La scomparsa di certe forme espressive è un fenomeno mondiale. Ma non si può sostenere che l’inglese e lo spagnolo siano le lingue-killer. In Italia Dalla Valle d’Aosta alla Puglia sono cinque le forme espressive autoctone minacciate di estinzione. Secondo l’Unesco, che ha presentato l’Atlante internazionale delle lingue in pericolo di estinzione ci sono cifre da far paura: dei 6 mila idiomi parlati nel mondo, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, almeno 2.500 potrebbero sparire per sempre. Nell’atlante la sezione dedicata all’Italia segnala cinque idiomi a rischio estinzione. Sono il Gardiol (340 parlanti), il Griko del Salento (20 mila parlanti) e il Griko della Calabria (2 mila parlanti), il Töitschu (tedesco) della Valle d’Aosta (200 parlanti) e il croato molisano (5 mila parlanti). Considerando i dialetti a basso rischio, l’atlante dell’Unesco fa una lista totale di 31 idiomi italici «in pericolo». Perché salvare una lingua che va scomparendo? Intanto perché è parte di una biodiversità che garantisce la ricchezza e la varietà delle culture umane. E poi perché ogni lingua, anche la più rara, è un esempio di una meraviglia, di più, di un miracolo dell’evoluzione che ha prodotto un insieme unico di parole, suoni e architettura grammaticale. Un insieme che è anche una visione del mondo originale, uno specchio delle metafore, del pensiero che una determinata popolazione utilizza per interpretare il mondo. Lasciarla svanire sarebbe un danno irreparabile: ogni lingua è un universo».
Sempre leggendo l’atlante, si scopre che 200 lingue si sono estinte nel corso delle ultime tre generazioni, 538 sono in una situazione «critica», 502 «seriamente in pericolo», 632 in «pericolo» e 607 «vulnerabili». Proseguendo con i dati dell’Unesco si vede che 199 lingue sono parlate al momento da meno di dieci persone.
Paolo Salom