Sono meno del 12 per cento gli italiani che dichiarano di non volersi vaccinare. Ma qual è il loro profilo? Sono tra le persone che più hanno sofferto gli effetti economici della pandemia. Finita l’emergenza, la sfida sarà riconquistare la loro fiducia.
Quanti sono i non vaccinati no-vax?, Nonostante gli iniziali scetticismi, il tasso di vaccinazione anti Covid-19 in Italia ha raggiunto i livelli promessi a febbraio, superando, a fine agosto, la soglia del 70 per cento della popolazione con almeno una dose. Benché il numero di vaccinati sia tuttora in crescita (i dati Ecdc riportano più di mezzo milione di dosi somministrate in Italia nella settimana dal 13 al 19 settembre), alcuni equiparano erroneamente i no-vax a tutti coloro che non hanno ricevuto il vaccino: bisogna però tenere a mente che, oltre a chi si è già prenotato per ricevere una dose, il numero dei non vaccinati include anche chi non può farlo per via di condizioni mediche pregresse e gli indecisi.
Stime più realistiche del vero numero dei no-vax vengono da sondaggi su campioni di individui rappresentativi, come il COME-HERE realizzato dall’Università del Lussemburgo.
Circa il 12 per cento degli italiani intervistati ha dichiarato di non volersi vaccinare, una cifra coerente con quanto riportato dagli osservatori Covid-19 dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università Cattolica. In Spagna si è registrato un numero più basso di scettici al vaccino, mentre valori più elevati si hanno invece in Francia (+9,2 punti percentuali) e Germania (+1,4 punti percentuali).
Chi sono i no-vax? Diversi fattori socio-economici e demografici caratterizzano i profili dei no-vax. Dai nostri dati emerge che, in Italia, uomini e donne hanno la stessa probabilità di dichiarare di non volersi vaccinare (a differenza di Francia e Germania, dove le donne sono più scettiche). Mentre all’estero sono i gruppi più giovani a non volersi vaccinare, in Italia lo scetticismo si concentra tra le fasce d’età tra i 30 e i 50 anni. Una costante tra i diversi paesi è lo stato civile dei no-vax intervistati: rispetto a chi dichiara di essere già vaccinato o di volersi vaccinare, hanno una maggiore probabilità di essere single.
Un fattore che invece non sembra giocare un ruolo sostanziale è il livello di istruzione: in Italia (come in Spagna), la percentuale di no-vax è la stessa lungo tutti i livelli di istruzione (primaria, secondaria, o universitaria) a differenza di Francia e Germania, dove emerge invece un gradiente negativo tra istruzione e scetticismo verso i vaccini.
Un profilo di insicurezza economica. Sebbene abbiano una formazione scolastica simile ai vaccinati, i no-vax in Italia sembrano però essere stati colpiti più duramente dagli effetti economici scaturiti dalla crisi Covid-19. La percentuale è più elevata tra coloro che hanno più sofferto sul mercato del lavoro. La proporzione di scettici verso il vaccino, infatti, è significativamente più alta tra chi ha perso il lavoro almeno una volta dall’inizio della pandemia e, a condizione di essere impiegato, tra chi ha visto orari di lavoro o guadagni ridotti negli ultimi tre mesi.
Inoltre, tra coloro che hanno un impiego, sembra esserci una maggiore percentuale di no-vax tra chi percepisce il proprio lavoro come più a rischio (cioè chi riporta un valore al di sopra della mediana nella domanda “quale pensa sia la probabilità di perdere il suo lavoro nei prossimi 6 mesi?”).
Anche se i no-vax sono più numerosi tra chi ha più sofferto personalmente le conseguenze del Covid-19 nel mondo del lavoro, è possibile che il loro reddito familiare non sia diminuito in maniera sostanziale grazie alla presenza di potenziali meccanismi compensativi. Uno di questi, per i no-vax in coppia, è il reddito da lavoro del proprio/a compagno/a, il/la quale potrebbe aver aumentato il proprio carico di lavoro remunerato in risposta ai minori introiti familiari. Un altro meccanismo, probabilmente più plausibile, deriva dagli strumenti di supporto economico erogati dallo stato nei mesi della pandemia.
Riconquistare la fiducia. Non è sorprendente constatare che al profilo di insicurezza economica dei no-vax si accosta un sentimento di sfiducia generalizzato, non solo nei confronti dei vaccini, ma anche verso le altre persone, il governo e il sistema sanitario.
L’opposizione di partiti di destra alle recenti proposte di obbligo vaccinale sembra dunque cavalcare una ondata di consenso politico proveniente da chi è più o meno apertamente contro il vaccino. Eppure, in paesi con una più ampia prevalenza di no-vax come la Francia, un’applicazione rigida del Green pass a partire da metà luglio ha dato una nuova spinta alle vaccinazioni, vincendo la reticenza di molti scettici. In modo analogo, l’estensione del Green pass in Italia a trasporti pubblici, scuole e università e, a partire dal 15 ottobre, a luoghi di lavoro pubblici e privati potrebbe catalizzare una nuova ondata di vaccinazioni, che ci porterebbe più vicini al target del 90 per cento.
Al di là del dibattito sull’obbligo vaccinale, diversi articoli raccomandano la promozione dell’informazione scientifica corretta come metodo per contrastare i no-vax, che spesso sostengono le proprie convinzioni sulla base di fake news e notizie non verificate. Il quadro mostrato dalla nostra analisi, però, sembra suggerire che la diffusione di informazioni, per quanto essenziale, potrebbe non bastare: la sfida sarà riconquistare la fiducia di segmenti della popolazione che, sin dall’inizio della pandemia, si sono ritrovati in situazioni di maggiore vulnerabilità economica e si sono sentiti abbandonati da uno stato verso il quale nutrono sempre più diffidenza. Altrimenti, il rischio è che, una volta sotto controllo la pandemia, i no-vax di oggi diventino i gilet gialli di domani. (lavoce-conchita d’ambrosio e giorgia menta)