Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.
Il detto di oggi è: “Megghj sol ca mal accumpagnat”, cioè “Meglio solo che male accompagnato”.
In via propedeutica dobbiamo dire che oggi, a fronte di una società travolta da fatti misfatti di ogni genere, di cui è più bello tacere per non esacerbarsi ulteriormente l’animo, e nella quale non esistono quasi più certezze morali, la raccomandazione della tesi popolare è quanto mai calzante ed estremamente opportuna.
Infatti, nessuno mai deve dimenticare che il “contagio dei vizi” è oltremodo pericoloso e non solo perché il vizio mette facilmente radici e cresce di solito prosperosamente, ma soprattutto perché poi diventa assai difficile liberarsi da una abituale predisposizione al male, cioè redimersi e riabilitarsi al cospetto della pubblica opinione. Allora, suggerisce il proverbio, piuttosto che frequentare persone senza scrupoli e poco affidabili, con il rischio di compromettere la propria dignità e reputazione, è preferibile godersi la propria compagnia leggende un libro preferito, ascoltando buona musica, assistendo a gradite rappresentazioni teatrali, coltivando hobby interessanti; oppure rendendosi disponibile per opere attraverso viaggi per conoscere luoghi, costumi, usanze, tradizioni. E’ un modo giusto per investire in umanità e cultura.
L’esperienza ci ha insegnato, purtroppo, che l’onestà e la lealtà nei rapporti umani diventano sempre una merce rara. La stessa fiducia, vale a dire, quel sentimento di sicurezza che ci perviene dalla speranza da noi riposta nel comportamento dei nostri amici o dalla stima che nutriamo per essi, viene tradita per futili interessi e, a volte, per comuni banalità. A questa stregua, l’invito alla prudenza e alla circospezione ci sembra più che legittimo. Non si tratta di diffidare di tutti ad ogni costo. Però è necessario proteggersi, cautelarsi con accorgimenti leciti derivanti dalla buona consuetudine di soppesare attentamente e diligentemente circostanze, proposte, comportamenti. Certo, le insidie sono tante, ma se noi ci comportiamo sempre con dignità non corriamo il rischio di esporci al vituperio delle genti e al pubblico ludibrio.
Noi siamo convinti che facendo il nostro dovere salveremo non solo la nostra reputazione, ma porremo anche agli altri in condizione di non nuocere per mancanza di accoliti. Il che ci conferma nell’opinione che l’esempio è una forza trainante sulla strada di un sano e corretto comportamento sociale. In questa operazione educativa c’è certamente un rischio, nel senso che l’esortazione, l’incoraggiamento e il fervore possono anche scadere, poi, nella competizione e nell’antagonismo. Questi ultimi, ovviamente, non possono assolutamente essere definiti “categorie educative”, ma se essi valgono a migliorare l’uomo, accettiamoli. E’ vero che nell’educazione il fine non giustifica i mezzi, ma quando non sono sconvenienti o illeciti, nessuno può vietarci di usarli per raggiungere le finalità richieste da una organizzazione sociale preordinata a conquistare fratellanza e amore, libertà e giustizia, lavoro e benessere per tutti.
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