LA POTENZA DELLA DELICATEZZA CONTRO LA VIOLENZA

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Un metodo, uno stile di vita, più che un sentimento. La delicatezza nel discorso pubblico, in opposizione alla menzogna

Nel tempo della violenza, fisica e verbale, dell’insulto a buon mercato, dal vivo e via social, ha ancora senso parlare della delicatezza? Siamo sempre più condannati a un agire che tende a calpestare l’altro, a imporsi con prove muscolari e non con la splendida energia della persuasione?

La delicatezza ha sempre avuto una posizione rilevante nel pensiero filosofico, dall’antica Grecia, e nella letteratura, a partire dai grandi classici. Ma non solo e non tanto come sentimento, come agire, quanto come metodo, stile di vita per approcciarsi agli altri in modo aperto, empatico. Una persona delicata non è soltanto educata, conosce le buone maniere, sa stare al mondo, ma è innanzitutto capace di intessere quella trama molto sottile, un ricamo, che avvicina gli uomini. In tempi in cui sembriamo destinati ad allontanarci.

Se la delicatezza è un metodo, la leggerezza ne è la più compiuta espressione. Ed entrambe, delicatezza e leggerezza, portano lungo la strada dell’ascolto, di quella capacità di non essere autoreferenziali e narcisisti, e di puntura alla concordia, più che allo scontro, con le persone. Specie con chi la pensa diversamente da noi. Immaginate una sorta di detersivo naturale. La delicatezza pulisce, attraverso un atteggiamento spontaneo e non affettato, le scorie che abbiamo addosso e che possono condizionare il modo con il quale ci rapportiamo agli altri. Chi è delicato guarda la vita e il mondo con la mente aperta e gli occhi spalancati. Pronto a meravigliarsi.

Si parla di “delicatezza d’animo” a proposito di quelle persone che mostrano una particolare sensibilità, e sono capaci più di altri di affrontare con il tocco di una piuma anche le curve del conflitto. Non credo che la delicatezza, per quanto ho detto finora, possa essere circoscritta alla sfera dell’anima. Mette in gioco anche la nostra testa, il modo di pensare e di agire, una razionalità ispirata all’idea della buona convivenza, della voglia di stare dentro una comunità e non chiusi in se stessi. E mette in gioco persino il corpo. Le persone delicate non hanno bisogno, per imporsi, di alzare le mani, non le agitano neanche quando parlano. Non esibiscono muscoli, ma hanno un tatto, un agire attraverso il corpo che le rende riconoscibili al primo impatto.

Il professore Michele Dantini ha scritto un libro molto bello (Sulla delicatezza, edizioni Il Mulino) per collocare la delicatezza all’interno del discorso pubblico, in opposizione a menzogna e sopraffazione. E anche lui parte da lontano, da Platone che raccomandava ai guardiani della città la combinazione tra «mitezza e intrepida vigilanza», dando così alla delicatezza anche un posto in primo piano nel lessico del civismo. Avete presente, anche sul piano dell’estetica, il linguaggio dei talk show e dei social? Il modo con il quale il dibattito pubblico procede per semplificazioni e insulti? Ecco: la delicatezza è un antidoto a tutto ciò, una disciplina del pensiero che non comprende l’incompetenza e la prevaricazione. Tenendo presente che quanto più si è incompetenti, tanto più si tende a prevaricare, per nascondere il vuoto delle proprie fragilità. (nonsprecare)