LA CRIMINALITA’ A SAN NICANDRO ALL’INIZIO DEL ‘900

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1915

Un altro tassello che ci lascia Silvio Petrucci nel suo “San Nicandro Alba Novecento” e che riguarda la criminalità della nostra cittadina agli inizi del ‘900.

La criminalità a San Nicandro non aveva mai assunto aspetti preoccupanti. I reati più comuni erano ferimenti in rissa e piccoli furti in campagna di frutta, olive, legna; ma delitti veri e propri erano rari. (Dovevano passare trent’anni perchè si registrasse un matricidio per futili motivi. L’orrendo delitto fu consumato in Terravecchia e lo annunciò una donna che, affacciandosi sotto l’arco verso l’abitato sottostante, quasi da palcoscenico, lanciò teatralmente un lacerante grido: “Lu figghu di Sassano ha accisa la mamma”.

C’era però una piaga di vaste proporzioni che infestava le selvagge zone montane adatte all’allevamento del bestiame e che terrorizzava proprietari e mandriani; era l’abigeato, triste retaggio di un fenomeno che aveva sinistramente prosperato subito dopo la caduta dei Borboni.

Ai miei tempi, comunque, il brigantaggio viveva solo nei ricordi e nei racconti coloriti dei vecchi. Scovai un superstite di quella oscura epoca in una casa con “vagghio” al Giro Esterno. Quasi centenario, l’ex brigante era semiparalizzato e dalla memoria labile: ad ogni domanda rispondeva: “Altri tempi!”. Mi fi narrato che, una notte, un uomo e una donna avevano bussato alla porta della levatrice, sollecitandone l’opera: la levatrice li aveva seguiti, ma non si era più vista: si disse che era stata fatta a pezzi dai banditi perché tali erano le due persone venute a chiamarla, tal Trimbetta, tal Bellasanti la donna. Mi raccontarono anche che un tentativo d’irruzione una massa di briganti era stato respinto proprio presso le prime case.

Quando già il brigantaggio, dopo due anni di lotta senza quartiere parve sbaragliato, ci furono ancora dei casi sporadici, come quello riguardante l’ing. Sereno Milesi, ispettore del Genio Civile, ricordato dal Vocino. Nel gennaio 1862 il Milesi ebbe l’incarico di compilare un progetto generale di strade garganiche. Alla salita d’Ingarano la sua carrozza fu fermata da alcuni malviventi i quali chiedevano a lui e ai suoi compagni di viaggio, a mano armata, quanto avevano di moneta e di gioielli e, ciò ottenuto, concessero loro libero il passaggio, rilasciando un salvacondotto. Giunto a San Nicandro, il Milesi, timoroso del pericolo che avrebbe corso coi suoi impiegati, fece pratiche per rimandare la sua missione. Ma, non riuscitovi, animato dal senso del proprio dovere, riprese i lavori che continuarono indisturbati per circa un mese e mezzo. Il 19 aprile, sabato santo, il Milesi e i suoi erano intenti ai loro rilievi a circa 9 miglia da Cagnano, furono sorpresi da una piccola banda di briganti, i quali, proclamandosi soldati di Francesco II, dissero di considerarli nemici perché mandati da Vittorio Emanuele e, pertanto, li avrebbero fucilati. Invano fu esibito il salvacondotto. Rimasto illesi alla prima scarica di fucili, per una misteriosa resipiscenza del capobrigante, il Milesi ebbe salva la vita ma fu costretto, coi suoi, a spogliarsi completamente dei vestiti.

Quando ero ragazzo ci furono due soli episodi di superstite brigantaggio che mi rimasero molto impressi. Il primo è quello del fallito agguato sull’Ingarano a Giovanni Guerrieri. Il secondo riguarda Don Vincenzo Zaccagnino che un pomeriggio si era recato, seguendo la via del Gargani, nel suo bel casino di campagna dominante quella zona di S.Maria del Monte. La carrozza di Don Vincenzo era un elegante landau scoperto, tirato da una superba pariglia e guidato da un cocchiere bravissimo – Menichillo – che era solito sedere in serpa. Sulla via del ritorno, improvvisamente sbucarono improvvisamente da dietro una “macera” due malandrini mascherati che intimarono l’art con fucili spianati. Ma Menichillo, con sorprendente prontezza, lanciò i cavalli a un galoppo sfrenato e fece arretrare i due malandrini colti di sorpresa. Per oltre un chilometro i cavalli volarono e Minichillo rientrò in paese e poi nell’adrone del palazzo con aria trionfante.

Ma se il brigantaggio si estinse del tutto, lo stesso non si può dire dell’abigeato che sopravvisse portando alla devastazione di vistosi patrimoni di bestiame e che ebbero una recrudescenza durante la prima guerra mondiale e negli anni successivi fin quando furono impiegate intere unità dell’esercito e della polizia in operazioni di rastrellamento a vasto raggio.