Devia era un antico casale situato sul Monte Devio (o d’Elio), tra i laghi costieri di Lesina e Varano. La sua origine è probabilmente bizantina. ll primo documento relativo all’insediamento è redatto a Lesina nel 1032: Giovanni, vescovo di Lucera, concede all’abbazia benedettina di Tremiti la chiesa di S. Maria iuxta litus maris; l’abate di Tremiti si impegna al pagamento di cinque soldi d’oro da versare vita natural durante del vescovo concedente.
Non si hanno notizie certe circa la sua fondazione, ma vi è attestata, nell’XI secolo, una comunità di origine slava governata da un juppàno. L’economia del casale si fondava principalmente sull’agricoltura. Devia fu abbandonata dai suoi abitanti verso la fine del XIV secolo, probabilmente a causa delle incursioni saracene. Unica e importante testimonianza del Casale è rimasta la chiesa di Santa Maria, un gioiello del romanico pugliese, in cui si custodiscono cicli di affreschi dal gusto bizantineggiante, datati tra i secc. XII e XIV.
La chiesa è a pianta basilicale, a tre navate absidate. Nel periodo successivo all’abbandono dell’abitato, l’edificio venne custodito dagli eremiti. Dopo la loro estinzione, la chiesa fu abbandonata all’incuria e destinata a ricovero di animali fino al crollo della copertura, che rese l’edificio inutilizzabile per secoli.
Monte Devio
Il Monte Devio (264 m s.l.m. – detto anche Monte d’Elio) è un complesso collinare situato nel comune di San Nicandro Garganico, tra i laghi costieri di Lesina e Varano, sul quale sorgeva l’antico casale di Devia.
Il toponimo è assai dibattuto, una tradizione relativamente recente fa risalire tale denominazione alla sfera culturale ellenistica (dal gr. Ἥλιος, Hèlios = sole) in esso identificherebbe, quindi, “il monte dove nasce il sole”, anche se il nome sembra piuttosto verosimilmente dovuto alla presenza dell’abitato di Devia (Monte Devio, appunto). Costituisce una zona di notevole interesse naturalistico ed archeologico, facendone uno dei luoghi più rilevanti del Parco Nazionale del Gargano.
Grotta dell’Angelo
Sul monte d’Elio si apre una grande fenditura rivolta ad ovest a circa 150 m s.l.m., chiamata grotta dell’Angelo. La grotta è così denominata in quanto un’antica tradizione la pone come uno dei tre luoghi di culto, in tutto il Gargano, dell’Arcangelo Michele, probabilmente sin dal tempo dell’impero bizantino o della dominazione longobarda.
La cavità, si apre con un grande antro di forma semiellittica a ridosso di un ripido costone di formazione calcarea, rinvigorito da una flora assai variegata e quasi impenetrabile. Si sviluppa orizzontalmente all’interno della collina, stringendosi verso l’interno sino ad un trivio, da cui si dipartono altre due diramazioni, una in direzione Est, piuttosto breve, ed una assai più lunga in direzione Nord. Povera di concrezioni calcaree, tuttavia presenta un’attività carsica in pieno regime.
La grotta ha conosciuto una frequentazione umana già in tempi preistorici: una campagna di scavo condotta nel 1967-1968 dall’Istituto di Paleontologia dell’Università di Firenze, ha portato alla luce resti biologici, selci e ceramiche dal Paleolitico al Medioevo. Sulla parete destra sono tuttora visibili alcuni graffiti.
Il ritrovamento di tombe di età alto-medievale e la presenza di una pila circolare ricavata da un vano naturale, confermerebbero l’uso cultuale della grotta, probabilmente adibita a chiesa, come attestato anche da codici medievali concernenti le pertinenze di Devia, da cui la grotta dista un chilometro.