Una curiosità storica quella di sapere chi era il signore più ricco di San Nicandro alla fine dell’800. Senza dubbio Don Matteo Zaccagnino la cui proprietà, come scrive Silvio Petrucci, si estendeva su un gran numero di case, su terreni che si spiegavano per chilometri e chilometri nella campagna sannicandrese e in alcune zone del Tavoliere e sulle acque, per buona parte, del lago di Lesina.
Matteo Zaccagnino nasce a San Nicandro Garganico nel 1843 e muore sempre a San Nicandro Garganico (il 6 aprile 1926. Laurea in Giurisprudenza, Avvocato e parlamentare con due mandati: nella XI legislatura (dal 5-12-19870 al 20-9-2874) e nella XII legislatura (dal 23-11-1874 al 3-10-1876).
Sempre Petrucci scrive che Do Matteo era uno degli ultimi autorevoli rappresentanti locali di una casta in cui sopravvivevano ancora tradizioni e velleità feudali, già ormai destinate al tramonto. Un tramonto al quale, però, egli era il meno rassegnato nonostante la sua intelligenza e furberia.
Caparbio, nel suo indomabile spirito conservatore e autoritario, rimase sulla breccia battagliero ed impavido, tenendo fronte, per tutta la vita, ai moti e alle agitazioni popolari che divampavano per la rivendicazione sui “parchi e stocchi” e per quelle sulla pesca nel lago di Lesina. Odiato e temuto dal proletariato, ne era, tuttavia, per certi aspetti, soprattutto per la sua forte personalità rispettato e stimato. E l’odi si esprimeva in una definizione quanto mai dispregiativa “Fratello Baionetta”.
Di Don Matteo, nei suoi “Parlamentari Garganici”, così scrisse Michele Vocino: “Di larghissima cultura anche umanistica, di mente aperta ma tradizionalista, eletto nella XI legislatura, partecipò come liberale indipendente con sufficiente assiduità ai lavori parlamentari; fu membro di giunte e commissioni e pronunciò qualche rimarchevole discorso, pur essendo attratto e distratto dai suoi complessi interessi privati”. I suoi interessi privati si riferivano non solo all’amministrazione del suo immenso patrimonio, ma a tutte le controversie giudiziarie in cui veniva coinvolto, soprattutto per le annose vertenze demaniali, come quelle del Lago di Lesina, il Pozzo di Matilde, ecc.
Il popolino, implacabile nel suo odio contro i padroni, lo bollava con l’epiteto sanguinoso “Fratello Baionetta”. Qualcuno attribuiva l’epiteto al fatto che, a chiunque parlasse, egli si rivolgeva con un “fratello mio”, “fratello caro” e il popolino ironizzava dicendo che un solo fratello conosceva lui, la baionetta del carabiniere che ne difendeva la proprietà, oppure se lo raffigurava come una divinità mitica che brandiva nel pugno una baionetta in segno di forza e di prepotenza.
Don Matteo, in conclusione era una figura quasi asburgica, più che borbonica, che ci faceva ricordare straordinariamente il personaggio che personificò nelle forme più drastiche, nel secolo sc orso, l’autocrazia assolutista e l’immobilismo conservatore e dispotico.