«Vorrei lasciar cadere la penna dalle mani davanti al rischio di auguri retorici e in evidente stonatura con il realismo quotidiano.
Vorrei esonerarmi dal porgere auguri d’obbligo, affidandomi troppo ufficialmente e troppo facilmente a un messaggio letto da tutti e da nessuno.
Vorrei strappare questo foglio di carta per lasciare spazio all’infaticabile impegno di stringere la mano di tanti ed abbracciarli con calore fraterno.
Vorrei dare auguri significativi e che non si limitino al minimo sindacale, sia pur gradito, di un affettuoso pensiero verso l’altro.
Vorrei non appartenere all’ingranaggio di chi monta ad arte in questo periodo natalizio un’illusione che soddisfa per poco e lascia in molti e molto presto un vuoto incolmabile.
Vorrei non tradire Chi ha scelto una fredda grotta per sottolineare che il vero calore viene solo dal sentirsi amati e non dai blasfemi miraggi del consumo.
Vorrei non tradire tanti che attendono nella speranza e sentono invece che la disillusione non conosce giorni rossi nel calendario della loro esistenza.
Vorrei non tradire la mia coscienza di vescovo facendo anche di questa festa un’occasione elitaria. Turoldo in una poesia sulla figura del prete affermava: “…sposata hai una pena, di non sentire mai dolcezza alcuna che non sia di tutti”. Sì, la mia è la pena di un padre che nemmeno a Natale riesce a staccare il suo sguardo e il suo pensiero da chi soffre. La mia è la pena di chi, pur non potendo soffocare l’intima e indescrivibile gioia per aver incontrato l’Emmanuele, sa di non poter gioire pienamente fino a quando qualcuno, molti, forse, non hanno ancora intercettato il suo sguardo di misericordia.
Vorrei ritrovare, perciò, al fondo di ogni augurio dato o ricevuto, Gesù Cristo, solo Lui, senza la paura o il sospetto che Egli possa togliere qualcosa ai nostri garantiti e blindati piaceri previsti per questi giorni».
Il Pastore della diocesi, conclude così: «Ho scoperto in queste ore che la più bella sintesi del vangelo in quella notte santa, a Betlemme, l’hanno cantata gli angeli: “Gloria a Dio e sulla terra pace”. In quel binomio c’è tutto il progetto di Dio. Non ci accorgiamo, infatti, che se manca la pace sulla terra è perché prima ancora tra di noi c’è una mortale astenia di gloria riconosciuta a Dio. Ogni altro tentativo di conciliazione è un vicolo cieco.
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama!”.
Che l’eco di quella melodia celeste giunga fino a noi e giunga presto…»