Il 16 febbraio ha fatto il giro del mondo la notizia della scomparsa di Alexei Navalny, principale oppositore del governo russo, deceduto all’età di soli 47 anni in un carcere situato oltre il circolo polare artico, dove era stato recentemente confinato. Le circostanze del suo decesso rimangono incerte.
Navalny si distingueva non solo come avversario del regime, ma anche come uno dei giornalisti d’inchiesta più influenti del paese. Attraverso la sua Fondazione anti-corruzione, etichettata dal Cremlino come “organizzazione estremista”, ha costantemente denunciato i fenomeni corruttivi che attanagliano la pubblica amministrazione russa a tutti i livelli, arrivando fino ai vertici del potere statale.
È stato insignito nel 2021 dal Parlamento europeo di Strasburgo con il Premio Sakharov, con una precisa ed eloquente motivazione secondo quanto dichiarato da David Sassoli, l’allora presidente del Parlamento europeo: “Navalny ha combattuto instancabilmente contro la corruzione del regime di Putin. Questo gli è costato la libertà e quasi la vita”.
Per anni Alexei Navalny è stato al centro della resistenza contro il regime di Vladimir Putin, subendo carcerazioni, un tentativo di avvelenamento, e infine la morte a causa del suo impegno per la libertà di fronte allo strapotere dell’autocrazia di Putin. Navalny ha interpretato in modo eroico la resistenza all’autorità di Putin, pagando a caro prezzo il suo attivismo, fino all’estremo sacrificio della vita, pagando per il suo amore per la libertà contro la soverchiante e disumana autocrazia russa.
Il suo nome si aggiunge a una triste sequenza di figure umane che hanno subito persecuzioni e sono state eliminate dal governo russo, un elenco che comprende giornalisti e oppositori politici assassinati per aver sfidato Putin e il suo circolo ristretto di potere. Navalny si è eretto a emblema, rappresentando l’anelito a una Russia emancipata che si erge per denunciare le ingiustizie di cui si sente vittima. Centinaia di cittadini russi, mettendo a repentaglio la loro incolumità e sicurezza, hanno reso omaggio al dissidente recentemente scomparso.
Come si legge sul sito della Farnesina “Su istruzione del Ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, l’Incaricato d’Affari dell’Ambasciata d’Italia a Mosca, Pietro Sferra Carini, si è recato … presso la pietra Solovetsky, dove ha deposto un mazzo di fiori nel punto in cui è stato improvvisato un memoriale in ricordo dell’oppositore russo Alexei Navalny.
La pietra Solovetsky è il monumento dedicato alle vittime della repressione politica, situato a Mosca nei pressi del palazzo della Lubjanka, storica sede del KGB. La deposizione di fiori da parte di Sferra Carini è avvenuta poco dopo l’incontro del Ministro Tajani con la moglie di Alexey Navalny, svoltosi a Bruxelles, a margine del Consiglio Affari Esteri”. “L’Italia è al fianco di Yulia Navalnaya”, ha dichiarato Tajani. “La sosterremo nella difesa dei valori di libertà e democrazia per cui suo marito ha lottato a costo della vita”. Nel frattempo, i ministri degli esteri del G7, riuniti a Monaco, “hanno chiesto alle autorità russe di chiarire pienamente le circostanze della sua morte. Hanno invitato la Russia a porre fine all’inaccettabile persecuzione del dissenso politico, nonché alla repressione sistematica della libertà di espressione e all’indebita limitazione dei diritti civili”,
Si riporta di seguito la risposta della senatrice a vita Liliana Segre alla lettera arrivata alla redazione di «Oggi» da un lettore: “Il suo sconcerto è il mio. Ho seguito con apprensione e attenzione il crescendo di crudeltà della vicenda umana, civile e politica di Navalny. Fino al confino in un carcere oltre il Circolo Polare Artico, in condizioni disumane che tanto somigliano a quelle consegnate a Storia e Letteratura dai Racconti della Kolyma, in cui il prete ortodosso dissidente Varlam T. Šalamov narrò i Gulag nei quali il regime sovietico uccise decine di milioni di oppositori con una sistematicità spesso, a ragione, paragonata a quella degli stermini nazifascisti. Come già accaduto con la morte di altri oppositori di Putin, siamo di fronte a un epilogo annunciato e di certo messo in conto dallo stesso Navalny. Da qui partirei per rispondere al senso di impotenza che lei dice di provare. Se c’è una cosa che Navalny ha mostrato è proprio che, per quanto vessati, impotenti non si è mai. Neanche se tutto ci viene tolto, ci viene sottratta la possibilità di rivendicare il nostro diritto alla libertà e spesso è proprio questa dignità tenace a permettere di sopportare l’intollerabile.
Il dissidente russo questo lo ha dimostrato in ogni decisione. Non ultima quella di tornare in Russia, nel 2021, consapevole del fatto che lo aspettava una detenzione lunga, ingiusta e spietata. Nel 2021, Navalny aveva la possibilità di restare in Germania, dove gli era stata salvata la vita dopo l’avvelenamento da Novichok di cui era stato vittima (come altri oppositori di Putin) e che lo aveva costretto a un mese di coma. Non lo ha fatto, non riuscendo a concepire l’idea di poter essere libero solo lontano dal suo Paese e lasciando che i russi continuassero a veder erodere le proprie libertà. Perché la libertà o è per tutti, o non è. Ed è proprio questa idea la più dirompente forma di dissidenza a un autocrate come Putin. Un’idea che pare anacronistica in un tempo e in un mondo dominato da convenienze personali. Navalny avrebbe potuto, come altri dissidenti, continuare la sua battaglia anti Putin da fuori, protetto da distanza e leggi. Invece, come ha scelto di fare l’attivista iraniana Nobel per la Pace 2023 Narges Mohammadi, ha messo in salvo in Occidente la propria famiglia ed è tornato lì dove la sua battaglia avrebbe avuto più senso e valore. E quel che è accaduto alla sua morte gli ha dato ragione: migliaia di russi, da Mosca a San Pietroburgo, sfidando la polizia, hanno reso omaggio a Navalny. A Mosca, in piazza della Lubjanka, davanti alla Pietra Soloveckij, che celebra le vittime della repressione politica. Una prova che la lotta per la libertà è vittoriosa anche quando il suo esito è il più nefasto. Mi hanno colpita infine le ultime immagini che abbiamo di Navalny, in cui si rivolge ironicamente al suo giudice-carnefice il giorno prima di morire. Mi hanno ricordato la definizione che dell’ironia diede lo scrittore lituano Romain Gary: «È una dichiarazione di dignità. È l’affermazione della superiorità dell’essere umano su quello che gli capita»”.
Il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella ha ricordato l’oppositore russo con queste parole: “La morte di Aleksej Navalnyj nel carcere russo di Kharp rappresenta la peggiore e più ingiusta conclusione di una vicenda umana e politica che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica mondiale. Per le sue idee e per il suo desiderio di libertà Navalnyj è stato condannato a una lunga detenzione in condizioni durissime. Un prezzo iniquo e inaccettabile, che riporta alla memoria i tempi più bui della storia. Tempi che speravamo di non dover più rivivere. Il suo coraggio resterà di richiamo per tutti “.
Sul punto sono intervenuti Nunzio Angiola, ex candidato sindaco, e Stefania Rignanese, ambedue consiglieri comunali a Foggia, del gruppo Angiola Sindaco.
“Il decesso di Alexei Navalny – hanno dichiarato Nunzio Angiola e Stefania Rignanese – costituisce un capitolo doloroso nella storia mondiale e consegna alla Città di Foggia, Medaglia d’oro al valore militare e Medaglia d’oro al valore civile, un fulgido simbolo di tenace ed eroica lotta per la libertà e per i diritti umani, per il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione, che deve diventare fonte di ispirazione per la nostra comunità, soprattutto per le nuove generazioni, le quali devono poter incarnare e perpetuare lo straordinario messaggio che ci consegna Navalny. Per questo chiediamo con forza al Consiglio comunale, attraverso la mozione depositata, di impegnare il sindaco e la giunta a concedere l’onorificenza della cittadinanza onoraria alla memoria di Alexei Navalny, martire della libertà, o in via del tutto subordinata ad intitolargli, anche all’occorrenza in raccordo col Ministero dell’Interno, una piazza o una strada”.