IL VELENO DELLA MALDICENZA E LA SUA POTENZA DISTRUTTIVA

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Con la viralità del web, la più bugiarda delle parole può fare danni enormi. Per scansare la tentazione della maldicenza c’è un metodo insegnato da Socrate

Fu nel Medioevo, spesso ingiustamente indicato come un periodo oscurantista, che la maldicenza trovò posto nel catalogo dei peccati con la lingua. Un peccato grave, alla pari della menzogna, dello spergiuro e della bestemmia. E un importante passo avanti in termini di paradigmi morali, in quanto sia nella cultura greca sia nella cultura latina pre-cristiana, la maldicenza era considerata poco più che un gioco. E ispirava molti lavori teatrali.

Senza entrare nelle curve della religione, oggi la maldicenza ha fatto un enorme salto di qualità. Non è più il venticello che soffia, secondo la splendida metafora di Eduardo De Filippo, fino a distruggere la reputazione di una persona, ma è un uragano che può partire sul web dalla più stupida delle bufale.

Inutile dire che la maldicenza, in molti casi, appartiene agli stili di vita delle persone. Segnala la nostra invidia, l’incapacità di pensare in modo positivo, il rancore che sedimentiamo per qualsiasi motivo, una cronica indifferenza a ciò che pensano gli altri ed a quali può causare solo una parola sbagliata, un atteggiamento giudicante e moralista. Enzo Biagi, quando mi insegnava il mestiere, mi ripeteva spesso: «Ricorda che le parole sono pietre, e quando vengono stampate diventano macigni». Aveva ragione. Conosco bene la sofferenza delle persone colpite dalla maldicenza, da un’ingiustizia virale che dal perimetro delle parole si sposta fino all’identità della persona, con l’unico scopo di demolirla.

La maldicenza ha una forza auto-propulsiva che ne amplifica, in modo automatico, la portata. Io parlo male di una persona, magari amplificandone, senza fondamento, un possibile difetto; chi ascolta, a sua volta, amplia la dose di veleno e riferisce a sua volta, e così via, senza che questa catena della cattiveria si possa fermare. Chi pratica la maldicenza come stile di vita, come modo di rapportarsi con gli altri, generalmente è una persona fragile, frustata, povera di pensiero autonomo e di qualità umana. Ha bisogno di mescere il suo veleno.

Parlare male, commettere i peccati con la lingua, velenosa e cinica, è diventata un’abitudine, in diversi ambienti. Nonostante che decine di studi scientifici (per esempio una ricerca della Wake Forest University) dimostrino come pensare bene degli altri, predisporsi nei loro confronti in modo positivo, aiuti decisamente a vivere meglio. Al contrario, l’uso continuo della maldicenza, della parolina in più, ci distanzia e ci isola dagli altri.

La maldicenza, una tentazione che può sedurre chiunque, non va confusa mai con la leggerezza del racconto anche un tantino pettegolo. Con la curiosità di scoprire le persone in tutti i loro angoli. Con l’ironia e l’autoironia capaci di ammorbidire la vita. Un buon metodo per non fare confusione è sicuramente quello dei tre colini indicato da Socrate. Di fronte a un amico che gli voleva assolutamente confessare qualcosa che certo non era un pensiero positivo, il filosofo greco, disse: «Prima di parlare e di raccontarmi tutto, rispondi dentro di te a tre domande. Sei sicuro che la cosa che stai per dirmi sia vera? È una cosa che può fare del bene o del male a una persona? Ed è utile che io lo sappia?» Dopo avere ascoltato Socrate e la verifica dei tre colini, l’uomo decise di tacere. (nonsprecare)