Non si risolve l’attuale passaggio della scuola italiana con un “tutti promossi”. È invece giusto rivedere le forme di valutazione degli studenti e creare percorsi formativi estivi. Ecco una proposta per recuperare il tempo perso a scuola.
L’Italia deve affrontare una crisi sanitaria ed economica che ha risvolti importanti sul sistema educativo. Così come in altri paesi, le scuole sono chiuse e lo scenario più probabile è che non riapriranno fino al nuovo anno scolastico. Alcuni quotidiani nazionali hanno rivelato piani del ministero tra i quali la promozione automatica di tutti gli studenti, anche con debiti, e una semplificazione dell’esame di maturità (tutti ammessi, solo esami orali). Per valutare l’efficacia di diverse politiche, è utile partire dall’evidenza prodotta da studi recenti.
Secondo un’inchiesta condotta su un campione di 2.500 studenti svizzeri, tedeschi e austriaci in una fascia di età compresa tra i 10 e i 19 anni e pubblicata dal quotidiano elvetico Nzz am Sonntag, durante il periodo di chiusura dovuto al coronavirus, gli allievi stanno studiando tra le quattro e le otto ore in meno alla settimana rispetto ai tempi normali. È specialmente preoccupante che il tempo di studio scenda al di sotto delle nove ore settimanali per un bambino su cinque. Date le caratteristiche socio-economiche del campione, la percentuale di bambini italiani in tale situazione potrebbe essere molto più elevata. Il deficit di apprendimento rischia quindi di essere critico per almeno un terzo del corpo studente.
Un punto di riferimento per valutare l’entità dell’impatto sul processo formativo è ciò che accade durante un’interruzione che si verifica regolarmente ogni anno: la pausa estiva. Quando gli studenti tornano a scuola in autunno, parte delle conoscenze acquisite prima dell’estate vanno in fumo. Uno studio recente basato su studenti statunitensi in età corrispondente alla nostra scuola media inferiore mostra che durante l’estate gli studenti perdono più o meno la metà delle conoscenze acquisite durante l’anno. L’effetto è particolarmente accentuato in matematica, disciplina in cui i test internazionali Pisa mostrano un deficit cronico per gli studenti italiani.
Altri studi mostrano che corsi estivi di sostegno rivolti a studenti con difficoltà di apprendimento hanno effetti importanti. Secondo uno studio sperimentale randomizzato condotto da un gruppo di ricercatori della Rand Corporation, cinque settimane di corsi estivi generano un recupero di conoscenze matematiche pari al 20 per cento dell’apprendimento di un intero anno scolastico.
Gli effetti dell’interruzione scolastica durante la pandemia saranno molto diversi a seconda dei gradini della scala sociale. Come già sottolineato da Chiara Saraceno, a un estremo vi sono gli allievi che dispongono di computer, stampante, accesso stabile ad internet e alle diverse forme di apprendimento in rete, una stanza tranquilla dove lavorare, e così via. All’estremo opposto vi sono coloro che di fatto non possono seguire la didattica online. La differenza più importante la fanno i genitori. Alcuni di loro sono con l’acqua alla gola, preoccupati di perdere il posto di lavoro o della sorte della loro attività indipendente, o hanno poca dimestichezza con la matematica e la lingua italiana (si pensi alle famiglie di immigrati). Altri invece affrontano la crisi in condizioni meno drammatiche, con un lavoro protetto, risparmi, tempo e conoscenze da mettere a disposizione dei propri figli.
Questa diversità di condizioni si innesta su un trend di lungo periodo. Nel libro Love, Money, and Parenting (Princeton University Press, 2019), con Matthias Doepke mostriamo come negli ultimi quarant’anni gli stili di genitorialità siano cambiati generando una spaccatura sempre più profonda tra i diversi gruppi socio-economici. Si tratta di una trasformazione epocale che sta generando un declino della mobilità sociale e crescenti disuguaglianze, distruggendo di fatto il concetto di pari opportunità. Senza un intervento pubblico adeguato, la pandemia rischia di ingigantire gli effetti di questo trend già in corso. Per alcuni studenti sarà un periodo di disagio ma anche di sperimentazione di nuove forme di apprendimento con l’appoggio delle famiglie, per altri sarà una brusca interruzione paragonabile a una prolungata pausa estiva.
Naturalmente, non è forzando gli studenti in difficoltà a perdere l’anno che si risolverebbe il problema. È pertanto giusto rivedere le forme di valutazione tenendo conto dell’eccezionale momento. Tuttavia, l’approccio “tutti promossi” diventa facile e quasi pilatesco se non è accompagnato da forti misure di sostegno ai più deboli. Le lacune educative accumulate in questo periodo non verranno cancellate da una valutazione frettolosa o benevola e si ripresenteranno con prepotenza nei gradini successivi dell’esperienza educativa e lavorativa.
Che fare allora? La situazione eccezionale richiede un appoggio del sistema pubblico e uno sforzo speciale di tutti gli operatori del settore. L’interruzione estiva è già eccezionalmente lunga in Italia negli anni normali (mia figlia, cresciuta in Svizzera, aveva appena 4-5 settimane di interruzione estiva). Si creino percorsi formativi estivi di sostegno in parte obbligatori e in parte riservati agli studenti maggiormente bisognosi. Si facciano rigorose valutazioni degli studenti alla fine dell’estate finalizzate a continuare in forma selettiva il sostegno nel corso dell’anno scolastico seguente: le vacanze estive non possono essere una priorità. Medici e infermieri stanno lavorando eroicamente, senza lesinare sforzi e rischi: anche insegnanti e operatori del sistema educativo devono fare la loro parte durante l’estate. Lo stesso vale per il ministero ed i provveditorati. Quest’anno, tutti in trincea a sostenere lo sforzo di recupero, consapevoli che i mesi perduti potrebbero trasformarsi in un fardello permanente per le generazioni future che graverebbe in modo particolarmente pesante sulle famiglie meno abbienti. (lavoce)
Fabrizio Zilibotti