L’IMPORTANZA DEL DIALETTO

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Nell’epoca della globalizzazione, in cui Internet regna sovrano, dove le comunicazioni avvengono attraverso congegni elettronici che, da una parte sono il frutto di un progresso inevitabile, ma dall’altra ci tolgono il piacere di comunicare guardandoci negli occhi, parlare del dialetto può sembrare anacronistico.

Non è così: il dialetto fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l’inevitabile segno che ci fa dire che apparteniamo ad un certo luogo, ad un certo tempo e che ci identifica e ci colloca nel posto preciso della nostra storia personale.

Il dialetto rappresenta la nostra etichetta, le nostre radici, la nostra carta d’identità. Il dialetto inteso come lingua è il mezzo che identifica tutto: i soprannomi, i rioni, le località.Il dialetto dà nuova forma alle parole, riesce a rendere l’idea prima ancora di ridurla in termini precisi, a volte armonizza e a volte indurisce.

Il dialetto è l’espressione di un popolo, è come un abito fatto su misura, è come una spugna che assorbe fatti, episodi, luoghi, persone e che restituisce fatti, episodi, luoghi, persone con profilo e identità precisi, ma soprattutto con un’anima.

Amare il dialetto, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai nostri figli, significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l’eredità della nostra storia.

Un grande poeta scomparso di recente, Andrea Zanotto, a proposito del dialetto amava dire: “…il dialetto è qualcosa che serve per individuare indizi di nuove realtà che premono ad uscire…”.

L’importanza del dialetto, sta nel fatto che è vicinissimo alla vita quotidiana e verace della gente e rappresenta una diversità di radici storiche, di culture, di esperienze umane che non deve andare perduta.

E’ importante conoscere l’idioma nazionale come strumento di comunicazione, ma la diversità socio-culturale fra le diverse comunità italiane è una ricchezza che va mantenuta, difesa, valorizzata e divulgata.

E’ assodato che il dialetto possiede una forza espressiva e descrittiva genuina che scaturisce dal suo verismo; lo strumento che meglio esprime sentimenti, valori, culture, speranze, con cui ripercorrere i sentieri della memoria drasticamente inquinati dalla frenetica vita moderna.

Da nord al sud numerose, nella storia, sono stati i poeti e gli autori che hanno inteso esprimersi in vernacolo con ottimi risultati: dai napoletani Giulio Cesare Cortese e Giovan Battista Basile, al milanese Carlo Maria Maggi, nel Seicento, a Goldoni, a Porta, a Belli, e in tempi piú recenti, a Salvatore Di Giacomo, a Trilussa, a Eduardo De Filippo ad Andrea Camilleri, tanto per citarne qualcuno. Senza contare le numerose opere di scrittori locali, alcune di ottima fattura, relegate nell’ambito di sterili distribuzioni editoriali.

Occorre, pertanto, all’interno del più ampio disegno della letteratura nazionale recuperare questo patrimonio linguistico in vernacolo in tutta la sua ricchezza, varietà, bellezza e significato.

“Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Così scriveva Pier Paolo Pasolini.

Pasolini vedeva nel dialetto l’ultima sopravvivenza di ciò che ancora è puro e incontaminato. Come tale doveva e deve essere “protetto”. (fiscen)