La pazienza non è sopportazione. Né rassegnazione. È il realismo mosso dall’ottimismo della volontà. E dalla ricerca di buone relazioni con gli altri
Abbiate pazienza. Ma non nel senso piuttosto rozzo con il quale usiamo questo intercalare quando le argomentazioni del nostro interlocutore proprio non ci convincono e vorremmo che smettesse di parlare. No, abbiate pazienza nel senso pieno della parola, che ha anche un contenuto di lieve sofferenza, sottolineato dall’etimologia greca della parola: pathos, ovvero il dolore corporale e spirituale. È proprio questo sforzo, al quale una volta che ci siamo abituati non riusciremo più a opporre qualsiasi resistenza, che ci aiuta a costruire relazioni, a coltivare il dovere alla tolleranza, a mostrare il volto empatico del nostro Io.
Avete pazienza? E quanto vi costa? Una «virtù eroica», come la definiva Giacomo Leopardi, o anche «una goccia che scava la pietra» secondo le parole di Gandhi, della quale abbiamo sempre più bisogno in tempi di impazienza, di stress. E perfino di paura. La pazienza, chiariamolo in premessa, non è rassegnazione, non è un sopportare in silenzio, da sconfitti o da ipocriti, ma è una luce accesa dall’ottimismo della volontà. Una misura anti-spreco, contro lo spreco dell’accelerazione spinta, evanescente, inconcludente. La pazienza ci ricorda la direzione lineare del tempo, il suo espandersi e la necessità di affrontarlo con un metodo che aiuti anche a rafforzare relazioni, legami, altruismo.
PAZIENZA
Nell’era della velocità, delle notizie istantanee e delle scelte immediate, aspettare, attendere, non lasciarsi travolgere dall’attimo fuggente è diventato un privilegio che si concedono in pochi. Così la pazienza è diventata una virtù sempre più rara. Nel senso più letterale del termine, non le riconosciamo più alcun valore, pure essenziale nei rapporti umani come nell’efficacia dell’azione pubblica. Anzi, la consideriamo una perdita di tempo e un’anticaglia di comportamenti che non possiamo permetterci. La radice della parola è latina, patior, cioè il patire, ma non come dolore, soffrenza cieca, quanto piuttosto come consapevolezza di ciò che ci aspetta nel corso della vita. Comprese quelle ferite cheanno bisogno di tempo per rimarginarsi e le gioie che si costruiscono nel tempo lungo di una crescita paziente, anche quando arrivano impreviste e improvvise.
COME RECUPERARE LA PAZIENZA
Viviamo nell’epoca dell’alta velocità, del “tutto e subito”, “dell’usa e getta”: i nostri orologi sono sempre sincronizzati a scadenze in arrivo, a impegni da rispettare, a programmi da portare a termine. «E invece la pazienza esige una dilatazione del presente, un suo allungamento, una sosta nell’incessante divenire. Occorre fare pausa, fare tregua, per essere pazienti» scrive Gabriella Caramore in un efficacissimo libricino intitolato appunto Pazienza (edizioni Il Mulino).
Eppure è proprio la pazienza, il suo passo lungo, distante dall’affanno del presentismo, che ci consente di aspettare il momento giusto, la maturazione delle cose e non la loro evaporazione, prima ancora di averle messe a fuoco. E’ paziente il corteggiamento di una donna, e non può giocarsi nell’attimo di uno scambio di sms o di messaggi sui social. E’ paziente l’attesa per il riconoscimento del proprio valore sul lavoro: al contrario un’eccessiva fretta, di posti nella scala gerarchica e di stipendi, porta al vizio del carrierismo. Ed è pazienza, talvolta faticosa e perfino frustrante, la ricerca di ciò che ci unisce rispetto a quello che ci divide. «La pazienza è ciò che nell’uomo più somiglia al procedimento che la natura usa nelle sue creazioni» scrive Honoré de Balzac nel suo libro Le illusioni perdute. Pensate alle api, al loro paziente quanto essenziale lavoro di comunità: in un solo giorno un singolo alveare visita 225mila fiori, con un percorso pari a quattro volte il giro del Pianeta. E tutta l’attività delle api, la meravigliosa catena di ruoli e di funzioni, è declinata all’insegna della pazienza.
LA PAZIENZA PER LA BUONA AZIONE POLITICA
L’eclissi della pazienza è dovuta anche alla cattiva interpretazione della sua funzione. Viene spesso confusa con l’inerzia, con il compromesso al ribasso. O, peggio, viene catalogata come una sconfitta, una resa passiva di fronte all’ineluttabilità dei fatti. Al contrario, l’impazienza, accompagnata magari dalla rabbia, diventa un segno di forza, di risolutezza e di determinazione del carattere. Un vero equivoco, e un rovesciamento dei paradigmi. Con effetti micidiali, per esempio, nella relazioni con i nostri vicini. Siamo diventati un popolo di cittadini che scatenano una rissa di condominio ogni mezz’ora, mossi e ispirati proprio da quella perdita della pazienza che ci fa sentire forti, laddove invece siamo diventati tutti più vulnerabili.
In politica, è impossibile prescindere dalla pazienza, dai tempi e dalla tessitura necessaria per far coincidere il consenso con scelte non sempre popolari. Lo hanno capito sulla loro pelle anche i politici moderni, impazienti di dare, con dei risultati, spessore ai loro messaggi declamati in vertiginosa sequenza. Ma prima o poi, quando hai troppa fretta, ti scontri con la necessità di mostrare equilibrio e di ricercare nuove sintesi, innanzitutto con gli avversari. Nella Prima Repubblica forse la pazienza era troppa, ma molte crisi, nei governi, nei partiti, nei parlamenti, venivano evitate attraverso la formula magica di una «pausa di riflessione». E durante la seconda guerra mondiale l’opinione pubblica britannica scalpitava, con enorme malumore, per mettere fine “costi quel costi” a un sanguinoso conflitto: il governo inglese reagì con una campagna a tappeto, casa per casa, ispirata proprio all’esercizio della pazienza. Lo slogan era questo: Keep calm and carry on, Resta calmo e vai avanti.
COME ESSERE PIÙ PAZIENTI
Già resta calmo, sii paziente: ma come si fa quando la terra trema sotto i piedi e senti, con paura, che il tempo scorre? Qui più che l’esercizio pedagogico può aiutare la religione, il senso del trascendente con il quale la pazienza è sempre stata ben catalogata. Nella religione buddista, per esempio, la pazienza è considerata una delle sei pratiche essenziali per essere un buon discepolo e coltivata con cura attraverso la meditazione. In un libro del Dalai Lama, intitolato “L’arte di essere pazienti” (edizioni Neri Pozza), la massima autorità spirituale del buddismo scrive: «Qualsiasi azione positiva può essere distrutta da un solo scatto d’ira, da un solo gesto di impazienza». Nella Bibbia, invece, dove scopriamo la grandezza del patriarca Giobbe, la pazienza è catalogata come un dono dello Spirito Santo. E San Paolo in una lettera ai Romani avverte: «La pazienza porta alla speranza. Ma serve accompagnarla all’umiltà e alla riflessione». Bisogna riflettere, dunque, per essere pazienti, prendersi il tempo necessario, tirare un respiro prima di parlare, ascoltare e non solo comunicare a senso unico. (nonsprecare)