L’IMPATTO DEL CLIMA SULLA PRODUZIONE ALIMENTARE COMPORTERA’ OLTRE 500MILA DECESSI

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L’impatto del cambiamento climatico sulla produzione alimentare potrebbe causare nel 2050 qualcosa come 529.000 decessi in più nel mondo, secondo uno studio di un’équipe dell’Università di Oxford pubblicato il 3 marzo nella rivista medica The Lancet. Numerosi lavori hanno mostrato che la deregolamentazione climatica -siccità, piogge sempre maggiori e irregolari, inondazioni, cicloni più frequenti…- minacciano la sicurezza alimentare, portando ad un calo dei rendimenti agricoli suscettibili di far aumentare il livello e la volatilità dei prezzi delle derrate, e di rendere ancor più difficile l’accesso dei più poveri all’alimentazione. Ma per la prima volta, uno studio valuta gli effetti del cambiamento climatico sull’equilibrio nutrizionale. La produzione agricola e l’offerta alimentare disponibile sono in effetti anche un impatto sulla composizione dei pasti. “Il nostro studio mostra che anche una lieve diminuzione dell’alimentazione disponibile per ogni persona, potrebbe portare a importanti modifiche nell’equilibrio dei regimi alimentari ed avere forti ripercussioni sulla salute delle persone”, sottolinea il dr Marco Springmann, che ha diretto l’équipe dei ricercatori.
Per cui, senza misure immediate di riduzione dei gas ad effetto serra, il cambiamento climatico potrebbe portare, in media, ad una diminuzione della disponibilità alimentare del 3,2% a persona, cioè 99 kilocalorie al giorno. Questo avrà la conseguenza di ridurre del 4% (14,9 grammi al giorno) il consumo di frutta e legumi, e dello 0,7% (05 g al giorno) quello di carne. Il calo del consumo di frutta e legumi, e quindi di vitamine, potrebbe da solo provocare 534.000 morti in più nel mondo nel 2050. Il numero di persone sottopeso, che rappresenta comunque un rischio maggiore di decessi, crescerebbe sensibilmente. Queste situazioni di carenza di vitamine e minerali causeranno 266.000 morti in più nel 2050.

Inoltre, “il cambiamento climatico avrà qualche effetto positivo”, sottolineano i ricercatori. Riducendo i rischi di cancro e di malattie cardiovascolari, il minor consumo di carne si rileverà benefico per la salute e potrebbe permettere di evitare qualcosa come 225.000 morti. L’ampiezza di questi effetti del cambiamento climatico varierà sensibilmente in base alle regioni. I Paesi a basso reddito e salari medi, saranno moto probabilmente i più colpiti, in particolare quelli del Pacifico occidentale e dell’Asia del sud-est, regioni particolarmente vulnerabili alle deregolamentazioni climatiche. Nel 2050, l’India e la Cina potrebbero, da sole, registrare circa i tre quarti dei decessi supplementari legati ai cambiamenti climatici, rispettivamente di 136.000 e 248.000 mila morti in più. In alcune parti del Pacifico occidentale, pertanto, secondo lo studio, il numero di decessi di fatto evitati grazie alla diminuzione dell’obesità, potrebbe essere superiore al numero di morti provocati dal sottopeso. “Pensare che la frequenza dell’obesità diminuirà nei Paesi del Pacifico perchè le persone mangeranno meno, è un po’ azzardato”, rileva tuttavia il professor Arnaud Basdevant della Pitié-Salpetrière. “L’obesità non è un problema di sovralimentazione, sottolinea questo specialista della nutrizione. Essa riguarda singolarmente le popolazioni che avendo conosciuto la denutrizione, entrano in un periodo più rapido di transizione economica. Accade anche che in uno stesso Paese, coesistendo persone obese e persone denutrite, occorre aggiungere che alcuni elementi inquinanti possano favorire la perdita di peso indipendentemente dagli apporti calorici”. E aggiunge: “Sarebbe prematuro tirare da questo studio delle conclusioni pragmatiche immediate in termini di salute pubblica. Questi dati sui rischi comportano molta incertezza, come lo sottolineano onestamente e fortemente gli stessi autori. L’interesse maggiore di questo studio è soprattutto di suscitare la riflessione sull’impatto delle deregolamentazioni climatiche sulla salute: in quale misura le evoluzioni della produzione agricola compromettono o migliorano il consumo alimentare e quindi la salute”. (articolo di Laetitia Van Eeckhout, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 03/03/2016)

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