Mercati finanziari in uno scenario di guerra. La spaventosa invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo non ha sinora provocato un terremoto sui mercati finanziari internazionali: gli indici azionari americani e asiatici hanno conosciuto solo una lieve perdita (5-6 per cento nell’ultimo mese). La caduta delle borse è risultata più significativa in Europa (10-11 per cento), date le maggiori relazioni con il mondo russofono, soprattutto in alcuni settori particolarmente esposti, quali quello bancario. I mercati obbligazionari hanno invece registrato quasi ovunque un lieve miglioramento (i prezzi sono saliti e i tassi scesi) e gli spread si sono ridotti, nella speranza che le autorità monetarie ritardino la stretta annunciata. Il dollaro, quale moneta rifugio, si è leggermente rafforzato, così come l’oro e le criptovalute, dopo le pesanti sanzioni imposte alle istituzioni finanziarie russe e i vincoli ai movimenti di capitali introdotti dalle autorità moscovite. Queste ultime hanno poi cercato di arginare il crollo del rublo sui mercati valutari e i conseguenti rischi inflazionistici, con un fortissimo innalzamento dei tassi d’interesse (dal 9 al 20 per cento). La borsa russa, dopo la violenta caduta iniziale, è chiusa da vari giorni, mentre la Sberbank, la più importante banca del paese, quotata sulla borsa di Londra, ha visto le sue azioni perdere oltre il 90 per cento del loro valore. Perdite simili sono state registrate da giganti come Gazprom e Rosneft.
Quali di queste tendenze sono destinate a rafforzarsi nelle prossime settimane e quali a invertirsi? Ovviamente le vicende sui campi di battaglia e le possibilità di raggiungere una tregua, se non una pace, giocheranno un ruolo fondamentale. Lo scenario più probabile rimane purtroppo quello che i russi abbiano la meglio sul campo e rovescino il governo ucraino o che comunque riescano a imporre una instabile tregua, destinata a mutilare l’indipendenza ucraina. È comunque probabile che l’Ucraina rimarrà a lungo un terreno di battaglia, almeno per la resistenza dei partigiani ucraini. In altre parole, è difficile immaginare una rapida soluzione della crisi e una conseguente abrogazione delle sanzioni. Anzi, è probabile che in breve tempo la Russia cerchi di imporre delle ritorsioni verso l’Occidente.
Le ripercussioni. Così il forte aumento di prezzo di tutte le materie prime, non solo energetiche, è destinato a perdurare con evidenti effetti sull’inflazione. Significativo a questo proposito il silenzio dei paesi arabi cosiddetti amici, che finora non si sono dichiarati disponibili ad aumentare la loro produzione di petrolio e gas. Preoccupante è anche il problema degli approvvigionamenti di cereali, dove gli agricoltori ucraini potrebbero nei prossimi mesi non essere in grado di seminare i loro immensi campi di grano. L’Ucraina è il terzo produttore al mondo di frumento e, assieme alla Russia, arriva a un quarto della produzione mondiale.
La crescita economica mondiale è allora destinata a rallentare sia a causa delle sanzioni, per le pesanti ripercussioni sul commercio internazionale, sia a causa della perdurante inflazione che erode il potere d’acquisto delle famiglie. Anche l’incertezza è destinata a rallentare gli investimenti e quindi il Pil. L’Europa, poi, probabilmente pagherà il prezzo più alto anche perché gli Stati Uniti sono oramai autosufficienti sia in termini energetici che cerealicoli.
In uno scenario di stagflazione, la politica monetaria si trova nella complicata situazione di dover contrastare un’inflazione che dipende da fattori di offerta sui quali ha scarsa influenza, cercando di non appesantire un ciclo economico già in progressivo rallentamento. Anche la politica fiscale è nella difficile congiuntura di ereditare dal passato un enorme debito pubblico dovuto alla lotta alla pandemia e di dover affrontare importanti e inaspettate spese nel campo militare e della difesa. Tutto ciò riduce gli spazi di manovra per sostenere i bisogni più elementari (pane e benzina) delle classi più deboli e quindi sostenerne i consumi.
In questo contesto è probabile che sia le borse che i mercati obbligazionari scendano, salvo che le banche centrali, nel nuovo scenario di guerra, siano disposte ad accettare “temporaneamente” un’inflazione a due cifre senza stringere i cordoni della borsa. Appare però difficile e comunque forse non sufficiente a limitare il nervosismo dei mercati.
Può allora valere la pena che gli investitori privilegino gli investimenti in beni reali, in titoli obbligazionari a breve rispetto ad azioni growth, che soffriranno di più della bassa crescita. In generale, è probabile che in questa situazione l’attività di stock-picking diventi più rilevante, così come le gestioni attive possano ritrovare una loro ragione di esistere rispetto a quelle passive. Le aziende che daranno le maggiori soddisfazioni ai loro azionisti sono quelle dotate di un certo potere di mercato, cioè quelle che riusciranno a traslare sui prezzi i maggiori costi di produzione, difendendo i loro margini.
Ovviamente esistono scenari alternativi, oggi meno probabili. In primo luogo quello che Vladimir Putin venga deposto oppure che, conscio degli enormi costi che sta imponendo al suo paese, ritorni sui suoi passi, ritiri rapidamente l’esercito russo dall’Ucraina e, in cambio della neutralità e smilitarizzazione del paese, conceda un certo margine d’autonomia al governo ucraino, che potrebbe intraprendere la strada dell’ingresso nell’Unione europea. Anche in questi ottimistici scenari, la pacificazione fra l’Occidente e la Russia richiederà tempo benché i mercati finanziari potrebbero immediatamente anticipare un futuro più sereno. Esiste, tuttavia, un ultimo scenario molto più negativo, dove lo Zar, sconfitto sul terreno della guerra convenzionale ed economica, minacci quella nucleare. Non vogliamo neppure pensare alle conseguenze finanziarie di questa ipotesi, ma come ha scritto Saul Bellow: “In un’epoca di pazzia, credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia”. (lavoce)