MEDICI DI FAMIGLIA: PERCHE’ STANNO SCOMPARENDO

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Stipendi bassi, molte responsabilità e tanta burocrazia. Un medico di base su tre ha più di 66 anni. E in questa situazione ci guadagnano solo i fannulloni

Ruolo medici di famiglia nel sistema sanitario italiano e sprechi

Partiamo da una premessa: senza i medici di base, quelli che sono più conosciuti come i medici di famiglia, è inutile parlare di assistenza sul territorio. L’intera prima linea a difesa della salute del cittadino, il territorio appunto, è nelle loro mani. E se non lavorano, o lavorano male, l’assistenza semplicemente evapora, con sprechi enormi per l’intero sistema sanitario. Dal medico di base andiamo non solo per avere una ricetta, ma anche per una fondamentale prima visita con relativa diagnosi.

MEDICI DI FAMIGLIA: PERCHE’ STANNO SCOMPARENDO

I primi a volere l’assistenza del medico di famiglia sono gli italiani. Si rivolgono a lui il 74 per cento dei cittadini: dunque non stiamo parlando di un professionista scomparso e abbandonato, o sciaguratamente sostituito da qualche ricerca su Google o su Facebook. In secondo luogo, abbiamo pochi medici generalisti rispetto ad altri paesi europei, per esempio, e in generale alle esigenze di una popolazione destinata comunque ad invecchiare. Altro dato da tenere presente: i medici generalisti in Italia (89,2 ogni 100mila abitanti) sono meno dei tedeschi (97,8 ogni 100mila abitanti) e dei francesi (152,9 ogni 100mila abitanti). Dati che confermano un altro spreco che abbiamo più volte denunciato sul nostro sito: i giovani medici che potrebbero avere lavoro ai quali non diamo spazio nelle università e nelle scuole di specializzazione. Infine, e qui veniamo allo spreco più grave, i medici di famiglia stanno scomparendo. Attualmente in attività ce ne sono meno di 4.000, ma 2.853 usciranno entro i prossimi sette anni. Un medico di famiglia su tre ha più di 66 anni. E per il rimpiazzo sono disponibili solo 707 medici di base.

MEDICI DI FAMIGLIA DISPONIBILITÀ

La scarsa disponibilità di medici di famiglia è legata a diversi fattori. Innanzitutto, il sistema di spartizione dei pazienti non funziona, è obsoleto e andrebbe cambiato. In teoria ci dovrebbe essere un medico di famiglia ogni 1.000 abitanti, con un massimo di 1.500 assistiti Ma poi, specie nei piccoli centri, i medici di famiglia hanno pochi pazienti e pochi introiti, ma intanto fino a quando non raggiungeranno il tetto dei 1.500 assistiti non ne arriveranno altri. In secondo luogo, il medico di famiglia dopo la laurea deve conseguire una specializzazione che dura tre anni, ma in questo periodo viene pagato con un assegno mensile di 800 euro, a differenza di un normale specializzando che riceve un compenso di 1.700 euro, il doppio. In compenso, altro motivo di scarsa disponibilità, il lavoro del medico di famiglia, se fatto bene, può essere molto faticoso, con molte responsabilità e con una valanga di incombenze burocratiche.

QUANTO GUADAGNA UN MEDICO DI FAMIGLIA

Un medico di famiglia guadagna in base al numero degli assistiti. La retribuzione è di 70 euro lordi per ogni iscritto, se ha meno di 500 pazienti; 35 euro lordi se sono più di 500. Dai calcoli della Fimmg (Federazione italiana medici di Medicina generale), un medico di famiglia riesce a portare a casa tra i 2.300 e i 5.00 euro lordi mensili. Uno stipendio davvero basso. E non proporzionale al lavoro e alla responsabilità che si hanno.

IMPORTANZA MEDICO DI FAMIGLIA

Un tempo i medici di famiglia erano l’eccellente prima linea del sistema sanitario, adesso sono diventati una retrovia. Il lungo passo indietro dei medici di famiglia, ormai completamente sfilati dalla rete dell’emergenza, ha trasformato i Pronto soccorso degli ospedali in una sorta di imbuti dove ogni giorno si accalcano milioni di cittadini. Anche inutilmente. Con sprechi enormi, sia in termini di costi finanziari sia sul piano delle risorse umane impegnate. Le statistiche dicono che ogni anno 24 milioni di italiani bussano alla porta di un Pronto soccorso, e di questi l’84 per cento viene dimesso in breve tempo, spesso con una banale medicazione, mentre solo il 16 per cento finisce ricoverato. Il popolo del Pronto soccorso avanza, a Nord come a Sud, senza alcun filtro iniziale, quello che appunto dovrebbero fare i medici di famiglia con i loro studi. Solo per fare un esempio concreto, al Cardarelli di Napoli ogni due minuti si presenta un paziente in Pronto soccorso e solo la generosità dei medici, che lavorano spesso con turni massacranti, consente di evadere una domanda di assistenza così debordante.

QUANDO ANDARE DAL MEDICO DI BASE

L’abdicazione dei medici di famiglia, che tra l’altro li sottrae dalla responsabilità di decidere in alcuni casi tra ricovero e dimissione del paziente, è legata anche alla difesa di un’attività professionale protetta (non esiste una concorrenza),  non troppo impegnativa e ben retribuita. Quanto basta per considerarsi una corporazione che deve autoproteggersi. Mediamente, e salvo casi eccezionali, gli ambulatori dei medici di famiglia sono aperti 15 ore a settimana e per cinque giorni, escludendo dunque il sabato e la domenica. Considerando il tetto dei 1.500 pazienti iscritti e detratte le spese per la gestione dell’ambulatorio, un medico di famiglia può guadagnare fino a 5-6mila euro netti al mese, una cifra che i suoi colleghi in ospedale, a partire da quelli impegnati sul fronte del Pronto soccorso, si sognano. In queste condizioni, con questi orari e con questa frammentazione degli ambulatori, è impossibile garantire il servizio di prima assistenza, e filtrare così i ricoveri nei Pronto soccorso ospedalieri. Eppure il medico di famiglia potrebbe e dovrebbe avere questa funzione vitale, a beneficio dell’efficienza dell’intero sistema e di un passo avanti, sul piano culturale, degli italiani in versione di pazienti talvolta immaginari. Sarebbe la più semplice e la più indolore spending review del sistema sanitario. Significherebbe meno lavoro nei Pronto soccorso, e in condizioni più civili; meno analisi e indagini; perfino meno ricoveri. Invece senza una barriera iniziale, si sciala nel mare magnum della sanità pagata dalla mano pubblica, con una catena di sprechi. Ogni anno, per esempio, si eseguono 43 milioni di prestazioni radiografiche e di quelle che partono dai Pronto soccorso il 70 per cento hanno “esito negativo”: numeri che la dicono tutta sull’effettiva utilità di questa corsa all’esame con i raggi.

LE LOBBY DEI MEDICI DI BASE

L’ex ministro Renato Balduzzi è stato l’ultimo titolare del ministero della Sanità che ha tentato di riportare i medici di famiglia in una posizione strategica nel sistema sanitario. Con la solita, eccessiva enfasi dei cambiamenti annunciati troppo in anticipo, Balduzzi ha messo sul tavolo la sua “rivoluzione” organizzativa. Cose semplici e di naturale buon senso, a partire dalla spinta ad accorpare studi e ambulatori dei medici di famiglia, per attrezzarli anche alle analisi, agli accertamenti di base, a una diagnostica completa di primo livello. Con un obiettivo: avere studi aperti giorno e notte, 24 ore su 24, e sette giorni alla settimana. A quel punto, il filtro sarebbe stato ripristinato. Ma Balduzzi non aveva fatto i conti con il corporativismo della categoria e con la solita, porosa complicità della politica che, come nel film Il medico della mutua interpretato da Alberto Sordi, considera i pazienti che fanno capo a ciascun professionista come un bel pacchetto di voti da coltivare innanzitutto attraverso il dottore. Non a caso, i medici di famiglia sono barricati in ben cinque sindacati di categoria, oltre alle organizzazioni generali del settore: la Federazione medici di famiglia (Fimmg), il sindacato nazionale autonomo dei medici italiani (Snami), il sindacato dei medici italiani (Smi), il sindacato italiano dei medici del territorio (Simet), il sindacato dei medici pediatri di famiglia (Simpef), la società italiana di medicina generale (Simg). Autentiche lobby, con al vertice sempre le stesse persone (Milena Gabanelli su Corriere della sera ha scoperto che l’ematologo Claudio Cricelli è alla guida della Simg da trent’anni!) e con un’incredibile sovrapposizione di ruoli. Sono i sindacati che prima formano i medici di base, e poi stipulano i contratti per la categoria.

LA MANCATA RIVOLUZIONE DEI MEDICI DI BASE

Così la rivoluzione tanto annunciata è stata rapidamente sommersa dall’urlo di una minacciosa protesta, durante la quale i medici di famiglia sono arrivati a lamentarsi per essere considerati come dei “servi della gleba”. Con un altro ex ministro, Beatrice Lorenzin, molto sensibile alle sirene delle corporazioni, siamo tornati, con il passo del gambero all’italiana, alla più tenue e opaca sperimentazione. Non si capisce, però, che cosa ci sia ancora da sperimentare, quali altri verifiche sul campo vanno fatte per tappare i buchi neri che stanno mettendo alle corde l’intero sistema sanitario. Forse bisognerebbe essere più onesti e dire che non c’è voglia di cambiare nulla, e si preferisce lasciare i medici di famiglia nei loro fortini, da dove sono sempre pronti, quando un paziente chiama fuori orario con qualche preoccupazione, a dare la risposta di rito, la più semplice e anche la più inutile: «Vada in Pronto soccorso». Tanto da quelle parti c’è chi paga e chi lavora. (nonsprecare)