MICROPLASTICHE, DAL MARE ALLE NOSTRE TAVOLE

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I ricercatori della California State University hanno pubblicato, sulla rivista Nature Communications, uno studio dedicato all’analisi di ciò che quotidianamente ingeriscono le balene. Le microplastiche ritrovate negli stomaci di questi cetacei, nel 99% dei casi, provengono da pesci di piccole e medie dimensioni, come sardine e acciughe, le stesse di cui anche l’essere umano si ciba

Se le balene mangiano le microplastiche, allora anche l’essere umano se ne nutre. È questa la conclusione facilmente deducibile da uno studio condotto dai ricercatori della California State University dedicato all’analisi di ciò che quotidianamente ingeriscono le balenottere azzurre e le megattere. La ricerca, recentemente pubblicata sulla rivista Nature Communications, offre una fotografia molto attendibile dell’inquinamento dei nostri mari. «I numeri relativi alla presenza di microplastiche nella acque marine sono impressionanti – commenta il professore Leonardo Durante, Ambassador Global Teacher Prize -. I nostri mari ed i nostri oceani sono letteralmente inzuppati dalla plastica, ingrediente che, nonostante la sua accertata tossicità, è entrato a far parte della catena alimentare».

Microplastiche: dallo stomaco delle balene alle nostre tavole

Ma qual è la strada che ogni minuscolo frammento di plastica fa per arrivare dalle acque alle nostre tavole? Questo interrogativo trova un’esaustiva risposta proprio nello studio californiano. Le microplastiche ritrovate negli stomaci delle balenottere azzurre non vengono direttamente ingerite come tali ma, nel 99% dei casi, si tratta di frammenti presenti in altri animali marini. I cetacei si nutrono di pesci di piccole e medie dimensioni che, a loro volta, mangiano questi piccolissimi frammenti di plastica. Si tratta di sardine, acciughe, tutte tipologie di pesci di cui anche l’essere umano si ciba di consueto.

Il metodo di ricerca

I ricercatori della California State University non si sono limitati ad accertare la presenza delle microplastiche nell’apparato digerente delle balenottere azzurre, ne hanno misurato i precisi quantitativi. «Per accertarlo – continua il professor Durante -, il team di ricerca ha posizionato dei dispositivi elettronici in grado di monitorare gli spostamenti su 191 cetacei tra balene blu e megattere che vivono al largo della costa della California. È stato osservato che le balene si nutrono principalmente a profondità comprese tra 50 e 250 metri che, purtroppo, coincidono anche con la zona acquatica dove è localizzata la più grande concentrazione di microplastiche».

Quante microplastica ingeriscono le balenottere azzurre?

I ricercatori hanno stimato le dimensioni e il numero di bocconi che le balene ingeriscono e filtrano ogni giorno ipotizzando, così, tre possibili scenari differenti. Da quello ritenuto più probabile emerge che le balenottere azzurre mangerebbero fino a 10 milioni di pezzi di microplastica al giorno. Il loro ciclo di alimentazione annuale va dai 90 ai 120 giorni. Calcolatrice alla mano, ne ingeriscono più di un miliardo di frammenti ogni anno. Per le megattere la stima è di circa quattro milioni di pezzi di microplastiche al giorno.

La ricerca continua

I risultati di questa ricerca sono solo un punto di partenza: «Stabilita la quantità di microplastiche ingerita da questi mammiferi marini, ora i ricercatori potranno concentrarsi sui danni che provocano alla salute. In letteratura scientifica, infatti, ad oggi, non c’è ancora alcuno studio che possa dimostrare la dannosità della plastica ingerita, sia dagli animali, che dagli uomini», dice Durante. Che le microplastiche siano dannose per gli esseri viventi è un dato di fatto. Di conseguenza, ciò che ora gli scienziati puntano ad individuare sono le quantità minime, necessarie a stabilire una precisa soglia di rischio.

Obiettivo plastic free

Anche se da questo preciso istante nessuno, in alcuna parte del mondo, gettasse rifiuti di plastica in mare dovremmo comunque attendere almeno mezzo secolo per eliminare tutti i frammenti già presenti nelle acque. Una bottiglia di plastica che finisce in mare vi rimarrà circa 450 anni prima di deteriorarsi, un sacchetto di plastica fino a 20 anni. «Per questo più che riciclare, considerando che la catena del riutilizzo incontra non di rado difficoltà logistiche, dovremmo puntare all’eliminazione della plastica – conclude l’esperto -, abituandoci a prediligere altri materiali meno dannosi per la salute dell’ambiente, degli animali e degli esseri umani». (sanitainformazione)