ALLA RIBALTA NAZIONALE: “VIAGGIO NEL PAESINO CHE PREFERÌ ESSERE EBREO SAN NICANDRO GARGANICO”

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A SAN NICANDRO, NEL FOGGIANO, NEL PIENO DELLE LEGGI RAZZIALI, IN DUECENTO ABBRACCIARONO LA TORAH. DOPO LA GUERRA TANTI ANDARONO IN ISRAELE, MA ALTRETTANTI RESTARONO. QUI REPORTAGE

È il camion frigo che arriva da Roma portando la carne kosher, ossia macellata secondo i precetti religiosi, a segnare settimanalmente il contatto più concreto tra la comunità ebraica di San Nicandro Garganico e quella della Capitale. A Poggio Imperiale il mezzo lascia l’autostrada e inizia a inerpicarsi sui tornanti della parte più incontaminata e misteriosa della Puglia.

I “SABBATICI”

In questo paesino, che si merita l’appellativo di “balcone del Gargano” perché la vista spazia sul mare fino alle isole Tremiti – ma resta comunque un luogo lontano dalle rotte turistiche – nel 1928 un invalido di guerra con la passione per la lettura si autoproclamò ebreo. Si chiamava Donato Manduzio e i motivi della sua conversione restano tuttora avvolti dal mistero, mentre è certo che in breve tempo riuscì a convincere otto concittadini a fare altrettanto. Gli altri li guardavano con curiosità, parlando di loro come dei “sabbatici” perché non lavoravano mai di sabato.

Una decina di anni dopo, in piena epoca fascista, i fedeli erano diventati duecento. Molti, dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1948, decisero di emigrare. Da allora la comunità di San Nicandro si è ridotta numericamente e adesso conta una cinquantina di fedeli, ma continua a mantenere solide le sue tradizioni.

A raccontarne la storia è anche un romanzo, Scialomm Mussolini, di Marina Collaci, uscito per Castelvecchi, che ricostruisce questa conversione in blocco nell’anno “più sbagliato”, il 1938, quando l’Italia promulgò le leggi razziali.

Oggi a rinsaldare i legami tra i fedeli di San Nicandro e la Terrasanta ci sono i viaggi. Come quello che Lucia Leone compie insieme al marito, Matteo Gualano, per andare a trovare la figlia Grazia a Gerusalemme. «Lei ha studiato al collegio rabbinico di Roma» ci dice «e dopo aver sposato un israeliano si è trasferita». In molti sognano di fare altrettanto, spiega Domenico Perta, perché lì «vivere secondo i precetti ebraici viene molto più naturale». Ma anche in questo angolo di Gargano la comunità ebraica ha trovato la sua stabilità. «La nostra religione non è mai stata motivo di discriminazione» dice Incoronata Giuliani. «Al contrario, negli ultimi anni, abbiamo avviato un rapporto di conoscenza sempre più ravvicinato e profondo con i cattolici, attraverso incontri nelle scuole e in sinagoga».

RABBINI IN TRASFERTA

Il luogo di culto è un locale al piano terra a poca distanza dalla casa natale di Manduzio, nel quale sono custoditi i testi sacri e anche gli shofar, i piccoli corni di montone usati durante alcune funzioni religiose. Incoronata ha imparato a suonarli, nel lungo percorso che l’ha portata ad abbracciare questa fede vent’anni fa: «Dal giorno della conversione mi chiamo anche Sarah, il mio matrimonio con Domenico ho voluto che fosse celebrato secondo la tradizione ebraica da un rabbino». Il marito è titolare di un ristorante, nel quale ogni giorno dedica mezz’ora alla preghiera del pomeriggio: «La nostra religione prevede molte rinunce, soprattutto nell’alimentazione, ma le facciamo con gioia». Domenico è uno dei sei uomini attualmente professanti l’ebraismo in paese, dove la comunità è prevalentemente femminile. Per leggere la Torah, però, è necessaria la presenza di dieci maschi e, a tale scopo, periodicamente arrivano dei rabbini da Roma o da Napoli.

Altri fedeli, invece, raggiungono spesso il Gargano da Bari, dove non esiste una comunità riconosciuta, o da Trani, dove il gruppo, numeroso fino ad alcuni anni fa, si è lentamente disgregato. Per accoglierli è stato allestito anche un altro locale, poco distante dalla sinagoga, in cui si fanno feste e incontri o si ospita qualche maestro che viene da fuori. “La vita ebraica però non è solo quella della sinagoga o delle feste» tiene a precisare Lucia, «ma è educazione, applicazione dei precetti nella quotidianità, insegnamento ai figli, modestia nel vestire e nei comportamenti».

I compaesani cattolici hanno trovato vari modi per manifestare la loro vicinanza, per esempio con la deposizione di una corona d’alloro davanti alla sinagoga durante la Giornata della Memoria. A portarla è stato il sindaco Matteo Vocale, convinto che la presenza in paese di persone con fedi e tradizioni differenti sia fonte di arricchimento culturale: «Avviene con la comunità ebraica, ma anche con quella musulmana, che è numerosa per via di una forte presenza di immigrati marocchini. E anche per gli evangelici, italiani di ritorno dai Paesi del Nord Europa».

A voler guardare ancora più lontano, poi, s’ipotizza di far diventare la presenza ebraica un punto di forza, «considerato che questi concittadini portano il nome di San Nicandro nel mondo e che ogni occasione è buona per riscattare il nostro territorio».

L’OMBRA DELLA MAFIA

Parla di riscatto, il sindaco, e non a caso: qui da decenni la mafia foggiana insanguina le strade e frena lo sviluppo. Negli anni Ottanta, la faida tra i Tarantino e i Ciavarella fece almeno venti vittime e altre non furono nemmeno trovate. Le cose iniziarono a cambiare una quindicina di anni fa, quando una donna coraggiosa di nome Rosa Di Fiore si pentì per salvare i propri figli. A sentire oggi il suo nome a San Nicandro, la maggior parte delle persone scuote la testa, compresi i componenti della comunità ebraica, che dicono: «Quelli, i mafiosi, fanno le cose loro, il paese perbene non c’entra». ( Chiara Spagnolo – Il Venerdì Repubblica 13 maggio 2022)