L’AFFONDAMENTO DELLA “POMA SANTA MARIA” A TORRE MILETO

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Civico 93 ha ricevuto richieste di informazioni sul relitto di una marsiliana, la Poma Santa Maria, affondata in circostanze misteriose nel 1607. Dal relitto sono stati recuperati nel 1975, dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia, tre cannoni conservati all’esterno della torre. L’altra informazione riguarda l’eventuale recupero del relitto storico in una località ad elevato interesse turistico.

Sulla questione del recupero se ne è parlato sempre e, a tutt’oggi, sembra ancora in alto mare.

Il ricordo di una vicenda accaduta nel 1607 sulle coste del Gargano Nord, in seguito all’affondamento, nei pressi di torre Mileto, di una nave denominata Poma Santa Maria. Le fonti documentarie, da cui si evince la storia del saccheggio avvenuto nel lido di Santo Nicandro, sono state pubblicate da Antonio Russo nel volume Poma Santa Maria un naufragio del 1607 a Torre Mileto, per i tipi del Rosone, con un’interessante introduzione di Filippo Fiorentino. La Poma era una marsiliana, un veliero mercantile di modeste proporzioni, che percorreva le vie marine dell’Adriatico, allora denominato Golfo di Venezia, trasportando merci da Corfù alla Serenissima. Fra le merci imbarcate e disperse dopo il naufragio sulla costa antistante torre Mileto e torre Calarossa, oltre a generi di prima necessità come l’olio d’oliva e la farina, c’erano anche articoli di lusso come un grosso quantitativo di 1400 di pelli di montone che non risultavano caricate sulla marsiliana. Non risultavano imbarcati 12 cannoni e un numero imprecisato di archibugi. Un vero e proprio arsenale di armi, merce scottante che non figurava nella lista perché di contrabbando. A differenza delle autorità inglesi, che non si sono preoccupate di recuperare il contenuto dei container, le merci razziate a Torre Mileto vennero prontamente recuperate dal commissario al contrabbando don Rodrigo di Salazar. Ben 80 persone, che avevano fatto la parte del leone nel saccheggio delle merci arenate, vennero arrestate, e costrette a consegnare la merce. L’obiettivo del recupero delle merci, prelevate dagli abitanti di San Nicandro, Rodi, Cagnano, Ischitella, Carpino e Peschici, e poi vendute per ricavare fondi da versare al Tesoro del Vicereame, venne tenacemente perseguito dalle autorità spagnole, in particolare dal suddetto don Rodrigo, che fece incarcerare tutti coloro che avevano sottratto parte del carico naufragato. Egli rischiò addirittura il conflitto di competenze con le autorità locali che invece volevano assicurare il diritto di prelazione agli abitanti dell’Università. Sostenne caparbiamente le ragioni del proprio ufficio in rapporto a questo carico di merci della Poma Santa Maria.

Per le popolazioni del Gargano, l’affondamento sottocosta di un bastimento carico di merci rappresentava un evento provvidenziale, visto che nessuno aveva avanzato diritti legittimi, nemmeno Simon Batacchio, il “patron” della barca che, conscio delle sanzioni cui sarebbe incorso a causa della merce scottante, imbarcata clandestinamente a Corfù, aveva raggiunto subito Venezia, abbandonando il relitto al suo destino. Di qui il riversarsi della popolazione di tutti i centri del Gargano sulla spiaggia di Torre Mileto, per recuperare il materiale spiaggiato ritenuto proprietà nullius, cioè di nessuno. Il disagio vissuto dalle classi povere del Promontorio in quel periodo era molto forte. La dominazione spagnola, che si esercitava esosamente attraverso il potere dei Viceré, aveva generato malcontento a causa di ruberie e imposte che prelevavano gran parte del reddito. Al clima di forte indigenza si aggiunse il pericolo di attacchi continui dal mare. Una sequenza di edifici fortificati supportava la difesa costiera contro le continue razzie di cui si rendevano protagonisti corsari e pirati che militavano sotto le bandiere dell’Islam, ma anche predatori illirici che avevano le loro basi logistiche sulle coste albanesi. Nel 1606 Durazzo venne messa a ferro e fuoco dalle galee e dalle truppe inviate del viceré Alonso Pimentel de Herrera, conte di Bonavente, ma ciò non servì a scongiurare il pericolo delle razzie turchesche che, fortissimo nel Seicento, perdurò anche nel secolo successivo.

L’interesse del prof. Antonio Russo per la Poma Santa Maria è nato dopo che un gruppo di sub dei carabinieri di Taranto nel 1975 riportò a riva tre grossi cannoni, avvistati nelle acque antistanti la torre di vedetta e segnalati alla Soprintendenza Archeologica della Puglia. Probabilmente un’ulteriore immersione potrebbe portare alla luce altri 8 cannoni e gli archibugi ancora sommersi nel fondo della marsiliana.

Ma cosa fu recuperato nel relitto della marsiliana dai sommozzatori giunti da Peschici nel 1607, e che pretesero di essere compensati con un terzo del materiale riportato in superficie? Una balla di 1400 pelli, riconciate dagli artigiani di Peschici e Rodi per essere rivendute; quaranta cardovane (?); un’ancora; una gomena, i documenti di trasporto; un tabarro (cioè una cappa) di panno; dodici staia di farina rotti; alcune schiavine pelose (mantelli a ruota di pelliccia); uno staio d’olio; due cannoni (di cui si sono perdute le tracce). Oggi, dopo varie peripezie e traslochi tra Palazzo Zaccagnino, il piazzale antistante il deposito della nettezza urbana e Palazzo Fioritto, i tre cannoni del XVII secolo, parte del carico trasportato dalla Poma Santa Maria affondata nelle acque di Torre Mileto il 24 marzo 1607, e ripescati nel 1975, sono stati postati nel piazzale antistante Torre Mileto. La Torre, restaurata due anni fa dal Parco del Gargano e dal Comune di san Nicandro, è ancora in attesa di un’adeguata valorizzazione. Le torri che, dalla fine del Cinquecento, difesero le coste di Capitanata, hanno subito la medesima sorte: alcune restaurate, altre sgarrupate (come Calarossa e Sfinale), sono tutte “regolarmente chiuse” alla pubblica fruizione.

Teresa Maria Raunzino

Il presente saggio è stato pubblicato sul quotidiano «L’Attacco» del 15 febbraio 2007.