LA GUERRA SPIEGATA A MIA FIGLIA

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Dobbiamo parlare della guerra ai nostri bambini? Mentre immagini di devastazione e dolore continuano ad entrare nelle nostre case, chi ha dei figli continua a porsi, più o meno quotidianamente, questa domanda. «La risposta è sì, bisogna parlarne – dice lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo) -. Alle domande va sempre data una risposta, soprattutto se a formularle sono i più piccoli. I nostri figli, se lasciati soli con i propri interrogativi, potrebbero essere sopraffatti da ansie e paure, creando fantasie ancora peggiori della realtà».

Arrabbiati e senza futuro. «Rabbia, incapacità di immaginare un futuro, atti di autolesionismo e auto-isolamento continuano ad aumentare tra bambini ed adolescenti», dice Lavenia citando il sondaggio “La salute mentale dei ragazzi tra pandemia e guerra”, l’ultimo condotto dall’Associazione Nazionale Di.Te., in collaborazione con il portale Skuola.net, su un campione di 4.935 giovani di età compresa tra gli 8 e i 19 anni. «Il 68% degli intervistati si è dichiarato estremamente preoccupato per la guerra in Ucraina – aggiunge lo specialista – e oltre 8 su 10 hanno affermato che il conflitto in corso sta influenzando negativamente il suo umore».

Parliamo della guerra: ecco da dove cominciare. Se è vero che “chi ben comincia è già a metà dell’opera”, allora anche quando decideremo di parlare della guerra ai nostri bambini sarà bene farlo iniziando da un buon punto di partenza, che abbia basi solide e, soprattutto che sia di facile comprensione. «Per parlare di guerra non c’è modo migliore che cominciare spiegando cos’è la pace e quanto sia profondo il suo valore – suggerisce lo psicoterapeuta -. Soffermandoci soprattutto sul modo in cui questa pace può essere ottenuta, ovvero attraverso il dialogo».

Il linguaggio. Non meno importante dei concetti spiegati è il linguaggio che si utilizza per farlo: «Deve essere appropriato all’età del bambino a cui ci stiamo rivolgendo – dice Lavenia -. Le parole che utilizziamo potranno essere supportare anche da immagini, ma prima di sottoporle ai nostri bambini sarà necessario fare un’attenta selezione di quelle più appropriate. Per spiegare cos’è la guerra non dovrò necessariamente utilizzare una foto che rappresenti il conflitto vero e proprio o le sue devastanti conseguenze. Anche delle immagini simboliche possono essere adeguate allo scopo, così come la ricerca di similitudini verbali può arricchire le nostre argomentazioni».

Le similitudini. Facciamo un esempio concreto. «Ad un bambino, ancora troppo piccolo per avere una cognizione reale di cosa sia la guerra, possiamo spiegare il concetto di conflitto bellico paragonandolo a ciò che può innescarsi tra due persone che vogliono la stessa cosa – commenta lo psicoterapeuta -. Due amici o due fratelli che desiderano lo stesso gioco, se non sono disposti al dialogo, potranno contenderselo all’infinito, senza mai trovare un accordo. Riusciranno a giungere ad un’intesa, e quindi a far la pace, solo quando saranno disposti a mediare o quando interverrà una terza persona (magari un adulto dotato di maggiore esperienza) che medierà per loro».

Il valore della verità. La verità non va nascosta ma, allo stesso tempo, non è necessario citarne ogni dettaglio: «Quelli più “scomodi” sarà meglio tralasciarli per evitare che chi li ascolta se ne possa sentire sopraffatto. Lo scopo di chi spiega la guerra ad un bambino è che alla fine della conversazione il piccolo possa sentirsi al sicuro con mamma e papà», spiega Lavenia.

Ma perché spiegare un concetto che, per quanto esposto utilizzando le parole più accorte, è pur sempre un argomento doloroso? «Perché un bambino, anche accidentalmente – risponde lo psicoterapeuta – potrà ascoltare qualcuno che parla della guerra o trovarsi di fronte a delle immagini che la rappresentano. E se dovesse avere la sensazione che qualcuno gli abbia mentito sull’argomento, potrebbe perdere la fiducia nei confronti di importanti figure di riferimento».

Ma attenzione: questo non significa poter esporre liberamente i nostri bambini alla visione di telegiornali o di trasmissioni televisive in cui si parla della guerra. «Aver dato loro delle risposte, degli strumenti per comprendere il concetto di guerra – conclude l’esperto – non vuol dire che i loro occhi siano pronti a guardarla». (sanitàinformazioni)