LA MANOVRA RASSICURA MA NON BASTA PER CRESCERE

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Via gli aumenti Iva, giù (poco) il cuneo fiscale e più spesa pubblica futura. Come negli altri paesi dell’eurozona il governo italiano ha predisposto il suo Documento programmatico di bilancio per il 2020. È il documento ufficiale firmato dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri in cui sono indicate – oltre al quadro complessivo dell’andamento dell’economia e della finanza pubblica – le entrate e le spese aggiuntive delle pubbliche amministrazioni (stato ed enti locali) rispetto alla legislazione esistente.

In sintesi, l’esecutivo giallorosso ha preparato una manovra che modifica la legislazione esistente immettendo nell’economia risorse per 30 miliardi (1,65 punti di Pil) nel 2020 e cifre un po’ inferiori nel 2021 e 2022.Il grosso della manovra (lorda) è rappresentato dalla cosiddetta disattivazione delle clausole di salvaguardia, cioè l’annullamento dell’aumento dell’Iva e delle accise previste dal primo gennaio 2020 dal precedente governo. A questo scopo sono destinati 23,1 miliardi, 1,27 punti di Pil, il 77 per cento del totale delle risorse previste. Come detto più volte, non è proprio denaro fresco, è solo un pericolo scampato di recessione autoinflitta. La manovra predispone anche una sterilizzazione parziale, ma non totale, degli aumenti Iva previsti per il 2021 e il 2022. Vuol dire che l’anno prossimo saremo da capo con nuovi aumenti di imposte indirette da evitare.

Tolte quelle necessarie per evitare l’aumento dell’Iva, le altre risorse immesse nell’economia sono 6,9 miliardi. Di questi, 3,2 miliardi servono a ridurre il cuneo fiscale (3 miliardi sul 2020, operativo dal primo luglio 2020, poi su a 5 miliardi dal 2021) e il super-ticket sanitario (0,2 miliardi nel 2020, a salire a 0,5 negli anni successivi). Gli altri 3,7 miliardi vanno in maggiori spese: 0,9 miliardi sono destinati a rinnovare politiche esistenti (operazione “strade sicure”, emergenza sisma, rinnovo contratti pubblica amministrazione) con finanziamenti in scadenza. Poi ci sono 0,6 miliardi per assegni a supporto della natalità e contributi agli asili nido e 0,7 per un’ulteriore spinta agli investimenti infrastrutturali (infrastrutture “fisiche, energetiche e sociali”, compreso un piano periferie). Tutte queste voci cresceranno nel 2021 e 2022. Le maggiori uscite salgono a 13,8 miliardi nel 2022.

Coperture a metà, poca spending review e nuove detrazioni. Le coperture previste (minori spese e maggiori entrate) per finanziare la manovra ammontano a 12,6 miliardi (cioè 0,75 punti di Pil), il 42 per cento del totale delle risorse che dovrebbero essere reperite per non aumentare il deficit. D’altronde, aumentare un po’ il deficit è dopo tutto uno degli obiettivi del governo che – senza sforare troppo rispetto ai vincoli europei – vuole dare una spinta all’economia. La tabella dice che la spinta – il maggior deficit – è di 16,3 miliardi, cioè lo 0,9 per cento del Pil e che le coperture vengono per 10,9 miliardi da maggiori entrate (soprattutto dalla lotta all’evasione fiscale, la ragione d’essere del governo giallorosso secondo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte) e solo per 2,7 miliardi da minori spese. A subire tagli di bilancio saranno i ministeri centrali, mentre tra le voci di minore spesa c’è anche una (limitata) rimodulazione delle detrazioni e deduzioni, soprattutto quelle che oggi incoraggiano i “mali”, cioè sussidi inquinanti e per carburanti inquinanti. Al netto delle altre misure che vanno sotto l’accattivante denominazione di green new deal, il risultato della manovra sarà molto probabilmente quello di infittire ancora di più la giungla delle detrazioni e deduzioni, anziché produrre lo sfoltimento di cui, invariabilmente, si parla nelle settimane precedenti ogni manovra. Il problema è semplice: la riduzione di detrazioni e deduzioni è contabilizzata come calo di spesa ma nella maggior parte dei casi (per esempio: detrazioni per i mutui o per le spese sanitarie) sarebbe percepita dai destinatari come un aumento di tasse. E così il giorno buono per tagliarle non è mai oggi ma domani.

Una manovra per rassicurare, che rinvia la crescita a un futuro da definire. Forse c’è poco da fare. Dopo un lungo periodo di crisi, tre anni di ripresa graduale e l’ultimo di stagnazione, la società e l’economia italiana chiedono di essere protette più che di guardare al futuro. E così la manovra del governo Pd-M5s-Leu sceglie di sforare un po’ sul deficit (in modo meno chiassoso e sgraziato che nel recente passato) per evitare il suicidio dell’Iva e per rassicurare con trasferimenti di reddito le categorie più deboli, mentre il rilancio della crescita è rinviato sostanzialmente a domani, quando diventeranno operativi – dopo l’approvazione di tanti decreti attuativi – ambiziosi piani di investimento infrastrutturale, ambientale e sociale, magari nella speranza che questa strategia riceva uno sguardo benigno dalla nuova Commissione che sembra voler fare più o meno le stesse cose. Ma se prima o poi si vorranno anche ridurre le aliquote Irpef a chi guadagna meno di 30 mila euro, la “riduzione della spesa pubblica” – espressione che oggi pudicamente si evita anche solo di pronunciare in favore di termini più neutri come rimodulazione o revisione – dovrà ritornare a far parte del vocabolario della politica. (lavoce)

Francesco Daveri