Dopo la sentenza della Corte costituzionale, per i genitori è diventato molto più semplice attribuire il doppio cognome ai figli. Si tratta di un deciso passo in avanti per la parità di genere. Ma serve una legge per eliminare le incertezze procedurali.
I primi dati
Il primo giugno 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime le norme del codice civile che assegnano automaticamente il cognome paterno ai nuovi nati, stabilendo invece che i figli assumano i cognomi dei genitori, nell’ordine dagli stessi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire solo quello di uno di loro. Pur restando aperte varie questioni di carattere normativo, che la sentenza ha demandato al legislatore, è stato così compiuto un altro passo storico verso la parità di genere in Italia. Le madri non sono più “invisibili” nell’identità anagrafica dei figli.
A pochi mesi dalla sentenza, il quotidiano La Stampa ha pubblicato i primi dati relativi ad alcuni comuni italiani, prevalentemente del Nord. Una percentuale variabile tra il 5 e il 18 per cento dei nuovi nati ha ricevuto il cognome di entrambi i genitori. “Un flop”: così è stata definita questa prima verifica degli effetti della sentenza.
Ma veramente i dati rappresentano un insuccesso? Per secoli la trasmissione del cognome paterno è stata sancita dall’usanza e dalla legge. È quindi davvero difficile pensare che una norma così radicata – legale e sociale allo stesso tempo – possa cessare di avere effetti a poca distanza di tempo dalla sentenza.
Nelle scienze sociali, da Gabriel Tarde in poi, sappiamo che la diffusione di innovazioni di qualunque tipo richiede un certo periodo di tempo prima di propagarsi a tutta la popolazione (o quasi). Percentuali di doppi cognomi come quelle riportate da La Stampa sarebbero, da questo punto di vista, indicatori di un processo che si sta mettendo in moto rapidamente. Potrebbero segnalare che la volontà di trasmettere entrambi i cognomi dei genitori ai figli sia già molto presente nella popolazione, nonostante vari fattori, soprattutto culturali oltre che procedurali (ad esempio l’incertezza normativa sulla trasmissione del doppio cognome alle generazioni successive), possano ostacolarne ancora la manifestazione pratica.
Insomma, la parità di genere è forse più avanti di quanto non si pensi.
L’indagine
Per verificarlo abbiamo sondato le intenzioni della popolazione italiana con un’ampia rilevazione su circa 2250 casi. I dati, provenienti dall’indagine ResPOnsE Covid-19 e raccolti tra novembre e dicembre 2022, rivelano che circa la metà del campioneoggi sarebbe intenzionata a dare il doppio cognome (e i risultati non cambiano guardando ai soli soggetti in età riproduttiva).
Più precisamente, il 31 per cento sarebbe favorevole a dare il cognome di entrambi i genitori, senza alcuna preferenza per l’ordine. Un altro 15 per cento darebbe entrambi i cognomi ma vorrebbe che il proprio fosse il primo dei due, e un altro 7 per cento circa darebbe entrambi i cognomi anteponendo quello dell’altro genitore. Invece, all’incirca il 32 per cento del campione preferirebbe attribuire un solo cognome mentre il 16 per cento non ha una posizione precisa in merito.
La figura 1 mostra la distribuzione delle preferenze considerando separatamente le risposte di uomini e donne. Complessivamente, le donne sono leggermente più a favore del doppio cognome (senza distinguere tra le possibili varianti) rispetto agli uomini (54 per cento contro 50 per cento) mentre questi ultimi hanno una preferenza più alta per l’attribuzione del solo cognome paterno rispetto alle donne (32 per cento contro 24 per cento).
Inoltre, anche ammettendo la possibilità del doppio cognome, ben il 17 per cento degli uomini vorrebbe che il primo dei due fosse il proprio, e solo il 2 per cento metterebbe per primo il cognome della madre.
La distribuzione delle due opzioni è invece molto più equilibrata tra le donne, che nel 13 per cento dei casi metterebbe prima il cognome paterno e nell’11 per cento il proprio cognome.
Complessivamente, dunque, gli uomini sembrano leggermente più favorevoli a un mantenimento dello status quo. (lavoce)