Un nuovo governo M5s-Pd ha due strade in fatto di immigrazione: può presentare in Parlamento un’ampia riforma su migranti economici e cittadinanza. O può limitarsi ad adottare misure amministrative. Con risultati positivi in entrambi i casi.
Due strade per il possibile nuovo governo. Sul tema immigrazione, il possibile governo Movimento 5 stelle – Partito democratico ha due possibilità: sfidare il “salvinismo” in Parlamento con una riforma legislativa che mostri agli italiani come il benessere degli stranieri nel nostro paese e quello dei cittadini non siano tra loro alternativi; o limitarsi, più modestamente, ad adottare misure di carattere amministrativo che non mettano a repentaglio la sopravvivenza della maggioranza chiamata a sostenerlo.
Nel primo caso, oltre all’abrogazione di tutte le norme restrittive introdotte con i decreti sicurezza varati dal precedente esecutivo, gli elementi qualificanti di una riforma dovrebbero riguardare l’immigrazione economica e l’accesso alla cittadinanza.
Sulla prima questione, il modello non dovrebbe discostarsi troppo da quello vigente per l’immigrazione comunitaria: dovrebbe quindi essere consentita la possibilità di ingresso per cercare lavoro, sia pure entro quote fissate dal governo e previo deposito, da parte dello straniero, di una cauzione che incentivi il mantenimento di condizioni di soggiorno legale. Entro le stesse quote, il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro dovrebbe essere consentito anche a stranieri legalmente presenti ad altro titolo (in particolare, per turismo). La richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno dovrebbe poi trovare accoglimento automatico quando non risultino, in capo all’immigrato, situazioni di pericolosità né di abnorme ricorso all’assistenza pubblica.
Quanto alla cittadinanza, dovrebbe essere sancito lo ius culturae: il diritto, cioè, di acquistarla per lo straniero, anche minorenne, che in Italia completi un ciclo scolastico o consegua un titolo di istruzione universitaria. Nei casi, poi, di naturalizzazione o di acquisto della cittadinanza per matrimonio dovrebbero rilevare gli anni di soggiorno legale, invece che di residenza legale, e dovrebbero essere drasticamente ridotti i tempi previsti per il procedimento, provvedendo, a questo fine, a un adeguato collegamento tra le banche dati delle diverse amministrazioni.
Le misure amministrative. Nel secondo caso, con le sole misure amministrative, possono essere ottenuti risultati di minore portata, ma non trascurabili. A correzione dello scempio del diritto d’asilo fatto dai decreti sicurezza (in particolare, con le sanzioni che ostacolano i soccorsi in mare e con l’abolizione della protezione umanitaria), il governo dovrebbe ricordare a sé e all’amministrazione che non è punibile chi violi i divieti di ingresso nei porti italiani, quando questo sia richiesto da cause di forza maggiore (tra queste, il rispetto dei trattati internazionali). Dovrebbe inoltre richiamare il fatto che l’articolo 10 della Costituzione sancisce il diritto d’asilo sulla base di presupposti di portata assai più ampia di quanto non faccia la normativa dell’Unione europea: quando risulti, anche senza un riconoscimento giudiziale, che tali presupposti ricorrono, il combinato disposto di articolo 5 del decreto legislativo 286/1998 e dell’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 394/1999 impongono il rilascio di un permesso di soggiorno per asilo.
Sul fronte dell’immigrazione economica, il governo dovrebbe riprendere una politica di programmazione dei flussi per lavoro, lasciando che i datori di lavoro presentino domande di nulla-osta all’ingresso di lavoratori stranieri in qualunque data, e tenendo conto dello stock di domande giacenti nel momento in cui si deve adottare il decreto flussi. Si svuoterebbe così il bacino di “irregolarità di fatto inserita”, senza bisogno di un voto parlamentare.
La capacità di attrazione d’immigrazione qualificata potrebbe essere incrementata dando finalmente attuazione alla norma di legge che assegna al permesso per studio una durata pari a quella dell’intero corso e fissando ogni anno quote sufficientemente ampie per la conversione del permesso per studio in permesso per lavoro allo scopo di favorire l’inserimento lavorativo di stranieri che abbiano conseguito in Italia laurea o dottorato.
Il semplice astenersi da un intervento legislativo potrebbe migliorare la condizione dei cittadini stranieri sotto il profilo del rapporto con la pubblica amministrazione: bisognerebbe lasciar trascorrere il termine del 31 dicembre 2019 senza imporre ulteriori rinvii all’entrata in vigore della sostanziale parificazione tra straniero e italiano ai fini dell’autocertificazione.
Quanto alla cittadinanza, sarebbe opportuno escludere il requisito di reddito minimo dal novero di quelli richiesti per la naturalizzazione: chi mette al primo posto il sostegno al reddito degli italiani poveri non può, allo stesso tempo, considerare la scarsezza di mezzi come un fattore di esclusione dall’accesso alla cittadinanza.
Per quanto riguarda invece la seconda generazione, soprattutto quella giunta in Italia in età non tenerissima e catapultata nel percorso scolastico senza una previa maturazione di competenze linguistiche, il governo dovrebbe utilizzare ogni possibile incentivo per premiare gli insegnanti nelle cui classi si registrano i più marcati miglioramenti relativi ai risultati degli alunni stranieri (o, comunque, in situazione di fragilità sociale) e i dirigenti che istituiscono adeguate forme di tempo prolungato per questi studenti. (lavoce)
Sergio Briguglio