Il tema del malocchio attraversa profondamente tutta la cultura popolare del Mezzogiorno, intrecciando sacro, profano e pagano in un melting pot che affonda le sue origini nella notte dei tempi. Ormai rarefatto nelle aree metropolitane, sopravvive nei piccoli comuni o in qualche rione della periferia urbana, senza perdere il suo mistero e il suo fascino.
Francesco A.P. Saggese e Pasquale D’Apolito, tenaci cercatori di tracce di identità e di passato, hanno trovato nella loro Vico del Gargano una delle ultime guaritrici, che sono in grado di esercitare l’antico rituale che libererebbe dal malocchio quanti ne sono colpiti. È la signora Libera, singolare e straordinaria personaggio: una donna analfabeta ma in possesso di tanta, antica sapienza popolare. Saggese racconta nell’articolo qui sotto questa sorprendente storia di paese, che coinvolge e commuove. Lo stesso Saggese, assieme a Pasquale D’Apolito, firma un prezioso filmato assieme alla suggestiva galleria fotografica di D’Apolito sui gesti e gli oggetti di questo rito senza tempo.
Nei labirintici vicoli del centro storico di Vico del Gargano, il tempo che fu viene raccontato dalle pietre, dalle macchie dei colori sopravvissute al tempo, dai portoni con le loro venature legnose e le vernici screpolate, dall’odore della legna che brucia nei grandi camini, dal genuino profumo dei dolci di Natale, che in questi giorni a ridosso delle festività si stanno preparando. Ma basta addentrarsi nel suo ventre antico e bussare alle porte per ritrovarsi immersi in quello stesso tempo – che lentamente scorre e che quasi non c’è più – dove sopravvivono storie di una volta, di credenze, di riti e di formule segrete che “guariscono”.
Così un pomeriggio dell’estate scorsa, accompagnati da Maria Grazia, abbiamo incontrato davanti all’uscio di casa la signora Libera: una donna di altri tempi, lontana da tutto quello che il mondo moderno offre.
Le sue rughe, i suoi occhi, il suo grembiule, le sue mani segnate da una vita nelle campagne, sono pagine di un libro aperto sotto il cielo di questo paese.
Ci racconta che non sa né leggere, né scrivere, e che non ha libri, perché nella sua vita c’è stato posto solo per il lavoro, a servizio del “padrone” di turno, ora per la raccolta degli agrumi, ora per quella delle olive, ora per quella delle noci…
In una lontana notte di Natale, così come la “regola” richiede, la giovane Libera venne prescelta da un’anziana del paese per iniziarla alla conoscenza di un rituale, che se compiuto secondo tutti i dettami tramandati di bocca in bocca, poteva “guarire” il mal di stomaco, il mal di testa, da sguardi carichi d’invidia…
Qui questo rito è detto malocchio.
Chi le ha tramandato questa conoscenza le ha anche insegnato la “formula” segreta da recitarsi sottovoce per “guarire”.
Ecco che Libera diventa depositaria nella sua memoria di una storia fatta di gocce d’olio, di acqua in un piatto, di orazioni e di altri segni.
La custodisce gelosamente e le fa attraversare i numerosi anni della sua vita.
Nel nostro incontro Libera ci racconta le fasi del rito e ci concede di ascoltare la recita della formula segreta; così la sua lingua si scioglie in una orazione, una sorta di cantilena.
L’ascoltiamo in silenzio. Pare di sentire anche la voce dell’anziana signora che nella notte Santa del secolo scorso gliela aveva insegnata, come pure quella ancor prima della sua, e ancora quella prima.
Senza entrare nel merito antropologico e sociale del malocchio, attraverso il video che accompagna questo scritto, vi raccontiamo in breve quello che abbiamo visto, sentito e vissuto.
Libera ci ha rivelato la formula segreta che ha custodito per anni e anni; abbiamo volutamente omesso il suo ascolto integrale e lo abbiamo fatto per diverse ragioni: anzitutto quella di continuare a preservare questa storia antica lasciando segreto quello che è segreto.
Solo Libera, monumento popolare e semplice, in una notte di Natale della sua vita potrà scegliere l’erede con cui questa storia continuerà a camminare, di memoria in memoria, di bocca in bocca, sussurrata tra sé e sé, tra questi vicoli senza tempo. (letteremeridiane)
Francesco A.P. Saggese