POMA SANTA MARIA, IL NAUFRAGIO NELLE ACQUE DI TORRE MILETO “TANTO PER FARE CHIAREZZA”

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Civico 93, dopo l’articolo della scorsa settimana sul relitto di una marsiliana, la Poma Santa Maria, affondata a Torre Mileto in circostanze misteriose nel 1607, ripropone (per completezza di informazione) un altro articolo per una visione più completa della vicenda.

Premessa.

Per far luce sulle vicende di questa nave mercantile, adibita al trasporto di merci ed al traffico d’armi lungo le coste del nostro Mare Adriatico, è necessario fare un tuffo nel recente passato (anni 1998-2000).

In quegli anni lo scrivente dr. for. Alfonso De Filippo, unitamente al compianto collega dr. agr. e for. Bruno Rosario Mastelloni quali titolari dello Studio Agro-Forestale, erano progettisti e direttori dei lavori del realizzando “Parco Archeologico ed Ambientale di Santa Maria di Monte d’Elio e Grotta dell’Angelo”.

L’amicizia di lunga data che lo lega al sig. Vittorio Russi, Ispettore Onorario della Soprintendenza ai Beni Culturali, Membro della Società di Storia Patria per la Puglia, Cofondatore dell’Archeoclub di San Severo, Topografo Storico nonché primo Scopritore dei resti ruderali dell’antico abitato della città slava di Devia e Promotore dell’intervento di restauro della Chiesa di Santa Maria negli anni ’70, spesso coinvolgevano l’amico Vittorio in dissertazioni archeologiche e sopralluoghi sul campo durante il prosieguo dei lavori del realizzando Parco archeo-ambientale.

Un giorno Vittorio mi consegna un biglietto con un trafiletto di tre righe tratto da un libro, della sua enorme collezione libraria, di come è organizzato l’Archivio di Stato di Napoli: “Poma Santa Maria naufragata il 24 marzo del 1607 nella marina di Santo Nicandro – Carta delle Galere numeri XVIII-XIX, scaffale x, stanza y”.

Durante i lavori l’area di intervento era oggetto di visite di studiosi e di laureandi in discipline storico-letterarie che studiavano quelle vestigia, che i lavori di diradamento dalle infestanti mettevano in luce, utili per i loro lavori di tesi e ricerche.

Alla dr.ssa Gina Lombardi che allora stava elaborando la sua tesi e che spesso si recava a Napoli presso l’Archivio affidai quel trafiletto, data la mia passione per l’archeologia terrestre e subacquea, unitamente a 100 mila lire del vecchio conio chiedendole se dietro compenso il custode ci facesse visionare il fascicolo documentale. Eravamo a Napoli ed il custode ci diede i microfilm dei documenti.

Ma veniamo ai fatti secondo un escursus temporale.

La cronistoria delle scoperte.

E’ il luglio del 1975 quando vengono rinvenuti al largo della spiaggetta dell’omonimo Villaggio di Cala del Principe ben 3 cannoni, grazie alla segnalazione di un apneista locale il prof. Giorgio De Rogatis e che grazie al successivo intervento del Nucleo Tutela Patrimonio Archeologico dei Carabinieri subacquei di Taranto, guidati dal brigadiere Antonio Di Gianfrancesco , vengono recuperati e tratti sulla spiaggetta della cala dove l’allora Sindaco del Comune di San Nicandro Garganico sig. Gennaro Berardi con un provvedimento ad hoc li prende in custodia.

Sulle traversie subite nel tempo dai tre cannoni recuperati e spostati in più collocazioni si preferisce omettere qualsiasi considerazione.

Come riportato sulla Gazzetta del Mezzogiorno di allora (domenica 27 luglio 1975) molte altre suppellettili della nave mercantile sono state recuperate e trasportate altrove (forse presso il Museo Provinciale!?), ma anche molti altri sub successivamente hanno fatto immersioni in zona sulla parte di dritta del fasciame presso il castello di poppa allora visibile, sia per motivi di pesca subacquea (Tomaso di Capua alias Masino e il tremitese Arturo Santoro, campione di pesca sub) sia per ricerche archeologiche più ampie (un peschereccio con un gruppo di 3 sub ha scandagliato l’area con una sorbona per ben 15 giorni) negli anni immediatamente successivi al rinvenimento.

Passano gli anni e lo scrivente oltre che apneista consegue il suo primo brevetto sub con il compianto amico ed istruttore SSI Ciro Mario Francioso e con il quale recupera nella Cala della Torre esposta a NW una macina granaria di bordo (un manufatto granitico di forma cilindrica sormontato da un cono, con un diametro di circa 60 cm, con delle feritoie poste in posizione diametralmente opposte ed alla base del cilindro litico ove si potesse inserire un bastone/trave metallico così da poter farlo roteare capovolto nei due sensi di rotazione probabilmente in un incavo complementare dove si ponevano macinare granaglie per ottenere farina per la panificazione, dato che era impossibile trasportarla a bordo già macinata perché risentiva dell’umidità).

Durante una maestralata della tarda primavera dell’anno ’82 poco distante dalla zona di affondamento in direzione Torre di Calarossa, grazie ad una sacca di corrente che scava il fondale portandolo ad una batimetrica di circa 4 metri, si scoprono dalla sabbia altri cannoni (vedasi le allegate foto documentali), che grazie alla segnalazione di altri apneisti locali: il M.llo dell’Aeronautica Vincenzo Panza e l’istruttore C. M. Francioso permettono allo scrivente di segnalare alla locale Stazione dei Carabinieri ed al Centro Operativo per l’Archeologia della Daunia di Foggia il rinvenimento di altri 7 cannoni e di fare intervenire verso settembre nuovamente il Nucleo Tutela Patrimonio Archeologico dei Carabinieri guidati dai M.lli Segreto e Di Pinto subacquei di stanza a Taranto, i quali nel giorno del sopralluogo, unitamente al sig. V. Panza ed al sottoscritto, effettuavano una ennesima immersione in zona ma con una visibilità quasi nulla, i graduati rilevarono manualmente e col metal-detector le masse ferrose dei cannoni, ma non poterono controllarli visivamente, prendendo a supporto dell’intervento alcune fotosub fatte in precedenza ed in condizioni di ottima visibilità, lasciando a tempi migliori il prosieguo delle indagini archeologiche.

Arriviamo agli inizi degli anni 2000, mentre proseguono i lavori del Parco di Monte d’Elio, la dr.ssa G. Lombardi si reca presso l’Archivio di Stato di Napoli e grazie al contributo elargito dallo scrivente riceve dal custode i microfilm di parte dei documenti redatti in italiano seicentesco, mancano quelli in ebraico là custoditi ed in attesa di interpretazione.

La trascrizione e la traduzione degli scritti nonché le ricerche storico-iconografiche vedono la luce nel libro “Poma Santa Maria, un naufragio del 1607 a Torre Mileto” pubblicato per i tipi delle Edizioni del Rosone nella Collana: Documenti, Studi e Ricerche sul Regno di Napoli, ed il cui autore il prof. Antonio Russo riceve anche una speciale menzione al Premio Capitanata per aver fatto luce su un periodo della storia del Gargano e per aver scoperto un traffico d’armi (per chi volesse approfondire si rimanda alla pubblicazione dell’autore).

A che punto siamo oggi.

Dopo questi accadimenti e fino ai giorni nostri colui che scrive continua per proprio conto a fare ricerche sia documentali che subacquee al fine di costruire un dossier utile per un eventuale progetto di scavo e recupero del mercantile affondato.

Difatti nei primi mesi del decorso anno 2018 presso gli stand dell’Eudi Show di Bologna, incontravo ed esponevo l’idea progettuale al prof. Sebastiano Tusa, Assessore ai Beni Culturali e dell’Identità Siciliana nonché Direttore della Soprintendenza del Mare di Palermo, che mi assicurava la sua completa collaborazione per un eventuale progetto di ricerca e scavo, fondi permettendo. Purtroppo poco dopo quell’incontro il prof. S. Tusa perdeva la vita nell’incidente aereo in Etiopia.

Successivamente dopo la restituzione delle spoglie mortali alla moglie la dr.ssa Valeria Li Vigni che succedeva al marito nella direzione della Sopmare di Palermo, ricontattavo la nuova direttrice che mi affidava per la questione alla sua stretta collaboratrice la dr.ssa Francesca Oliveri, a cui esponevo il progetto e giravo parte del materiale documentale in mio possesso, la stessa si dichiarava disponibile ad un lavoro di equipe con la locale Sovrintendenza di Foggia nella persona dell’architetto archeologa Donatella Pian a cui esponevo l’idea di collaborazione e di eventuali campagne di scavo e recupero in asciutto con la possibilità di una eventuale musealizzazione sempre che si reperiscano i necessari fondi o un eventuale sponsor.

Purtroppo ad oggi tutto è fermo, ma lo scrivente non demorde rispetto all’idea iniziale di riportare in luce la struttura dell’imbarcazione ed il recupero degli altri cannoni, freschi di fonderia, nonché di tutte le altre suppellettili che una puntigliosa ricerca potrebbe riportare nelle teche espositive di un futuro locale museo.

Tanto per fare chiarezza”

Dr. forestale Alfonso De Filippo