La lunga notte elettorale comincia alle 23 del 4 marzo 2018. Per qualcuno, visti i primi dati, sarà una notte destinata a durare molto a lungo. Ma forse l’ambiente proporzionale manca da troppo tempo nel nostro paese e fatichiamo tutti a ricordarci che arrivare primi non significa necessariamente vincere le elezioni né, tantomeno, ottenere un incarico di governo. A maggior ragione quando non si conosce (ancora) come i voti sono distribuiti nei collegi uninominali e quale sarà il loro effetto sui seggi in Parlamento. Saranno infatti i seggi in Parlamento a determinare le sorti della XVIII legislatura, in particolare i risultati di quei partiti che viaggiano intorno alle soglie dell’1 e del 3 per cento.
Cosa possiamo davvero dire allora, a metà della notte elettorale, quando lo scrutinio è ancora in corso, ma le tendenze sembrano delinearsi? La nuova legge elettorale è costruita su un impianto fortemente proporzionalista. Tuttavia, la correzione maggioritaria non permette di trarre definitive conclusioni osservando il valore delle quote proporzionali. Se queste quindi non sono molto indicative dei seggi, lo sono però dei sentimenti del paese, e chiunque governi – per non parlare del Presidente della Repubblica – dovrà tenerne conto. Le proiezioni più aggiornate – intorno alle 3.15 del 5 marzo – consegnano un paese che ha voluto premiare il Movimento 5 stelle (oltre il 30 per cento), punire il Partito democratico (meno del 20 per cento) e i suoi alleati di governo (Beatrice Lorenzin, meno dell’1 per cento; Emma Bonino, meno del 3 per cento) e che ha faticato a riaffidarsi al centrodestra (circa 35 per cento la coalizione di quattro partiti, poco più dei voti del solo M5S), consegnandone di fatto la leadership alla Lega di Matteo Salvini, che supera Forza Italia, vince la scommessa accreditandosi come partito nazionale e raccoglie un consenso clamoroso almeno quanto quello del Movimento 5 Stelle. Ancora una volta, la sinistra che decide di correre da sola raccoglie briciole elettorali (Liberi e Uguali, circa 3 per cento) e contribuisce solamente a indebolire la sinistra di governo.
Le cosiddette forze antisistema raccolgono circa il 50 per cento dei voti, anche se immaginare una coalizione M5s e Lega (con o senza Fratelli d’Italia) resta comunque molto difficile, soprattutto osservando le virate europeiste e pragmatiche del Movimento negli ultimi giorni di campagna elettorale. Di fatto, però, il 50 per cento degli elettori rifiuta non solo i protagonisti, ma anche i metodi di una fase politica che potrebbe essersi conclusa con queste elezioni. Inutile pensare che il risultato sia frutto dell’ignoranza degli elettori (siamo sinceri, buona parte dell’altro 50 per cento lo pensa eccome): le ragioni di Lega e 5 Stelle sono i torti dei partiti tradizionali e di governo. Certo, in un contesto economico tutto sommato positivo e in miglioramento, appare molto difficile individuarli. Devono quindi essere ricercati non nei dati economici, ma nei comportamenti e nei riti. Tuttavia, se la Lega sembra continuare a raccogliere voti come forza di protesta, il risultato dei 5 stelle deve necessariamente trovare una motivazione diversa: forse nella volontà degli elettori di chiudere non solo con una certa classe politica, ma anche con il proprio passato – gli elettori M5s sono stati elettori di qualcun altro, prima – e di provare l’ennesima novità salvifica, dopo Silvio Berlusconi e Matteo Renzi.
Possibili conseguenze. Primo partito e primo gruppo parlamentare sarà dunque il Movimento 5 stelle. Un enorme e storico successo elettorale che certo crea ottime opportunità e grandi rischi per lo stesso Movimento. Saprà capitalizzare il risultato diventando partito di governo? Ma chi vorrà mai fare da stampella a un governo a egemonia 5 stelle? Il secondo partito italiano (Pd), quasi doppiato dal primo, vorrà probabilmente ritagliarsi almeno un ruolo di leadership all’opposizione, accreditandosi come migliore alternativa alle prossime elezioni. Gli altri partiti sembrano o troppo distanti (Berlusconi) o, al contrario, troppo complementari per immolarsi alla causa pentastellata. Ma se sarà impossibile per i 5 stelle trovare alleati di governo, chi al contrario sarà mai disposto a lasciare a una forza del genere il dominio dell’opposizione? Dal 2013 il Movimento ha aumentato la propria quota di voti di circa il 50 per cento: restando all’opposizione potrà marciare comodamente verso il 40 per cento e oltre. Non è quindi da escludere un governo 5 stelle di minoranza.
Certo, il conteggio di seggi potrebbe alla fine premiare il centrodestra: in questo caso, invertendo le parti rispetto alla passata legislatura, potrebbe essere proprio una parte del Partito democratico a fornire i seggi mancanti per formare una maggioranza di governo. Ma se si confermasse la leadership leghista, anche questa eventualità diventerebbe davvero poco probabile.(fotoweb)
Paolo Balduzzi