foglia di fico. Un comportamento semplicemente criminale. Dal 2010, alla Zaccagnino, la musica è completamente cambiata. I risultati ottenuti sono semplicemente straordinari: è stata realizzata una modernissima struttura che ospita una Comunità Alloggio per Minori, intitolata a Don Tonino Bello, pienamente funzionante, in cui hanno trovato lavoro otto ragazze e ragazzi laureati; un’altra struttura, che ospiterà un Centro Diurno Integrato per la cura e l’assistenza degli ammalati di elzheimer, è in fase di realizzazione; ci siamo dotati di un progetto esecutivo per la realizzazione di una Residenza Sanitaria Assistita per disabili gravi, privi del supporto famigliare (Dopo di Noi). Tale progetto è all’esame della Commissione Regionale per il finanziamento. L’idea è quella di creare alle porte del Gargano un Polo Socio-Sanitario gestito direttamente dall’Asp. Insieme a questo fervore progettuale, l’Asp Zaccagnino ha condotto una lotta alla povertà che colpisce i bambini. Centinaia di migliaia di euro sono stati spesi per assegnare centinaia di buoni-spesa a famiglie povere con minori a carico, per assegnare 50 borse di studio a minori poveri, per pagare il ticket della mensa scolastica a 100 bambini appartenenti a famiglie in difficoltà economica, ecc. ecc. Basta un dato: nel 2010 la spesa per assistenza era di circa 50.000 euro, oggi l’Asp Zaccagnino spende per assistenza oltre 400.000 euro. Tutto ciò è stato possibile per una politica di bilancio in cui, da una parte, sono stati cancellati sprechi e rendite di posizione e, dall’altra, sono state aumentate le entrate. In cinque anni, nessun componente del Consiglio di Amministrazione, a partire dal presidente, ha mai presentato all’Ufficio di Ragioneria la richiesta di pagamento di indennità di missione, o il rimborso di fatture relative a ristoranti, ecc. L’intero Consiglio, compreso il presidente, ha svolto il suo mandato senza percepire alcuna indennità di carica.

Ora, caro Presidente Emiliano, veniamo al dunque. Nei mesi scorsi ti inviai, unitamente ad una relazione finale dell’attività svolta, una nota, nella quale, fra l’altro, ti chiedevo di confermarmi nella guida di questa Asp. Quella richiesta te la feci con molta riluttanza. Mi spinse una motivazione semplice: cinque anni non sono stati sufficienti per portare a termine l’ambizioso programma e, quindi, per il bene dell’Asp Zaccagnino, sarebbe stato utile assicurare una continuità amministrativa. Quando dico che quella richiesta la feci con riluttanza, ti prego di credermi. Purtroppo ho una formazione particolare, che mi deriva da una lunga militanza nel P.C.I.. I compiti che mi vengono affidati li svolgo con eccessiva passione: in questi cinque anni, la guida di questa Asp ha assorbito ogni spazio della mia vita. Una dedizione totale. Ho versato sudore e sangue. Prima di salutarti, vorrei trasmetterti una riflessione: la storia della Fondazione Zaccagnino si intreccia in maniera forte con la storia della mia città. Il popolo di San Nicandro è un popolo fiero, con una storia politica e sociale molto importante: evita di nominare alla guida di questa Asp una persona estranea alla mia città. Una simile decisione sarebbe vissuta dai miei concittadini come una insopportabile umiliazione. Nella mia città – ti assicuro – ci sono tante persone in grado di assolvere al compito di presidente dell’Asp con assoluta competenza.

Cordiali saluti.

Il Presidente

 Dott. Nicandro DI SALVIA

CITTADINI, COMUNICATE ERRORI E DISSERVIZI CIRCA LA RISCOSSIONE TRIBUTI COMUNALI

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A seguito di moltissime segnalazioni dei sannicandresi circa le disfunzioni per l’accertamento dei tributi locali da parte della Soget, il sindaco Gualano avvisa la cittadinanza di fare le opportune segnalazioni con un fac-simile di comunicazione di seguito allegata.

 

Il Sindaco avvisa che nella gestione e nella riscossione delle entrate poste in essere al fine di perseguire la lotta all’evasione e all’elusione fiscale sono state segnalate delle disfunzioni e dei disservizi. Al fine di migliorare la gestione del servizio e di evitare ulteriori disguidi a carico dell’utenza si invitano i contribuenti, nel caso vengano riscontrati errori, a formulare specifica segnalazione da depositare presso l’Ufficio di Protocollo ovvero inviare a mezzo e-mail: protocollo.sannicandrog@cittaconnessa.it . Grazie per la collaborazione. San Nicandro Garganico, lì 12.01.2016.

Il Sindaco

 Piero Paolo Gualano

LA PRESENZA EBRAICA IN CAPITANATA

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A smentire quanto asserito da alcuni, la presenza ebraica in Capitanata, ancora nel sec. XVII, è attestata da un prezioso documento dell’Archivio di Stato di Foggia [Dogana, s. V, 1680, reg. 2094, f. 13, nel quale si parla dell’esistenza all’epoca in Foggia di un “ fondaco di donna Andriana Ebraica ” , uno dei tanti quivi impiegati nella mercatura della lana, nella quale attività Foggia, capoluogo dell’estesissimo territorio, dagli Abruzzi alle Calabrie, soggetto alla giurisdizione della Regia Dogana della Mena delle Pecore in Puglia, primeggiava. In Capitanata, come nelle altre due Terre pugliesi, mai era esistito un problema ebraico. Nessun intellettuale aveva scritto per denunciare una inesistente gravità di questo preteso problema e invocare la necessità di risolverlo, mentre anzi editti di espulsione e di introduzione nella regione dell’Inquisizione di Spagna rimanevano naturalmente privi d’alcun consenso, come tutte le cose che qui contrastavano la volontà e i sentimenti del popolo. Nelle Puglie l’ebreo non era errante. Lo si trovava ovunque, non pallido e barbuto, senza palandrana nera, come era altrove costume, ed era una delle immagini delle Puglie che il viaggiatore poi più ricordava. Un tempo a Bari, come a Otranto, l’Ebreo era la sentinella avanzata del suo popolo. Attraversando tutta la regione, sostando nelle grandi città come nei piccoli villaggi, ovunque si incontravano i fieri volti di Israele. Non era un popolo senza quiete e senza sosta, non aveva nel sangue alcun istinto di muoversi, di cambiare cielo, di attraversare monti e pianure, di riattraversare il mare. “Quando sarò costretto a esulare, quando mi sarà distaccato dalla mia casa, sarà il sogno che la vita è finita ”, disse un vecchio ebreo della giudecca di Corigliano d’Otranto.  Chiari, di azzurre trasparenze, gli occhi, questa gente passava con lo sguardo assorto, il volto chiuso. Si sarebbe detto che per l’ebreo il mondo terreno era una realtà che non lo riguardava. Dio era, per lui, l’unica realtà. Poteva egli viaggiare, discutere, trafficare, ma tutto ciò intimamente non lo toccava e non lo scuoteva dalla sua visione. L’ebreo dava l’impressione di un uomo costretto a vivere in questa terra suo malgrado. Per conoscere il popolo d’Israele – quello che Heine definì il “terzo stato ” della Nazione –  bisognava internarsi nel silenzio e nella penombra delle giudecche pugliesi, in queste cittadelle dove la tradizione era legge e il sentimento della propria stirpe amore. Quanto dalle città mercantili e tumultuose o i pinnacoli, ci si internava nelle strade delle giudecche veniva incontro l’Oriente. Non si attraversava soltanto una antica piazza del mercato, dove le case avevano lucori d’oro nelle fantasiose decorazioni, non si attraversava soltanto una piazza, ma un mondo: l’Occidente con la sua vita inquieta, le audacie dell’architettura, le incandescenze, il rumore, e al di là una lontananza infinita. Le novità del progresso facevano, sì, il loro ingresso anche nelle giudecche, ma le antiche usanze non ne erano ancora uscite. Era un mondo caotico, del più vero Oriente, dove la strada era la casa di tutti e vi si poteva magiare, dormire, litigare e anche raccogliersi nella meditazione della Torah e del Talmud. Ma era anche un mondo di malinconia, pur se i volti di questa gente, che sembravano moltiplicare all’infinito la stessa immagine, sapevano sorridere e a volte – famosissimo è l’umorismo ebraico – persino ridere anche di se stessi. Se un canto si levava nell’aria era una nenia, che sapeva del lamento verdiano per la patria perduta. Niente era più malinconico di un giorno di festa – il Sabato – in una giudecca. La vita si fermava, i traffici si interrompevano, le inquietudini della vita quotidiana che non conoscono stanchezza, avevano la loro ora di pace. Israele si dimenticava di vivere su questa terra. Lasciava agli altri il problema di far passare il tempo. La giornata pareva coagularsi in lentezze mai esasperanti. Uomini dal volto grave passeggiavano lenti, assorti, a piccoli gruppi, da una piazza all’altra e si incanalavano in stradette medioevali dove il sole mai batteva e galleggiavano nell’aria gli odori d’Oriente. Le case si svuotavano; sulle soglie delle case sedevano le donne, le sole che non fossero erranti nel dedalo della giudecca. Uomini venerandi erano chini su grossi libri polverosi; occhi stanchi scorrevano le pagine sacre della Bibbia. Anche i fanciulli sembravano carichi d’anni, con le tonde kippoth in testa. Facevano malinconia: la vita era qualcosa di più grande di loro, li opprimeva. Grandi e piccole mani stentavano a reggere un vecchio Talmud, mentre gli occhi si affaticavano su pagine consunte. Il silenzio era pesante per la tragedia  che costituiva la storia di questo popolo. Pareva che essa curvasse le spalle d’ognuno, Ma non v’era un sordo rancore contro gli altri. Era il rimpianto di Eretz Yisrael. Ma, quando le schiene si drizzavano, era ben altro sogno: l’auspicato risorto Mrdinat Yisrael. Gente senza patria, se non interiore, amava tuttavia la terra che la ospitava ed era pronta per essa a dare la vita, come già fece a Oria e Otranto. Viveva nelle giudecche perché sotto i cieli delle Puglie mai era sorta una città loro, come invece lo era stato per gli Arabi della Luceria Saracenorum, i Greci della Grecìa Salentina, o gli Italo-Abanesi, ma la dimora nella terra di Pul’

era sentita come fatale e non provvisoria. Quando fu costretta ad abbandonarla, volle conservare a Corfù, a Salonicco e altrove alle proprie comunità il nome della regione e delle amate città pugliesi.  per un  ricordo che  si perpetuasse nei secoli e che solo la Shoah  riuscì con esse a estinguere. Pulsava ancora nel suo sangue – eredità che ogni generazione si trasmetteva – una ansietà dei cieli pugliesi spezzatasi contro l’inesorabile che non poteva essere vinto. In ogni angolo della terra pugliese gli Ebrei sentirono che la loro vita vi si radicava e la loro anima respirava in un’atmosfera di Patria.  Nessuno qui li costrinse nei confini di un ghetto (persino il termine vi era ignorato) e al rancore che era loro inflitto da questa prigionia. Essi usavano la lingua di tutti noi. La riconoscevano addirittura come propria. Molti ebrei non conoscevano altro che i dialetti pugliesi. Le famose scuole ebraiche pugliesi insegnavano la lingua del nostro Paese, dove i loro fanciulli crescevano alla vita. Imparare il latino, dapprima, e l’italiano, poi, non significava per essi atto di abdicazione e offesa alla loro stirpe. La lingua era un ponte gettato tra gli uomini ed essi volevano uscire dal loro isolamento e congiungersi con gli altri.  Solo la religione doveva distinguerli. Precorsero i tempi: si sentivano “fratelli maggiori ” .  La lingua ebraica delle giudecche non era un’isola che isolava e difendeva l’ebreo. La scrivevano in minute calligrafie, in segni per il volgo indecifrabili, ma ciò non impediva che la quasi totalità dei dotti pugliesi la conoscesse, al pari del latino e del greco. La si studiava – come ancora oggi – dai Cristini nei loro Seminari. Gli ebrei stampavano in ebraico le insegne dei loro negozi, lo usavano nei loro libri, ma spesso non mancavano di affiancarci la versione in italiano.  V’è tutta una letteratura ebraica che ha la radice nelle giudecche pugliesi. La particolarità ebraica non si arrese soltanto davanti alla tavola. L’ebreo ignorava infatti la complicata cucina pugliese e si tramandava infatti la tradizione di una cucina propria. Ma questa tradizione non era un segreto, tanto è vero che molte pietanze ebraiche finirono col divenir patrimonio della cucina pugliese.


DA SANT’ANTONIO A CARNEVALE SI ACCENDEVANO E FALO’ E SI AMMAZZAVA IL MAIALE

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Nel paese di Sannicandro si accendevano i falò per onorare quattro Santi: S. Antonio Abate, S. Sebastiano, S. Ciro e S. Biagio. Queste manifestazioni un tempo erano gradite a noi ragazzini sia per il loro folclore sia per il calore e l’entusiasmo della gente che in comune accordo si adoperava per rendere gli avvenimenti affascinanti, gioiosi ed infondere nell’ambiente allegria e sentimenti di fratellanza.  Intorno a quei fuochi si mangiava granoturco e fave abbrustoliti mentre i ceci venivano fatti alla marinara con bucce di arance, alloro e sale: si cuocevano nella sabbia calda dopo averli scottati su e giù nell’acqua bollente, avvolti in uno straccio, per circa 2 minuti di tempo recitando per due volte il Padre Nostro in latino.  Le serate erano allietate da canti paesani e da stornelli, a volte provocatori, allo scopo di sfottere bonariamente i partecipanti degli altri falò. Per la buona riuscita degli scherzi la gente si mascherava per non essere riconosciuta così le serate trascorrevano in vere e spensierate competizioni rionali. I benestanti in quel periodo ammazzavano il maiale e mettevano a disposizione una buona parte della carne che veniva arrostita sulla brace del falò. Ricordo ancora i forti grugniti che le bestie emettevano, con i musi legati, prima di essere scannati con un enorme coltello, trattenuti da più uomini forzuti. Ho visto qualche bestia riuscire a scappare con il coltello rimasto in gola….. Noi ragazzi eravamo sconvolti da quegli episodi e ugualmente ci recavamo nei pressi dove avveniva l’uccisione per curiosare e partecipare alla rotonda serale del fuoco e gustare un pezzo di arrosto quando ci veniva offerto.  Alla bestia morta venivano strappati i peli del dorso per farne dei pennelli; poi veniva bagnata con l’acqua bollente e rasata completamente con dei coltelli ben affilati; i peli residui e le unghie dei piedini venivano bruciati con la paglia, quindi la si appendeva divisa a metà. La testa, decapitata, era posta sul tavolato con un’arancia tra i denti, mentre tutte le budella venivano pulite e fatte asciugare, dopo di che venivano riempite con carne tritata per fare la salsiccia e l’altra metà riempite di sangue, aromi, cacao, zucchero, pezzettini di grasso veniva bollita nell’acqua. Il brodo dell’acqua era distribuito agli amici e ai parenti per cuocervi una specie di polenta. Il fegato, i polmoni e il cuore si cucinavano subito con aglio, olio, sale e alloro, mentre l’involucro che conteneva questi organi serviva per fare gl’involtini ripieni da mettere nel ragù. La bestia veniva sezionata e divisa in ogni sua parte: le cotenne, le orecchie, i piedi, la lingua e il muso ricoperti di sale venivano conservati in luogo fresco in contenitori di argilla, mentre le cosce ricoperte di sale e pressate per un certo periodo con enormi sassi erano poi asciugate e appese in luogo fresco e buio per la stagionatura (prosciutti). La parte grassa, lardo, con ancora la cotenna, veniva salata ed appesa, mentre il lardo misto alla carne si arrotolava con dentro sale, peperoncino e rosmarino e si otteneva la pancetta arrotolata.
I nostri antenati nelle serate lunghe invernali ci tenevano uniti intorno al camino o intorno al braciere raccontandoci favole che parlavano di spirito di sacrificio, educazione, lealtà, bontà; vere lezioni di vita impartite con dolcezza ma che entravano nelle nostre ingenue coscienze facendo germogliare il senso del rispetto altrui. I racconti relativi ai falò e all’uccisione del maiale erano i seguenti: Il globo terrestre nel compiere il movimento di rotazione intorno al sole (equinozio invernale), riceve meno luce e calore, diventando così i giorni più corti e l’aria più gelida; in questo periodo la natura cessa di vegetare e allo stesso modo animali e uomini rallentano i propri istinti produttivi.  Gli antichi popoli, ogni 31 gennaio, a metà inverno, accendevano enormi fuochi che venivano alimentati fino al giorno delle Ceneri, sacrificando maiali o cinghiali alla dea Terra per tenere caldo il suo cuore e poter conservare i semi utili ai raccolti.  La brace del fuoco veniva portata nelle case per riscaldare e purificare l’abitato, mentre le ceneri venivano sparse nei campi in auspicio del buon raccolto. Si consumava la carne dei suini fino al giorno precedente alle Ceneri e negli ultimi tre giorni si pronunciava il detto: “vale mangiare carne” da cui si coniò la ricorrenza del “Carnevale”.  Successivamente in onore alla dea Cerere, per 40 giorni, si procedeva a purificare l’anima con digiuni e si pregava affinché gli armenti proliferassero e i raccolti riempissero i magazzini. I fuochi che si accendevano dal 31 gennaio furono anticipati al giorno della morte dei martiri sopra citati: S. Antonio Abate, (da non confondere con S. Antonio di Padova), nato nel centro dell’Egitto da nobile famiglia, rimasto orfano non ancora ventenne, si privò di tutti i suoi averi che distribuì metà a chi avrebbe preso cura della sorella e l’altra metà ai poveri; quindi si allontanò da tutti rifugiandosi presso una tomba abbandonata, scavata nella roccia.  La leggenda narra che S. Antonio Abate un giorno salvò un porcellino da bestie feroci ed esso per riconoscenza lo seguì dappertutto come fosse un cane. In una giornata fredda d’inverno aiutò il Santo ad entrare nell’Inferno che con un bastone a forma di “T” prelevò un tizzone di brace per riscaldare la terra. Il diavolo si vendicò per l’oltraggio ricevuto lanciando un coltello che ammazzò il maialino mentre al Santo nascose un carbone ardente sotto il letto provocandogli dolori atroci alla pelle da cui il nome “fuoco di S. Antonio”.  S. Antonio Abate nonostante i sacrifici, le mortificazioni e le malattie visse per 105 anni e morì il 17 gennaio del 356 d.C., divenendo famoso in Oriente e in tutta Europa e fu proclamato patrono degli animali domestici, dei salumieri, dei pittori, dei macellai, dei fornai e dei cavalieri. S. Antonio fu uno dei primi eremiti e molti altri giovani nobili seguirono il suo esempio accettando la mortificazione, la povertà, la preghiera per raggiungere la completa purificazione. S. Sebastiano, nobile milanese morto il 20 gennaio del 304 d. C., non morì dopo essere stato trafitto da tantissime frecce sul nudo petto e fu dunque decapitato e il corpo buttato in un precipizio. S. Ciro, nato in Egitto, medico, abbandonò la professione per dedicarsi ai poveri, insegnando loro la retta via e come evitare le tentazioni diaboliche; morì il 31 gennaio del 303 d.C.  S. Biagio, altro martire di origine armena, mentre veniva trasportato sul patibolo, guarì un ragazzo che stava soffocando per aver ingoiato una lisca di pesce; inoltre, con un miracolo, simulò le fiamme nella città di Fiuggi, destinata alla distruzione da parte dei Cajetani, famiglia nobile romana che chiese alleanza all’esercito papale, e che avrebbe attaccato e bruciato la città in due parti in modo da impadronirsi del feudo dei Colonna. Le finte fiamme sul paese indussero le truppe nemiche, pensando di essere state precedute dalle truppe alleate, a fare ritorno nei loro accampamenti. In onore di questi martiri alla data della loro morte venivano raccolti legna e ceppi, di porta in porta, per come per la questua, simbolo di mortificazione sia per chi la chiedeva sia per chi la donava. Il falò rappresentava simbolicamente l’elemento che distrugge il male per far rinascere il bene. Questi ricordi della mia fanciullesca mi fanno gustare e rivedere le strade, le corti e le scalinate del mio paese, luoghi che sono stati per me le palestre dove ho appreso le prime lezioni di vita.
I ragazzi oggi non conoscono queste tradizioni, raccontiamole: esse nobilitano le proprie origini, il nostro presente, i nostri luoghi, arricchendo la nostra cultura.  I promotori che mantengono vive le tradizioni sono dei veri benefattori.