SAN NICANDRO: “L’AS’N PORTA LA PAGGHIA E L’AS’N C’ LA MAGNA”

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Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi la considerazione che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “L’as’n porta la pagghia e l’as’n c’ la magna”, cioè “L’asino porta la paglia e l’asino se la mangia”.

Sostanzialmente, la tesi conferma della tendenza egoistica della natura umana. Che questo modo di operare sia una inclinazione congenita all’attività dell’uomo o, viceversa, una sua modificazione, dovuta ad una pressione psicologica o convenzioni sociali, questo è tutto da dimostrare. Sta di fatto, però, che spesso il comportamento dell’uomo viene a collocarsi ina una posizione nettamente contraria ai canoni evangelici della carità e dell’amore, i quali inducono solitamente a sacrificare anche sè stesso per gli altri.

Oggi, purtroppo, viviamo una triste realtà. L’altruismo, lo spirito di abnegazione, la magnanimità, la nobiltà e la grandezza d’animo, fatte le debite eccezioni, altro non sono che confusi ricordi di un romanticismo per molti ormai scaduto e per altri, probabilmente, mai vissuto. Non si preferisce il sentimentalismo ad ogni costo perché esso conduce al manierismo psicologico, donde l’innaturalità degli atteggiamenti umani che nulla hanno da condividere con il codice deontologico dell’uomo. Ma da questo al concreto rispetto della vita del nostro simile, anche mediante specifici interventi in natura e in denaro, non ci sembra di chiedere troppo; anzi, ci pare il modo migliore per alleviare la vita di chi soffre. E tuttavia, noi abbiamo proprio l’impressione che la generosità e la prodigalità come atti concreti di porgere in doto, cioè, di regalare senza condizioni, non facciano più parte del codice morale del buon cristiano.

In verità, noi vorremmo che così non fosse, perchè sono già tante le brutture che inquinano e contaminano la vita sociale. Pensare di perdere completamente la speranza di poter fidare un giorno in qualche intervento della divina provvidenza (generosità umana) costituirebbe per l’uomo un tormento senza fine. Perciò, non risparmiamoci più di tanti: non crolleremo economicamente per un atto di liberalità in favore di un povero diseredato. Guardiamoci intorno ogni tanti: c’è ancora tanta miseria alle nostre spalle. C’è chi piange a dirotto, ma c’è anche chi soffre in silenzio. Ad entrambi, se possiamo, non lesiniamo il nostro aiuto. Altri, guardandoci, probabilmente ci imiteranno e allora il nostro gesto non sarà stato invano, perché sospingere gli altri ad operare “bene” significa redimere e riscattare l’umanità dall’assurda pretesa dell’egoista e dell’ingordo.

Se la nostra pochezza non ci consente di realizzare grandi cose, lasciamo almeno agli altri, in eredità, esempi di provata onestà, di altruismo, di solidarietà morale. Tra l’altro, il “buon esempio” ripaga sempre, soprattutto a livello di immagine che nelle piccole comunità rappresenta un biglietto da visita addirittura inestimabile.