FARMACOPEA POPOLARE DI SAN NICANDRO E DEL GARGANO

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Il famosissimo olio di iperico Hypericum perforatum L. è utile in caso di abrasioni, ferite e scottature e le foglie dell’albero Junglas regia L. (noce comune) fossero usate, in acqua calda, per pediluvi dall’azione antidiaforetica (Sannicandro Garganico). Il frutto dell’albero o più precisamente il mallo che lo riveste, quando non ancora maturo, veniva fatto bollire per ricavarne il tannino con il quale si tingevano le vesti e le coperte. Questo utilizzo è comparso a Sannicandro Garganico e a Vico del Gargano. Le foglie del Laurus nobilis L. (alloro o lauro) sono in assoluto il rimedio più usato per tutti i disturbi a livello dell’apparato digerente, tanto che è stato citato in tutti i paesi interessati dalla ricerca. Nei dialetti locali il suo nome varia di poco passando da laur a laut a lavr. Con l’alloro si preparava un decotto, utile nei casi di gastralgie, piccole coliche intestinali, dismenorrea e digestioni difficili. Ad esso poteva essere aggiunta della camomilla, che oltre a correggerne il sapore ne aumentava l’efficacia per la sua azione antispasmodica e rilassante, utile soprattutto nei casi di dismenorrea; ma il decotto di alloro poteva per essere arricchito anche con dei fichi secchi, della malva o una scorza di limone. Ai bambini, durante il periodo dello svezzamento si era soliti somministrare del pane che veniva cotto in acqua a cui erano aggiunte foglie di alloro, una sorta di zuppa utile per prevenire e curare le piccole coliche intestinali. La conoscenza della malva, Malva sylvestris L., è diffusissima ed è stata sempre la prima tra le erbe medicinali ad essere citata. Più precisamente, il decotto di malva, a cui poteva essere aggiunta della camomilla, era utile da bersi durante le fredde notti d’inverno, prima di addormentarsi, sia nei casi di raffreddore che d’infiammazione delle prime vie respiratorie (classico mal di gola), oltre a rientrare nella preparazione del decotto per la tosse a cui ancora una volta si fa riferimento. Con la malva si potevano preparare anche cataplasmi caldi, utilizzati per grossi foruncoli. In questo modo attraverso ripetute applicazioni la capacità emolliente della malva ne rendeva possibile la suppurazione. A Sannicandro Garganico, Vieste, Cagnano Varano e S. Giovanni Rotondo, oltre al fiore viene raccolta e utilizzata soprattutto la radice della pianta. Nel primo e nell’ultimo dei paesi suddetti la tisana di malva era consigliata anche in caso di stitichezza, ed era consigliato assumerla la mattina a digiuno, mentre la pianta fresca pestata, era applicata anche sulle ferite degli animali (Sannicandro Garganico, S. Giovanni Rotondo).

Anticamente si diceva che il marrubio Marrubium vulgare “ogni male lo distrugge”, qui è chiamato marrugge o marrugine e chiunque l’ha ricordata ne ha decantato le straordinarie proprietà. Una fiducia forse derivante anche dai molteplici usi cui la pianta si presta. Fresca o essiccata è usata in decotto (dal sapore molto amaro) in una vera e propria terapia anti-ulcera, un bicchiere al giorno per sei mesi. (Manfredonia, Mattinata, S. Giovanni Rotondo). Sempre in decotto era consigliata come rimedio generale per il fegato in quanto considerata un ottimo purificatore del sangue (Manfredonia, Monte S. Angelo) e sempre a Manfredonia sembra che la pianta sia stata usata contro il diabete (decotto). Ma il marrubio è stato adoperato anche in applicazioni esterne contro le emorroidi. L’acqua di decozione era impiegata per fare dei lavaggi mentre la pianta bollita veniva applicata come impacco (Manfredonia). Questo rimedio è comparso anche a Sannicandro Garganico dove il marrubio è chiamato stummacali, termine con cui nel dialetto locale si indicano appunto le emorroidi.

Come già accaduto per la malva non c’è stata una sola persona che non abbia citato la pianta di camomilla e le sue applicazioni. Oltre al classico infuso, si era soliti adoperare impacchi caldi di camomilla, da applicare sulla pancia, in bocca, o sugli occhi, rispettivamente in caso di gastralgia, ascessi dentali e infiammazioni oculari (Carpino, Cagnano Varano, Vico del Gargano, Sannicandro Garganico). A S. Giovanni Rotondo alcuni usavano aggiungere all’infuso un rametto di timo in caso di bronchite, o un po’ di salvia se la preparazione era destinata a curare spasmi intestinali. Il Muscari comosum Miller detto cipollaccio o lampagione selvatico è considerato una vera prelibatezza e viene consumato cotto. È noto a tutti come lampasciuolo. Ma a Sannicandro Garganico, dove è detto lambone, e a S. Giovanni Rotondo, dove è chiamato lambascione, il bulbo, bollito e pestato, era utile per cataplasmi caldi dall’azione emolliente e suppurativa.

“La ruta ogni male aiuta”, questa frase accompagna l’impiego della pianta (Ruta graveolens L.) e aiuta a comprendere come gli intervistati abbiano un’alta considerazione della ruta che insieme al marrubio occupa un posto importante nella medicina popolare garganica. Tutti infatti hanno riferito come la pianta, che nei dialetti locali è detta semplicemente ruta, fosse considerata una sorta di panacea da usarsi in decotto. A Carpino la pianta fresca pestata era applicata direttamente sulla pelle in caso di gonfiori causati da piccoli traumi. Mentre a Manfredonia l’acqua di decozione, raffreddata, era impiegata per fare dei lavaggi per il fuoco di Sant’Antonio, e sempre a Manfredonia si ricorda l’utilizzo della ruta non solo come rimedio per la patologia suddetta ma anche per l’eczema e i dolori reumatici, in queste patologie l’intervistato riferisce che la pianta secca veniva fritta nell’olio successivamente impiegato per massaggiare la parte dolente tre volte al giorno. L’acqua di decozione della pianta, a cui poteva essere aggiunto olio, era utilizzata a Sannicandro Garganico, per lavare le ferite e contro le scottature. Allo stesso modo oppure fritta direttamente nell’olio era usata per le ferite degli animali. La stessa applicazione è stata riscontrata a Cagnano Varano. In alcuni casi, sempre a Sannicandro Garganico, con il decotto di ruta si lavavano i capelli per prevenirne la caduta.

Alberto Bianchi – Giuseppe Gallifuoco